GIOVANNI I, marchese di Monferrato
Unico figlio maschio del marchese Guglielmo VII e di Beatrice, secondogenita di Alfonso X il Saggio, re di Castiglia, non si conosce con esattezza la sua data di nascita. Sappiamo però da una bolla di papa Onorio IV, del 20 dic. 1285 (e non 1286, come erroneamente si è creduto), che G. aveva allora circa sette anni; nel 1293, inoltre, si dichiara che egli aveva superato i 14 anni (Codex Astensis, p. 1067); si può quindi accettare quanto viene affermato da G.A. Irico il quale fissa la nascita di G. nel 1278 in Milano, allorquando il padre vi soggiornava in qualità di capitano del Popolo. Il nome di G., prima ignoto alla dinastia, riprendeva probabilmente quello portato da un fratello della madre.
Prima del 26 sett. 1289, Guglielmo e Carlo II d'Angiò, superando antichi rancori, concordarono il matrimonio tra i rispettivi figli G., di appena undici anni, e Bianca. Ribaltando così la propria pluridecennale politica, Guglielmo cercava dunque in quel momento nuovi e diversi appoggi nel perseguimento del suo disegno egemonico sull'Italia nordoccidentale, comunque destinato a rimanere senza seguito poiché pochi mesi dopo venne imprigionato a tradimento dagli Alessandrini, e della vasta compagine territoriale sulla quale era riuscito a imporre il dominio non rimasero fedeli che i comuni di Ivrea, Acqui e Casale, i conti di Biandrate e il marchese di Saluzzo. Il territorio stesso del Marchesato, immediatamente insidiato dai vicini e tradizionali nemici, venne difeso da Tommaso di Saluzzo, presente in Monferrato sin dal gennaio 1291, il quale agiva in nome del marchese prigioniero e del figlio ancora bambino.
Fu appunto per iniziativa di Tommaso, previo il consenso dei vassalli (come attendibilmente attesta il coevo cronista astigiano Ogerio Alfieri), che G. il 27 marzo 1291 venne per sicurezza inviato a Revello, nel marchesato di Saluzzo, da dove il 29 giugno passò nel Delfinato e di là in Provenza presso Carlo II, padre della sua promessa sposa.
Guglielmo VII, sempre prigioniero in Alessandria, morì il 6 febbr. 1292 e subito contro le terre del Marchesato si scatenarono gli attacchi concentrici dei comuni di Asti e di Alessandria mentre premeva da est Matteo Visconti, impadronitosi il 20 maggio 1292 di Trino, il 25 di Casale e poi di Alessandria, mentre altri luoghi venivano occupati dal conte di Savoia. Tutti erano decisi ad approfittare dell'occasione per dare un colpo mortale ai possessi e al prestigio dei Monferrato.
La difesa del Marchesato venne allora assunta da quattro "vicari" (Uberto di Cocconato, Bonifacio di Tilio, Nicolino Bastardo e Giacomo di Gabiano) i quali tra giugno e luglio 1292 cercarono di tacitare provvisoriamente il comune di Asti con concessioni territoriali di qualche consistenza (Codex Astensis, doc. 927) che portarono a una tregua di cinque anni; una seconda tregua venne sottoscritta il 7 luglio dai vicari e consiglieri di Monferrato con il conte di Savoia (Chartarum, I, doc. 1051) e prima dell'agosto Carlo II d'Angiò prese l'iniziativa di inviare in Monferrato un proprio governatore e amministratore nella persona di Berengario Gaucelm, con facoltà di agire in nome dell'erede a lui affidato, provvedimento che certo contribuì alla salvezza del Marchesato. La tregua concordata con Asti venne ratificata in Nizza di Provenza il 26 dicembre alla presenza di Carlo II, il quale si propose dunque pienamente, in quel momento, come protettore dell'erede e dell'eredità di Guglielmo VII, tanto che, patteggiando nello stesso anno con Genova, convenne che G. sarebbe stato "amico del comune e del popolo genovese" purché avesse rimesso a essi le terre che dovessero risultare di spettanza della Repubblica.
Il 9 genn. 1293 G. soggiornava ancora a Nizza, dove dichiarava di voler confermare l'investitura di Dogliani a Tommaso di Saluzzo; poco dopo Carlo d'Angiò partì dalla Provenza per Napoli seguito da G., pare, sino a Roma (Giovanni Villani ne registra infatti il passaggio da Firenze), sempre in attesa di poterne sposare la figlia. Ma la mutata situazione politica aveva intanto portato Carlo a preferire un legame con Giacomo II d'Aragona, suo antagonista nel possesso della Sicilia, così che il matrimonio già previsto divenne inattuabile. La delusione dovette essere forte, tanto che gli interessi monferrini abbandonarono allora l'Angioino per aprirsi proprio verso il più temibile dei nemici, Matteo Visconti, nominato infatti il 14 marzo 1293 governatore del Marchesato; l'incaricato di Carlo, Berengario Gaucelm, era ancora al suo posto il 23 dic. 1292, ma il 15 maggio gli ambasciatori di G. si recarono a Milano e confermarono al Visconti la sua carica per cinque anni con autorità pari a quella del marchese, insieme con il cospicuo stipendio di 3000 lire l'anno e la rinuncia a ogni credito vantato dal padre verso il Comune di Milano.
Nella primavera del 1294 (e non sin dall'anno precedente, come qualcuno ha inteso) G., ormai diciassettenne, rientrò definitivamente nelle sue terre e riprese i contatti con i comuni e con i vassalli rimasti fedeli. Già il 27 aprile in Chivasso confermò i privilegi concessi dai predecessori al Comune di Casorzo, il 5 maggio successivo in Moncalvo concesse a Tommaso di Saluzzo l'investitura di Dogliani e gli vendette in seguito i diritti su Corneliano d'Alba venuti, non si sa come, in suo possesso; il 16 maggio, infine, rinnovò i patti con la città di Ivrea senza che si manifestasse alcuna opposizione da parte del Visconti; segni di riavvicinamento si notavano intanto anche da parte di Amedeo e di Filippo di Savoia.
Fra 1294 e 1295, G., appoggiato dal conte di Savoia, era in guerra contro Asti e Alessandria; il conflitto, che coinvolse anche Pavia, Tortona e Casale, si concluse, anche grazie a un intervento pacificatore di papa Bonifacio VIII, con una tregua quinquennale firmata ad Acqui il 6 giugno 1295. Fallito, come si è visto, il matrimonio con Bianca d'Angiò, G. nell'ottobre del 1295, con il consenso del re di Francia Filippo il Bello, avviò contatti per sposare Maria figlia del conte di Clermont, cugina di Filippo; ignote rimangono le ragioni per le quali anche questo legame sia rapidamente sfumato. In compenso si aprì quasi subito la prospettiva di un'unione con Margherita di Savoia, figlia di Amedeo V, la cui promessa di contrarre matrimonio con G. appare già registrata il 7 dic. 1295.
Il 28 gennaio successivo papa Bonifacio VIII concesse la necessaria dispensa per consanguineità e il 23 marzo in Cirié venne stipulato il contratto matrimoniale: la dote di 20.000 lire astigiane sarebbe stata pagata per metà prima della festa di Ognissanti e per l'altra metà in tre rate annuali. Il marchese assicurava da parte sua una controdote di 40.000 lire garantita sulle località di Caselle, Cirié e Lanzo. Le nozze, officiate dal vescovo di Moriana, vennero celebrate il 10 giugno 1296 a Rivoli Torinese, e tra il 1296 e il 1300 gli abitanti dei tre luoghi giurarono via via fedeltà a Margherita seguendo il ritmo non particolarmente veloce assunto dal pagamento della dote, che era stato affidato al prestatore astigiano Martino Guttuario.
Nel frattempo G. non trascurava i suoi impegni di governo: il 4 marzo 1295 in Chivasso rinnovò a Tommaso di Saluzzo l'investitura di Dogliani; il 5 luglio successivo, nello stesso luogo, presenziò ad accordi fra i signori di Castiglione Torinese e il Comune di Gassino; il 22 genn. 1296 a Ivrea interpose la sua mediazione nella convenzione fra quel comune e i signori di Vallesa; di nuovo a Chivasso il 13 febbraio e il 5 maggio di quell'anno confermò gli statuti di Gassino e contrasse un mutuo con Oddone e Giacomo di Rivalba.
Forte del nuovo legame con i Savoia e mentre perduravano rapporti amichevoli anche con il Visconti, G. si gettò intanto a capofitto nelle lotte in corso nell'Italia nordoccidentale fra città e signori con l'obiettivo di recuperare innanzitutto le terre sottratte al Marchesato dopo la morte del genitore, e con qualche ambizione di approfittare della permanente situazione di crisi per riprendere almeno in parte il disegno egemonico di Guglielmo VII. Già nel novembre e dicembre del 1296, in accordo con i Milanesi, corse in aiuto dei fuorusciti di Parma contro la loro città; più importante il tentativo operato nella primavera del 1297 contro Asti - insieme con il marchese di Saluzzo e giovandosi di aiuti alessandrini, vercellesi e sabaudi - nel quale venne dato il guasto al territorio astigiano e albese sino a Torre d'Isola e a Neive; nell'autunno subì però la ritorsione del potente comune e dei suoi alleati con ulteriore perdita di territorio, rassegnandosi infine alla pace nel febbraio del 1299.
Intanto, già alla fine del 1298, era venuto meno il buon accordo con Matteo Visconti: G. rifiutò allora di pagargli l'onorario a suo tempo pattuito e dal marzo del 1299 intraprese un'azione contro di lui insieme con il marchese di Saluzzo, Filippone di Langosco e i Pavesi. Il suo interesse si rivolse dapprima verso Novara dove venne prontamente accolto, tanto che Galeazzo Visconti, che vi fungeva da podestà in nome del padre, riuscì a malapena a mettersi in salvo; così pure avvenne a Vercelli dove il podestà milanese Musso da Monza fu sostituito dall'inviato di G. Pietro di Valpera; poco dopo l'esempio delle due città piemontesi fu seguito dal Comune di Como.
La lega antiviscontea sottoscritta a Pavia il 3 maggio 1299 raccolse, insieme con G., l'adesione di Manfredo Beccaria, dei marchesi di Saluzzo e d'Este e dei Comuni di Vercelli, Bergamo, Cremona, Tortona, Novara e Casale. L'esercito dei collegati, superato a Brinate il ponte sul Ticino, giunse a minacciare Milano, ma fu costretto a desistere dalla pronta reazione viscontea sorretta da Piacentini, Parmigiani e Veronesi. Le ostilità cessarono il 4 settembre e il 16 dello stesso mese le città acquisite ritornarono sotto il dominio milanese.
Erano cominciate intanto diffidenze e sospetti anche tra G. e Filippo I di Savoia Acaia: questi temeva infatti che il marchese, attraverso suoi emissari, intendesse impadronirsi di Pianezza e di Collegno, luoghi un tempo di obbedienza monferrina, mentre, da parte sua, G. l'11 maggio 1299 favorì la fortificazione di Gassino, località a stretto contatto con i domini di Filippo. I rapporti con i Savoia permanevano invece buoni nonostante venisse ritardato oltre gli accordi stabiliti il pagamento della dote: a tale questione può essere attribuito il viaggio che G. compì in Savoia per discutere direttamente con il conte, visita che questi ricambiò a Chivasso nel giugno del 1297. Le somme pattuite furono poi completamente versate soltanto il 6 apr. 1300, data in cui gli abitanti di Caselle, Cirié e Lanzo (i luoghi concessi dal marchese in controdote) giurarono in via definitiva fedeltà alla moglie Margherita.
G. ritornò intanto a occuparsi delle discordie interne di Vercelli e di Novara nel marzo del 1301, quando si ricostituì un'ampia lega antiviscontea comprendente, oltre a G. stesso e al marchese di Saluzzo, i Comuni di Pavia, Cremona, Lodi, Crema e la fazione milanese dei Torriani. In accordo con i fuorusciti, G. contribuì a scacciare, rispettivamente da Vercelli e da Novara, le fazioni filomilanesi dei Tizzoni e dei Tornielli. La lega ottenne il suo scopo nel giugno del 1302 quando Matteo Visconti fu costretto ad abbandonare Milano.
Nel 1303 G. colse le sue maggiori soddisfazioni unendo ancora una volta le sue forze a quelle del marchese di Saluzzo e - sempre sfruttando i dissensi in atto tra le fazioni cittadine - il 5 maggio, favorito dai De Castello, riuscì a introdursi in Asti scacciandone i Solaro costretti a rifugiarsi in Alba. G. ottenne così la restituzione dei luoghi che gli Astigiani avevano conquistato al momento della morte di suo padre e recuperò altresì il padiglione asportato allora da Vignale come trofeo di guerra, fatti cui il cronista astigiano Guglielmo Ventura attesta di avere personalmente assistito. Nel giugno e nell'agosto seguenti furono organizzate ripetute, ma scarsamente efficaci, spedizioni contro gli esuli astigiani rifugiati in Alba e assistiti dal principe d'Acaia.
Il 25 luglio 1303 G. ottenne la dedizione dell'importante borgo di Casale Monferrato, in ottobre partecipò in Lombardia a una vittoriosa azione in aiuto dei Torriani contro i Visconti, e il 20 dello stesso mese, lasciate le sue genti in Pavia, venne pacificamente ospitato per cinque giorni in S. Ambrogio e remunerato con 5000 lire, piccola soddisfazione, in verità, ma che in certo modo evocava il potere ben maggiore a suo tempo esercitato dal padre nella città dove egli stesso era nato. L'anno successivo G. ricevette la dedizione di Trino, altro cospicuo Comune già posseduto dal genitore, sottrattosi ora alla soggezione vercellese.
Nel maggio 1304 i Solaro, ritornati in forze, scacciarono da Asti i De Castello, i quali si rivolsero a G., che il 1° settembre, unendo alle proprie le milizie di Pavia, Vercelli e Novara, tentò invano di restaurare il loro potere in città e dovette accontentarsi di recuperare il luogo di Castelcebro occupato dai fuorusciti locali. Un mese più tardi l'antagonista Filippo d'Acaia venne eletto capitano di Asti per tre anni sbarrando così a G. ogni possibilità di ingerirsi ancora nel governo della città. Egli partecipò ancora, in novembre, alla spedizione che tolse ad Alberto Scotti il dominio di Piacenza e di Bobbio, funse da arbitro nella controversia fra i conti di Biandrate e i fuorusciti astigiani e il 13 genn. 1305, mentre era ormai irreparabilmente infermo nel castello di Chivasso, andò in porto l'acquisto dei luoghi dipendenti dai marchesi d'Incisa.
G. morì, a soli 27 anni, in un giorno non precisabile del gennaio 1305; il suo testamento porta la data del 18 gennaio.
Fu sepolto nella tomba dinastica dell'abbazia cistercense di S. Maria di Lucedio dove già riposavano alcuni suoi predecessori. Il necrologio del monastero (certo erroneamente) registra la data di morte al 15 gennaio e, in modo altrettanto errato, ricorda G. come "fundator huius monasterii"; ciò ha fatto pensare a una sua eccezionale elargizione in favore dell'ente, di cui tuttavia la documentazione nota non reca traccia; si dovrà invece semplicemente intendere che G. apparteneva alla famiglia che nel 1126 aveva appunto fondato il monastero di S. Maria.
Le disposizioni testamentarie affidavano il Marchesato alla cura e alla protezione del Comune di Pavia e al conte Filippone di Langosco, signore di fatto della stessa città, i quali avrebbero provveduto a restituire alla Chiesa eventuali "male ablata" e al pagamento dei debiti rimasti insoluti. In mancanza di un eventuale figlio, che sarebbe potuto nascere postumo dalla moglie Margherita di Savoia, furono chiamati a succedere nel Marchesato, nell'ordine: la sorella Iolanda andata sposa ad Andronico Paleologo imperatore d'Oriente o uno dei suoi figli; in loro assenza subentravano i figli dell'altra sorella, Alasina, moglie di Poncello "de filiis Ursi" (cioè, della famiglia romana degli Orsini), o, in loro vece, il figlio di sua zia Margherita, sorella di Giovanni infante di Castiglia. Venendo meno la successione di tutti costoro, il Marchesato poteva infine passare nelle mani di Manfredo marchese di Saluzzo.
Tra coloro che sottoscrissero il testamento figurano ben cinque medici, i quali, evidentemente, avevano assistito G. nel corso della malattia. Il già menzionato cronista contemporaneo G. Ventura ha tramandato che proprio uno di essi, il vercellese "magister Emanuel fisicus", ingiustamente accusato della morte di G., fu sommariamente giustiziato a colpi di spada e molti si cibarono delle sue carni. Vero o no, quest'ultimo barbaro particolare dimostra l'indubbio attaccamento che i sudditi avevano per il loro signore e per la dinastia: con lui si spegneva, infatti, l'ultimo degli Aleramici di Monferrato.
La grave crisi, che per la seconda volta nel giro di un decennio veniva a scuotere il Marchesato, vide dapprima i tentativi di usurpazione messi in atto da Manfredo di Saluzzo; in seguito, secondo le disposizioni testamentarie, si insediò in Monferrato il figlio cadetto di Iolanda e Andronico Paleologo, Teodoro, il quale, con l'aiuto determinante della famiglia genovese degli Spinola, di cui aveva sposato una figlia, riuscì faticosamente ad avere ragione dei molti nemici e a dare avvio alla nuova dinastia dei Paleologi di Monferrato.
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