ISOLANI, Giovanni
Nacque a Bologna intorno al 1330 da Mengolo (Domenico) di Giacomo e da Mina di Ubaldino da Bagno. Ebbe una sorella, Nana, sposa di Pietro Miazoli di Ferrara.
Il padre nel 1348 era divenuto tesoriere di Obizzo (II) d'Este e aveva stabilito la propria residenza in Ferrara, in contrada di S. Paolo. Acquisito nel 1349 lo status di cittadino originario di Ferrara, aveva iniziato investimenti in terreni in località prossime al Po, soggette alla giurisdizione estense. Bologna era rimasta peraltro al centro dei suoi interessi e in Bologna sembra che Domenico sia tornato nel 1353, quando la moglie Mina acquistò beni nelle immediate vicinanze della città. Sicura è comunque la sua presenza in Bologna nel 1355 quando Giovanni da Oleggio, il 17 aprile, gli affidò la gestione della Tesoreria cittadina.
Intorno al 1355 si colloca anche il matrimonio dell'I. con Alenia (Alignia) di Gentile degli Alidosi di Castel del Rio. Ne nacquero quattro figli: Jacopo, che fu dottore dello Studio e cardinale, Ludovico, che ebbe la dignità di cavaliere, Battista e Giovanna, che andò sposa a Iacopo Boccadiferro.
Nel 1360 l'I. ebbe parte di rilievo nelle cerimonie per l'ingresso in città del cardinale E. Albornoz, ma la sua adesione al governo dei legati pontifici restò un fatto formale. Nei successivi 15 anni si occupò essenzialmente della gestione del patrimonio familiare, di cui divenne unico titolare alla morte del padre nel 1371, mentre la sua attività pubblica fu limitata alla presenza nel Collegio degli anziani nell'aprile 1369 e nel giugno 1370.
Diverso fu il suo comportamento dopo la rivolta del 19 marzo 1376 che portò al ripristino delle antiche strutture dell'autonomia comunale. Al nuovo regime, che volle definirsi Signoria del popolo e delle arti, anche l'I. prestò una fattiva adesione, membro dall'aprile 1376 del Consiglio generale appena ricostituito.
Nel giugno esponenti dei Maltraversi, una della fazioni nobiliari che si disputavano la supremazia in città, favorevoli a una rapida conclusione della frattura con la Chiesa, manifestarono l'intento di favorire l'ingresso in città del legato pontificio, il card. Roberto di Ginevra. Si era in una delle fasi più acute della guerra degli Otto santi che opponeva Firenze e i suoi alleati, tra cui Bologna, alla S. Sede, e Roberto di Ginevra, a capo di una masnada di Bretoni, taglieggiava da mesi il contado bolognese. Il tentativo dei Maltraversi non ebbe successo e i principali esponenti della fazione, accusati di tradimento del regime nato dalla rivolta del marzo precedente, vennero giustiziati.
L'I., pur aderendo notoriamente alla fazione dei Maltraversi, non fu coinvolto in questa iniziativa. Nell'ottobre fu rieletto nel Consiglio generale e nel dicembre fu uno dei sei Provvisori alla difesa della città e dei castelli del contado. Fu quindi nel Collegio degli anziani di marzo e aprile 1377 quando il governo di Bologna fu posto di fronte all'alternativa di inasprire lo scontro col papa in appoggio alla guerra degli Otto santi, o cercare un accordo consono alla soggezione della città all'autorità pontificia e ai suoi stessi interessi. Gli Anziani scelsero la seconda via e stroncarono con decapitazioni e bandi la fazione che, sostenuta da Firenze, voleva proseguire le ostilità. Quindi, concordata una tregua col cardinale di Ginevra, si avviò una trattativa che portò all'accordo col papa e alla concessione del vicariato apostolico sulla città al canonista Giovanni da Legnano (Giovanni Oldrendi).
Negli anni seguenti l'I. sostenne ancora incarichi di governo, seppure in modo discontinuo. Nell'ottobre 1379 fu uno dei 16 provvisori preposti a rivedere i carichi fiscali delle Comunità e degli abitanti del contado; nell'ottobre 1380, eletto gonfaloniere del Popolo, declinò l'incarico; tra aprile e giugno 1381 fu in Romagna e a Firenze per favorire l'accordo tra Astorre Manfredi e John Hawkwood (Giovanni Acuto), e nel luglio, membro della commissione incaricata di determinare il compenso a Francesco Manfredi per la cessione della rocca di Solarolo al Comune di Bologna, pur presente in città, non prese parte alle decisioni.
La situazione mutò all'inizio del 1386 in un contesto segnato dal cauto interesse manifestato dal governo di Bologna per le profferte di amicizia e alleanza di Gian Galeazzo Visconti. Questi, esautorato nel maggio 1385 lo zio Bernabò, aveva inviato a Bologna e a Firenze messaggi che indicavano un mutamento della politica viscontea fino ad allora decisamente ostile verso le due città. In marzo e aprile 1386 l'I., che sembra avesse mantenuto alcuni dei legami coi Visconti già instaurati dal padre, fu gonfaloniere, capo cioè del Collegio degli anziani. Nel successivo bimestre, quando gli Anziani si trovarono impegnati in un violento scontro coi Pepoli, intenzionati a riprendere una posizione di predominio in città, il figlio dell'I., Jacopo, fu tra gli Anziani e loro portavoce. Il 16 luglio 1386 l'I. fu inviato a sedare la faida che insanguinava da anni il castello di Tossignano, avamposto bolognese verso la Romagna; nell'ottobre fu nella commissione incaricata di attuare le ulteriori misure repressive nei confronti dei Pepoli e dei loro sostenitori interni e nello stesso mese fu commissario al campo delle milizie assoldate da Bologna, schierate presso Baffadi nell'Appennino romagnolo, e subito dopo fu inviato in missione a Ferrara.
Nel 1387 l'attività pubblica dell'I. raggiunse il massimo dell'impegno e del prestigio. Il 16 gennaio fu deliberato l'invio di un'ambasceria al papa Urbano VI, allora a Lucca, composta dall'I., da Giovanni da Calcina e dai dottori di leggi Nicolò da Castello e Antonio Bataiuci.
L'ambasceria aveva lo scopo di chiedere al papa di confermare ufficialmente agli Anziani i poteri che di fatto già esercitavano sul distretto e di concedere loro il vicariato apostolico sulla città. A tale fine gli ambasciatori erano autorizzati a concordare direttamente la misura del censo da corrispondere al papa. La trattativa non era facile e due degli ambasciatori, Nicolò da Castello e l'I., si trattennero a Lucca fino all'8 marzo. Il 1° aprile si decise di inviare un'altra ambasceria e l'I. ne fu di nuovo incaricato insieme col maestro generale dei serviti di Bologna, frate Andrea, e col dottore di leggi Matteo Magnani. I risultati della missione che si protrasse per quasi tre mesi non furono peraltro quelli sperati: il papa non concesse il vicariato apostolico, ma si limitò ad alcune concessioni di minor conto, attestate in due brevi (che sono tra i primi documenti di questo tipo di cui resta memoria), oggi scomparsi, e in una bolla, anch'essa perduta.
Al ritorno in patria nell'estate 1387 l'I. trovò un clima politico decisamente mutato. La speranza di un'intesa con Gian Galeazzo Visconti, già abbastanza vaga, era tramontata e il governo di Bologna approntava piani e mezzi per uno scontro sempre più probabile. Sintomo di questo mutamento fu nell'agosto la punizione inflitta a un cittadino legato ai Maltraversi e da essi inutilmente contrastata: un episodio di scarso valore in sé, ma sentito, nota il contemporaneo Matteo Griffoni, come l'inizio del declino della parte dei Maltraversi. Non sorprende pertanto che il solo incarico pubblico attribuito all'I. sia stato nel dicembre 1387 quello di prendere contatto per conto del Comune con il capitano di ventura Giovanni Ubaldini.
Il crescente timore di un'azione ostile da parte di Gian Galeazzo indusse il 30 genn. 1388 il regime bolognese ad attribuire pieni poteri a una ristretta Balia di 10 persone, esponenti della finanza e della politica cittadina. Le prime misure da essi ispirate, escludendo dagli incarichi di governo i supposti fautori del Visconti, inasprirono le divisioni all'interno dell'oligarchia.
Esponenti dei Maltraversi cercarono anzitutto di reagire su un piano di sostanziale legittimità col provocare una delibera del Consiglio generale che sconfessasse l'azione del governo. Altri oppositori, esponenti di una vecchia feudalità, come Ugolino da Panico e Alberto Galluzzi, il cui potere il governo cittadino stava da tempo minando, si apprestarono invece a un'azione militare. Tra i due gruppi vi furono certo dei contatti, ma non ne sortì un'azione concertata.
La guida dell'opposizione interna fu assunta dall'I. e dal notaio Melchiorre da Saliceto, che cercarono di coinvolgere nell'iniziativa vari esponenti dell'oligarchia che temevano di venire emarginati, mentre il dottore di leggi Bartolomeo da Saliceto, il più prestigioso docente dello Studio cittadino, si assunse l'impegno di provocare la delibera del Consiglio generale. La reazione del governo fu estremamente decisa. Bartolomeo da Saliceto, che quasi spontaneamente aveva rivelato agli Anziani gli scopi dell'iniziativa, fu bandito dalla città e gli furono confiscati i beni.
La stessa sorte subirono pochi altri collegati, mentre l'I. e Melchiorre da Saliceto, arrestati alla metà di novembre, processati e condannati a morte, furono decapitati a Bologna il 7 dic. 1389.
L'esecuzione dell'I. fu accompagnata da uno spiegamento di forze del tutto inusitato perché in città, spiega la cronaca Rampona, "gli era voluto un gran bene, ché era stato sempre uno bono homo" (Corpus chronicorum, p. 397).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune, Governo, Provvigioni "in capreto", I, cc. 11, 24, 41, 51v, 267; III, cc. 9, 29v, 85, 131v, 307-310; Provvigioni cartacee, s. III, regg. 28, c. 66; 45, cc. 11-19v; 46, cc. 60, 66, 69, 77; 59, cc. 160v, 171v; 60, cc. 20v, 64, 79v; 61, cc. 29v, 144, 199v; 68, c. 54v; Liber iurium et confinium, I, c. 122; Consigli del Comune, Consiglio dei Quattrocento, cc. 44, 106, 115, 130v, 192v, 193v, 236v, 329v; Ufficio Riformatori degli estimi, s. I, reg. 9, cc. 313v-314; Bologna, Amm. Cavazza Isolani, Archivio Isolani, bb. F81/15, docc. A, B; F82/16, docc. 1-4, 6, 7; F82/17, docc. 1-2; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, ad ind.; V. Valentini, Il "Liber recordationum" di Gozzadino di Simonino Gozzadini giureconsulto bolognese, in Studi urbinati, XXXVIII (1969-70), p. 31; F. Pizolpassi, Summa hover cronica, 600-1440, a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, Bologna 2001, p. 178; G.N. Pasquali Alidosi, Libro terzo degli Anziani…, Bologna 1614, pp. 47, 51; Id., Li confalonieri di Giustizia…, Bologna 1616, p. 5; C. Ghirardacci, Historia di vari successi… particolarmente della città di Bologna, Bologna 1669, ad ind.; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna…, Bologna 1670, p. 430; O. Mazzoni Toselli, Racconti storici estratti dall'Archivio criminale di Bologna, Bologna 1866-70, I, pp. 576, 598-607; II, pp. 448 s.; III, pp. 194-199; A. Palmieri, La congiura per sottomettere Bologna al conte di Virtù, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, VI (1915-16), pp. 169-218 passim.