GIOVANNI Italo
I dati disponibili su G., ricavabili per lo più dal paragrafo consacratogli dall'Alessiade di Anna Comnena, sono scarsi e in sostanza ci informano soltanto sul breve arco cronologico segnato dai processi del 1077-78 e del 1082.
Come sappiamo dagli appellativi utilizzati dai suoi contemporanei (in particolare "Italo" e "Longobardo"), G. nacque nell'Italia meridionale, nei territori del Catepanato bizantino d'Italia, già Tema di Longobardia, corrispondenti grosso modo alla Puglia. Le fonti bizantine attestano la sua origine occidentale, ma non c'è alcuna ragione per ritenere che egli provenisse da una famiglia normanna, né che fosse nato in Campania.
È possibile fissare, sia pure in modo approssimativo, agli anni intorno al 1030 la data di nascita di G. grazie al racconto di Anna Comnena, secondo il quale era bambino (pais) - cioè di un'età che va dai 7 ai 14 anni - al momento della campagna siciliana di Giorgio Maniace e delle vicende immediatamente successive (periodo compreso tra il 1038 e il 1042). Sempre Anna aggiungeva che G. era giunto a Costantinopoli oramai più che ventenne (neanias).
Si ritiene comunemente, sulla base di quanto scritto da P. Joannou (Christliche Metaphysik, pp. 11 s.) che G., di origine normanna, fosse nato in Campania. Gli argomenti addotti dal Joannou in favore della sua tesi non reggono a una disamina approfondita. Il fatto che G. partecipasse all'ambasceria presso Roberto il Guiscardo non costituisce una prova, dal momento che il filosofo non fu inviato quale ambasciatore presso il Guiscardo, ma presso papa Gregorio VII. Le affermazioni di G. sul culto delle immagini, presenti nella sua Quaestio 87, non contengono echi di dottrine occidentali, eretiche per un bizantino, ma non sono altro che una compilazione ricavata dalle orazioni sulle immagini sacre di Giovanni Damasceno. Quando G. nella Quaestio 80 parla di una bevanda simile al vino ricavata dalla pera o dalla mela non rimanda al sidro bevuto "sino a oggi in Normandia", ma al vino di mela e di pera già noto nell'antichità classica e diffuso anche a Bisanzio. L'origine campana di G. è stata invece stabilita sulla base di una lettera di Michele Psello a G., nella quale quest'ultimo è definito "Latino" e "Ausone". Ma "Ausone" e "Ausonia" erano all'epoca sinonimi di "Italiano" e di "Italia", come sappiamo anche da altri versi dello stesso Psello.
La prima testimonianza in nostro possesso sull'infanzia di G. è il passo dell'Alessiade di Anna Comnena che fornisce notizie purtroppo contraddittorie e di difficile interpretazione. In ogni caso, da questo brano possiamo ricavare che G., ancora bambino, seguì il padre in Sicilia durante la spedizione bizantina guidata da Giorgio Maniace (1038-40), che riconquistò la parte orientale dell'isola. Ritornato in Puglia, il padre di G. prese parte alla generale sollevazione longobarda appoggiata dai Normanni contro i Bizantini (1041-42).
Per motivi ignoti, come sottolinea Anna Comnena, G. giunse a Costantinopoli nel corso degli anni '50. Non c'è alcuna ragione di collegare, come vuole invece un'inveterata tradizione, il suo arrivo nella capitale bizantina con il corpo normanno guidato da Phrankopoulos che combatteva al servizio di Bisanzio contro i Peceneghi nel 1050.
Dopo aver appreso il greco, G. intraprese gli studi dapprima sotto la guida di insegnanti a noi sconosciuti (dei quali non sembra che Anna Comnena abbia avuto una particolare considerazione) per passare poi alla scuola del personaggio più in vista dell'ambiente intellettuale costantinopolitano del periodo, Michele Psello. I suoi rapporti con il maestro, come con i suoi condiscepoli, non furono sempre pacifici anche per una certa irruenza e impetuosità del carattere di G., quale è delineato dai contemporanei. Dalle pagine di Anna Comnena abbiamo infatti un ritratto di G. per molti versi realistico: di bassa statura, robusto, con la testa grande, incline alla collera, facile a venire alle mani, arrogante, insolente, precipitoso e incostante. Anche altre fonti (Michele Psello, Timarione, Niceta Coniata) concordano con questa caratterizzazione nella quale va però anche riconosciuta la presenza di alcuni clichés utilizzati dai letterati bizantini nella descrizione degli Occidentali.
La carriera di G. conobbe il suo culmine durante il regno di Michele VII Duca (1071-78). Egli godette del favore dell'imperatore e dei suoi familiari, in particolare del fratello Andronico al quale G. indirizzò due operette, l'una consacrata alla dialettica, l'altra all'interpretazione di un passo di Omero sui sogni (Quaestio 43). La fiducia dei Duca nei confronti del filosofo fu tale che gli fu affidato un compito di particolare importanza. Nel quadro dei negoziati che l'Impero bizantino intraprese con il Papato di Roma, agli inizi del pontificato di Gregorio VII, per sanare i dissensi religiosi insorti un ventennio prima durante il patriarcato di Michele Cerulario e fronteggiare la nuova congiuntura determinatasi con l'espansione normanna nell'Italia meridionale, soprattutto dopo la caduta di Bari (1071, cfr. in merito: A. Tuilier, Michel VII et le pape Grégoire VII: Byzance et la réforme grégorienne, in Actes du XVe Congrès international d'études byzantines, IV, Athinai 1980, pp. 250-264; H.E.J. Cowdrey, Pope Gregory VII's crusading plans of 1074, in Outremer, a cura di B.Z. Kedar - H.E. Mayer - R.C. Smail, Jerusalem 1982, pp. 27-40), G. venne inviato quale ambasciatore a Durazzo nel 1073-74 (cfr. F. Dölger - P. Wirth, Regesten der Kaiserurkunden des Oströmischen Reichs, II, München 1995, n. 988) per colloqui con il legato papale, il patriarca di Grado Domenico Marango (sul quale cfr. G. Bianchi, Il patriarca di Grado Domenico Marango tra Roma e l'Oriente, in Studi veneziani, n.s., VIII [1966], pp. 45 s.). Stando al racconto di Anna Comnena, nella città adriatica G. tradì i suoi patroni e si rifugiò a Roma dove trascorse un breve periodo. Di lì a poco ritornò a Bisanzio, fece ammenda e fu internato per un certo periodo nel monastero costantinopolitano della Madre di Dio della Sorgente Datrice di Vita (Zoodochos Peghe) e nella chiesa dei Quaranta martiri di Sebaste.
Non sembra che questo episodio, le cui motivazioni più profonde ci sfuggono, abbia avuto ripercussioni sull'ascesa di G. che in quella stessa epoca, sempre grazie al favore imperiale, rivestì la carica di console dei filosofi, nella quale succedeva al suo maestro Michele Psello (per la cronologia cfr. Gouillard, Le procès officiel de Jean l'Italien, pp. 167 s.). Durante quel periodo la scuola di G. a Costantinopoli fu frequentata da numerosi discepoli, tra i quali troviamo diversi rappresentanti del clero patriarcale di S. Sofia (tra i quali Eustazio, il futuro metropolita di Nicea), alti dignitari (come Niceforo protoproedros e droungarios tes biglas, Abasgos il grammatico) e membri delle famiglie più in vista dell'Impero (Serblias, Iasites, Solomon ecc.).
L'accresciuta popolarità di G. non fu probabilmente estranea all'istruzione di un primo processo (1077-78) per eresia a cui fu sottoposto durante il patriarcato di Cosma. In quell'occasione l'imperatore Michele VII Duca escogitò una soluzione di compromesso, volta evidentemente a salvare il suo protetto. Le dottrine incriminate furono esposte in nove articoli anonimi. Dopo un esame da parte del sinodo tali proposizioni, che tacevano il nome di G., vennero condannate all'anatema.
Gli articoli, inseriti in un documento ufficiale quale il Synodikon dell'Ortodossia, letto pubblicamente in ogni chiesa la prima domenica di Quaresima, presentano dottrine eterogenee per il contenuto: interpretazione con argomenti razionali dell'Incarnazione, superiorità delle dottrine dei filosofi antichi rispetto alle tradizioni ecclesiastiche, ripresa delle dottrine platoniche sul mondo e sull'uomo, negazione dei miracoli effettuati da Cristo, dalla Madre di Dio e dai santi.
La soluzione di compromesso raggiunta grazie all'intervento imperiale non soddisfece né il diretto interessato né i suoi avversari. Sembra che lo stesso G. abbia tentato a più riprese già durante il patriarcato di Cosma di chiudere definitivamente la vicenda, mettendo così a tacere le voci che circolavano sul suo conto. Alla fine, la questione ritornò all'ordine del giorno durante il patriarcato di Eustrazio Garidas (1081-84), soprattutto su impulso del nuovo imperatore Alessio I Comneno e del fratello Isacco, senz'altro ostili a Giovanni Italo. Così, tra la fine di febbraio e l'11 apr. 1082, le sue dottrine furono esaminate dal Sinodo e da un tribunale presieduto dall'imperatore. L'istruttoria, condotta sulla base delle proposizioni del 1077-78, della professione di fede rimessa da G. e infine da una memoria consegnata da un certo Kaspakes che accusava G. di sostenere idee "elleniche" (cioè pagane) e di iconoclasmo, si concluse con la condanna del filosofo. Per i suoi discepoli invece, convocati e interrogati dinanzi al Sinodo, fu deciso il non luogo a procedere.
G. all'epoca del processo del 1082 era recluso in un monastero di Costantinopoli; dopo tale data l'unica notizia su di lui è quella riportata nell'Alessiade da Anna Comnena, secondo la quale G. si pentì delle dottrine che aveva professato in precedenza.
Si ignorano il luogo e la data della sua morte.
Anche se l'insegnamento e la condanna di G. ebbero una profonda eco a Bisanzio in quegli anni (come si ricava dalla lettura di Giovanni maistor e degli scoli a Niceta Stethatos e a Massimo il Confessore) e nella prima metà del secolo successivo (Discorso di Niceta di Eraclea del 1117, Timarione), è difficile fare un bilancio della vicenda processuale di G. perché numerosi furono i fattori che concorsero all'istruzione del procedimento e alla condanna: opposizione di certi circoli ecclesiastici e teologici alle nuove tendenze filosofiche di cui Michele Psello e G. erano i rappresentanti più significativi, pesante intromissione dell'imperatore Alessio I Comneno nelle materie ecclesiastiche, gelosie e ostilità nei confronti di un protetto dei Duca. L'eterogeneità e addirittura la contraddittorietà delle imputazioni rivolte a G., spesso nient'altro che l'ennesima ripresa di topoi eresiologici (così, per esempio, per l'accusa di iconoclasmo), non sono certo d'aiuto al riguardo.
Nonostante la sua evidente sopravvalutazione da parte di molti studiosi moderni, l'opera di G. permette di vedere che egli fu un filosofo di scuola, un raccoglitore di estratti, un commentatore con orizzonti di fatto limitati allo studio di Aristotele, Platone, Porfirio, Ammonio, Proclo e Giamblico (autori che non a caso costituivano l'oggetto del suo insegnamento secondo l'Alessiade) e particolarmente attratto dai virtuosismi della dialettica e della logica aristoteliche come ricordavano, non senza ironia, la stessa Anna Comnena e l'autore del Timarione. Dagli scritti e dalla professione di fede presentata al Sinodo, G. appare inoltre un teologo (se può essere definito tale) privo di un'adeguata conoscenza della letteratura patristica e incerto, se non addirittura manchevole, nel vocabolario teologico.
Manca uno studio approfondito dell'opera di G. (e va anche segnalato che le edizioni disponibili sono per certi versi carenti), volto a distinguere tra le sue effettive composizioni, gli appunti dei discepoli (vedi, per esempio, la Quaestio 44) e i semplici excerpta di autori più antichi (così la Quaestio 59 riproduce una argomentazione del manicheo Fotino, la Quaestio 87, come già ricordato, passi delle orazioni sulle immagini di Giovanni Damasceno ecc.). Questo vale innanzitutto per lo scritto più significativo, le 93 Quaestiones quodlibetales. Vanno inoltre ricordati il commento ai libri II-IV dei Topica aristotelici che riprende quello di Alessandro di Afrodisia e gli scritti sui sillogismi, sull'interpretazione, sulla dialettica e sulla retorica, basati su Aristotele e i commentatori più antichi. L'attribuzione a G. di una lettera indirizzata a un patriarca nel manoscritto conservato presso la Deutsche Staatsbibliothek di Berlino Gr. 208 (Phill. 1611) del XV secolo sembra per lo meno dubbia. Anche gli opuscoli sulle cinque voci a commento della Isagoge di Porfirio, traditi da un unico codice del XV secolo (Scolar.Gr., omega IV.14 [566], sul quale cfr. G. De Andrés, Catálogo de los códices griegos de la Real Biblioteca de el Escorial, III, Madrid 1967, pp. 218 s.), non sono frutto della penna di Giovanni Italo.
A Bisanzio, spentasi l'eco della condanna, il nome di G. rimase di fatto legato alla lettura annuale degli anatemi del Synodikon, dal momento che la sua opera ebbe una limitata diffusione. È così soltanto da segnalare, tacendo dei codici più tardi, la presenza dello scritto sulla dialettica nel manoscritto Gr. XI.22 (1235) della Biblioteca Marciana di Venezia, della seconda metà del XIII secolo, nel manoscritto della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze LXXI.32, copiato dallo scriba Tommaso nel 1309-10, nel Suppl. Gr. 655 del XIV secolo (Parigi, Bibl. nationale) e nel Marciano Gr. 519 (773), fatto eseguire da Bessarione nel XV secolo. L'opuscolo sull'interpretazione è invece conservato nel ms. Gr. 1843 della Bibl. nationale di Parigi, del XIII secolo.
Sembra che l'opera di G. abbia goduto di una certa fortuna nell'Italia meridionale. Una testimonianza interessante al riguardo è costituita da due codici contenenti una raccolta sostanzialmente identica dei suoi scritti (Quaestiones quodlibetales, commento ai Topica, scritti sulla dialettica e sulla retorica). Si tratta di due palinsesti, gli attuali Vat. gr. 316 (cfr. G. Mercati - P. Franchi de' Cavalieri, Codices Vaticani Graeci, I, Roma 1923, pp. 467-469) e Marciano Gr. 265 (516) (cfr. E. Mioni, Codices Graeci manuscripti Bibliothecae divi Marci Venetiarum. Thesaurus antiquus, I, Roma 1981, pp. 381-383) vergati dallo stesso copista in Terra d'Otranto durante il XIII secolo (cfr. D. Harlfinger, Die Textgeschichte der pseudo-aristotelischen Schrift Peri atomon grammon. Ein kodikologisch-kulturgeschichtlicher Beitrag zur Klärung der Überlieferungsverhältnisse im Corpus Aristotelicum, Amsterdam 1971, pp. 147 s.; A. Jacob, Culture grecque et manuscrits en Terre d'Otrante, in Atti del III Congresso internazionale di studi salentini e del I Congresso storico di Terra d'Otranto, Lecce… 1976, Lecce 1980, p. 56). Questa presenza di G. va verosimilmente collegata alla diffusione degli scritti logici, scientifici e morali di Aristotele e dei suoi commentatori (Ammonio, Porfirio) nei manoscritti di Terra d'Otranto (in merito cfr., da ultimo, B. Mondrain, La constitution du corpus d'Aristote et de ses commentateurs aux XIIIe-XIVe siècles, in Codices manuscripti, XXIX [2000], pp. 26-28). Un indizio sugli ambienti intellettuali interessati alle opere di G. è forse rappresentato dalla lettera di Giorgio Bardanes, metropolita di Corfù, all'imperatore Federico II (A. Acconcia Longo, Per la storia di Corfù nel XIII secolo, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n.s., XXII-XXIII [1985-86], pp. 209-229) in un foglio di guardia del manoscritto vaticano. Si tratta infatti di un personaggio che soggiornò per un certo tempo nel monastero di S. Nicola di Casole vicino a Otranto.
Edizioni: G. Cereteli, Ioannis Itali opuscula selecta, I, Tbilisi 1924, pp. 1-29 (sulla dialettica); II, ibid. 1926, pp. 1-32 (sui sillogismi), 33-46 (sulla retorica); Ioannes Italos, Quaestiones quodlibetales, a cura di P. Joannou, Ettal 1956; N.N. Kečakmadze, Ioannis Itali opera, Tbilisi 1966, pp. 1-16 (sulla dialettica), 16-34 (sui sillogismi), 35-42 (sulla retorica); 49-234 (quaestiones quodlibetales); 234 s. (su una dubbia lettera a un patriarca); J. Gouillard, Une lettre de (Jean) l'Italien au patriarche?, in Travaux et mémoires du Centre de recherche d'histoire et civilisation de Byzance, IX (1985), pp. 175-179 (sulla stessa lettera); S. Kotzabassi, Byzantinische Kommentatoren der aristotelischen Topik. Johannes Italos und Leon Magentinos, Thessaloniki 1999, pp. 63-108 (Commento aiTopici, II-IV). Sugli spuri opuscoli sulle cinque voci: C. Niarchos, God, the universe and man in the philosophy of John Italos, Oxford 1978, Appendix, pp. 1-77 (per i nn. 2, 3 e 4); R. Romano, Un opuscolo inedito di G. I., in Bollettino dei classici, s. 3, XIII (1992), pp. 14-24 (per il n. 4 e l'esordio del n. 3; ma il Romano ignora, tra l'altro, l'edizione precedente).
Fonti e Bibl.: J.-P. Migne, Patr. Gr., XC, col. 661a (scolio a Massimo il Confessore); G.L.F. Tafel, Annae Comnenae supplementa historiam ecclesiasticam Graecorum saec. XI et XII spectantia, Tubingae 1832, pp. 1-3 (Niceta Coniata, Thesaurus fidei orthodoxae, XXIII); Nicetas Stethatos, Opuscles et lettres, a cura di J. Darrouzès, Paris 1961, p. 136 (scolio a Niceta Stethatos); J. Darrouzès, Documents inédits d'ecclésiologie byzantine, Paris 1966, p. 304 (Niceta di Eraclea, Discorso apologetico e accusatorio); Anne Comnène, Alexiade, a cura di B. Leib, II, Paris 1967, pp. 32-40; J. Gouillard, Le Synodikon de l'Orthodoxie. Édition et commentaire, in Travaux et mémoires du Centre de recherche d'histoire et civilisation de Byzance, II (1967), pp. 57-61; Pseudo Luciano, Timarione, a cura di R. Romano, Napoli 1974, pp. 88 s.; J. 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