KRYMI (Crimi), Giovanni
Nacque il 16 ott. 1794 a Galati Tortorici (dal 1860 Galati Mamertino, centro montano in provincia di Messina) e fu battezzato nella chiesa madre, poco distante dalla casa natale, nel quartiere Panetteria, dove il padre, Nicolò, era funzionario nell'amministrazione feudale. Entrato nel seminario di Messina, a 23 anni fu ordinato sacerdote. Prese anche gli ordini regolari, forse nella Congregazione benedettino-cassinese.
Figura significativa di patriota ed ecclesiastico, il K. partecipò attivamente ai moti carbonari e a Palermo, nei primi giorni della rivoluzione del 1820, riportò una ferita alla mano sinistra. Tornato a Messina, si unì al generale G. Rosaroll nello sfortunato tentativo di conservare la costituzione. Fuggì da Messina quando i suoi amici G. Brigandi e S. Cesareo furono condannati alla pena capitale.
Arrestato per "insubordinazione al vescovo di Patti" (dalla cui diocesi, dal 1824, dipendeva Galati), diffuse il latomismo tra i detenuti.
Con l'abate F. Bartolome, prese contatti con le vendite "La gioventù ravveduta" e "Sette dormienti"; insieme con A. Algeri (futuro console) nel 1826 fu a capo della "Repubblica Romana", una società segreta nata a Palermo ed estesa a Messina, dove prese forma di circolo politico-letterario con un regolare statuto e un buon numero di affiliati, tutti ben noti alla polizia giacché - a quanto sembra - la setta era stata creata, con l'inconsapevole appoggio del K., da A. Costa (nipote di I. Costa, carbonaro di antica data), su incarico segreto del luogotenente Ugo delle Favare. Tra gli aderenti figuravano A. Catara-Lettieri, G. Di Bella, F. Cundari, il barone Sofia con il fratello e il nipote, A. e I. Patania, F. Capasso, A. Mangano, G. Doller, A. David, N. Scuderi, un Ricciardi e un Ribaudi.
Nel 1827 la setta messinese fu soppressa dalla polizia e i cospiratori arrestati. Trascinati in catene a Palermo, il K. e i suoi compagni furono giudicati dalla Commissione suprema. La sentenza fu esemplare: il K. e il segretario della setta furono condannati alla forca, parecchi ai lavori forzati. Tre giorni prima dell'esecuzione arrivò la grazia e il K., in virtù del concordato con la Chiesa, ebbe la pena di morte commutata in ergastolo. Il 29 genn. 1828 inoltrò una supplica al re e, con l'appoggio di eminenti personaggi, la pena dell'ergastolo gli fu ridotta a 24 anni di prigionia, che cominciò a espiare nell'Arsenale di Palermo, dove patì nuove incriminazioni per le rivelazioni di un sergente addetto alla custodia dei prigionieri. Portato alla Colombaia di Trapani, il K. fu detenuto prima nell'ergastolo di Santo Stefano, e quindi nel bagno penale di Nisida.
Nel marzo 1845 fu sottoposto a domicilio coatto a Napoli e rifiutò una cappellania di marina, che considerò "come un dono funesto ed insidiatore" (Guardione, 1915, p. 610). Liberato, nel 1847 rientrò a Messina, dove aderì all'associazione segreta che si riuniva in casa di F. Saccà e visse impartendo lezioni di latino e conducendo un'esistenza grama, giacché, come ci informa egli stesso, "trovai tutti miei beni depredati e venduti da' miei congiunti, e per due anni mendicai un pane alla pietà dei fedeli" (ibid.).
Il 1° sett. 1847 il K. fu tra i capi della rivolta messinese. Insieme con A. Pracanica e P. Restuccia (o Ristuccia) organizzò le squadre armate che diedero il via alla sollevazione e si distinse nel breve combattimento ingaggiato nel piazzale del Duomo tra le bande degli insorti, che si erano lì raggruppati, e le truppe provenienti dalla Cittadella. Fallito il tentativo insurrezionale, fuggì travestito da accattone ma la sera del 6 settembre fu sorpreso nella marina di Alì dai gendarmi. Perquisito (gli furono trovati addosso un pugnale e le Istituzioni oratorie di Cicerone), fu riconosciuto dal giudice di circondario, V. Malabrì Zappalà.
Due elementi ne compromisero la posizione: le modalità della sua cattura e i trascorsi di cospiratore, con condanne per furto e "implicità in falso". Il 7 settembre fu portato sopra un asino, per scherno e beffa, come un ladro, per le vie della città e tradotto nella cittadella di Messina per essere giudicato da un tribunale straordinario. In attesa della sentenza, emessa il 1° ottobre, il K. subì ogni sorta di afflizione, mentre l'azione repressiva del governo colpiva anche altri esponenti del clero messinese, come il sacerdote C. Allegra e i cappellani S. Gerardi e F. Impalà. Il K. fu condannato alla pena capitale, ma l'abito sacerdotale lo protesse ancora una volta, giacché per eseguire la pena occorreva la ratifica pontificia (come disposto dalla legge del 30 sett. 1839), che non arrivò mai perché il cardinale arcivescovo F. Villadicani, per proteggerlo, non riunì la commissione di tre prelati che doveva sanzionare la sentenza.
Scoppiata la rivoluzione del '48, il 30 gennaio il K. uscì di prigione e corse a combattere contro i Borbonici asserragliati nelle fortezze. Fervido ed entusiasta "rivoluzionario bollente", il 5 aprile stampò la Lettera al popolo di Messina, ricca di spunti autobiografici. Il 1° maggio, per mezzo del viceconsole francese, fece pervenire al generale P. Pronio (comandante delle truppe regie assediate nella Cittadella) una lettera, con la quale, apostrofandolo "vilissimo schiavo della tirannide", lo sfidava a duello, da combattersi nel piano di Terranova alla presenza delle truppe napoletane e di un eguale numero di militi messinesi (la richiesta di sfida fu pubblicata sul foglio Il Procida, diretto da G. Lo Giudice, da dove il K. faceva sentire la sua voce insieme con A. Catara-Lettieri). Esponente dello schieramento democratico e repubblicano, il 3 maggio il K. fondò e presiedette il circolo politico La Vecchia Guardia della libertà, si preoccupò di scongiurare i disordini tra le squadre armate e il 15 giugno pubblicò l'indirizzo-protesta, Messina alla sorella Palermo e alla Rappresentanza nazionale di Sicilia, che dimostrò l'acutezza della visione politica dell'opposizione, tesa a denunciare la scarsa considerazione dei sacrifici economici e militari sopportati da Messina. Il 1° sett. 1848, mentre la flotta napoletana e l'imponente armata minacciavano la città, fece affiggere un manifesto con cui celebrò gli avvenimenti dell'anno precedente, riaffermandone gli ideali. Il vecchio cospiratore restò sulle barricate sino alla caduta di Messina, che difese con grande valore; e quando i combattimenti si fecero più accesi, appostato nella chiesa della Maddalena aprì il fuoco con due cannoni contro gli assalitori del reggimento svizzero.
Caduta Messina, il K. con G. La Masa e altri patrioti partecipò a Milazzo a un consiglio di guerra che deliberò di concentrare tutte le forze nel Palermitano. Qui il K. assoldò uomini alla guida dei quali si dimostrò intrepido combattente sino a quando, nel maggio del 1849, Palermo fu ripresa dai Borbonici. Dopo un breve arresto, si ritirò a Galati, desideroso di vivere un'esistenza appartata. Ma fu denunciato dai suoi parenti e dal notaio A. Lando. L'intendente di Messina, M. Celesti, il 5 luglio 1849 constatò che il K. viveva tranquillo "volendo chiudere i suoi giorni in pace e senza più volgere il pensiero ad utopie".
Tuttavia, per ordine di C. Filangieri, il K. fu immediatamente rinchiuso nel Bagno di Santa Teresa, dove, per le terribili condizioni di detenzione, morì nel 1854.
Fonti e Bibl.: G. Falconieri, Rigenerazione siciliana, Messina 1848, pp. 13 s.; Il popolo ed il governo siciliano nel 1848 e 1849, Malta s.d., pp. 8-13, 267; G. La Masa, Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-49 in rapporto all'Italia, Torino 1850, II, p. 620; Id., Aggiunta ai documenti…, ibid. 1851, p. 101; P. Calvi, Memorie storiche e critiche della rivoluzione siciliana del 1848, Londra 1851, I, p. 46; III, p. 320 e n.; R. Santoro, Storia delle sedizioni, cangiamenti di stato e fatti d'arme nel Regno delle Due Sicilie nel 1848-49, Napoli 1852, p. 48; C. Gemelli, Storia della rivoluzione siciliana del 1848-49, Bologna 1867, I, pp. 238 s.; R. Villari, Cospirazione e rivolta, Messina 1881, pp. 42, 93; A. Caglià-Ferro, Monografia sui fatti del 1° sett. 1847 in Messina, Messina 1881, pp. 34, 36, 60; P. Preitano, Biografie cittadine, Messina 1882 (rist. anast., ibid. 1994), pp. 110 s.; F. Guardione, Il 1° sett. 1847 in Messina, Palermo-Torino 1893, pp. 84-88; Id., Memorie storiche (Il 1° sett. 1847 in Messina. La rivoluzione del 1848 in Messina), Palermo 1897; Memorie della rivoluzione siciliana dell'anno 1848, I, La rivoluzione del '48 a Messina, a cura di G. Arenaprimo, Palermo 1898, pp. 47-49; V. Labate, Un decennio di carboneria in Sicilia (1821-1831), Roma-Milano 1904, I, pp. 285 s.; F. Guardione, G. K., in Rass. stor. del Risorgimento, II (1915), pp. 609-619 (estr., Palermo 1938); Id., G. K., in Diz. del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, III, Milano 1933, p. 310; A. La Pegna, La rivoluzione siciliana del 1848 in alcune lettere inedite di Michele Amari, Napoli 1937, p. 118; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, p. 346; Annali della città di Messina…, a cura di G. Oliva, VI, 2, Messina 1893, p. 229; VII, ibid. 1939, pp. 7 s.; L. Tomeucci, Le cinque giornate di Messina nel '48, Messina 1951, IV, p. 61; V, pp. 7, 9, 14-16, 34; VI, pp. 5, 20; G. Cerrito, Radicalismo e socialismo in Sicilia (1860-1882), Messina-Firenze 1958, p. 19; G. Calogero, I cattolici ed il Risorgimento. Don G. Crimi e don Carmine Allegra messinesi sacerdoti, in Messana, 1961; L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento. Contributo agli studi sull'Unità d'Italia, prefaz. di S. Pugliatti, Milano 1963, pp. 15 s.; S. Vicario, Un paese in montagna, s.l. 1981, pp. 99-104; Messina nell'Ottocento, Roma 1998, pp. 56, 72; N. Checco - E. Consolo, Messina nei moti del 1847-48, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXXIX (2002), pp. 4 s., 15, 34, 37; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", F. Ercole, I martiri, s.v. Crimi, Giovanni.