LAPPOLI (Pollio Lappoli, Pollastra, Pollastrino, Pollio Pollastrino), Giovanni
Nacque ad Arezzo, da Giuliano di Bernardo, nel 1465. Al cognome Pollastra, con cui fu noto e che era usato nella famiglia dagli anni Ottanta del XIV secolo, il L. aggiunse le varianti Pollio e Pollastrino (quest'ultima ripresa dal figlio Giulio). In patria tenne scuola pubblica di grammatica (incarico svolto in precedenza dallo zio Iacopo per tre volte) dal 5 genn. 1501; ebbe tra i suoi allievi Pietro Aretino e Giorgio Vasari. Quest'ultimo ricorda con affetto nelle Vite il suo insegnamento (VII, pp. 6 s.) e menziona il L. nella biografia di suo nipote, il pittore Giovanni Antonio Lappoli.
La condotta del L. avrebbe dovuto terminare il 4 genn. 1503, ma terminò nell'estate del 1502, quando prese parte alla ribellione contro il dominio fiorentino. La rivolta fu promossa dalle famiglie patrizie aretine con l'appoggio degli esuli fiorentini di parte medicea e di Vitellozzo Vitelli, signore di Città di Castello che - dopo l'esecuzione, sotto l'accusa di tradimento, del fratello Paolo, condottiero al servizio dei Fiorentini per la riconquista di Pisa - era diventato acerrimo nemico di Firenze. Non è chiaro quale sia stato il ruolo del L. nella vicenda, ma quando in agosto la rivolta fu domata egli prese la via dell'esilio e alla fine di settembre 1502 partecipò nei pressi di Perugia a una riunione della coalizione antifiorentina. In questo periodo il L. si legò a Vitellozzo Vitelli - non è noto se con una precisa mansione o per semplici sentimenti di amicizia -, che seguì fino alla strage di Senigallia del 31 dic. 1503, in cui il Vitelli, insieme con altri feudatari dell'Italia centrale, fu trucidato da Cesare Borgia. Nella seconda metà del 1503 il L. si rifugiò a Siena, dove si guadagnò da vivere come precettore dei nove figli maschi di Anton Maria Cinughi e probabilmente di altri rampolli del patriziato senese, ponendosi così sotto la protezione di Pandolfo Petrucci (tornato a Siena nel 1503 con l'aiuto dei Francesi, dopo essere stato cacciato da Cesare Borgia), di cui il Cinughi era uno dei principali sostenitori. L'eco degli avvenimenti del 1502 si avverte nelle opere del L. composte al principio dell'esilio senese: i Triumphi Fidei, Spei, Charitatis, risalenti al 1503, rimasti inediti (Siena, Biblioteca comunale, Mss., I.XI.25; con dedica ad A.M. Cinughi e alla di lui moglie Lucrezia Trecerchi); l'Opera nova della vita et morte della diva et seraphica s. Catharina da Siena. In rima. In stramotti. In capituli. Sonetti. Epistole et sextine (Siena, per Antonina de Maestro Enrigh da Cologna et Andrea Piasentino, 1505; poi Venezia, G. Rusconi a istanza di N. Zopino, 1511); il poema latino in tre libri Lunaidos, celebrativo della famiglia Piccolomini, alle cui cinque lune araldiche si riferisce il titolo, sul modello degli staziani Thebaidos e Achilleidos (Siena, Andrea da Piacenza, 1505; la dedica a Piero Piccolomini, in data 25 nov. 1505, è di sei mesi posteriore a quella della Catharina).
Il L. riferisce con drammaticità gli eventi di cui è stato spettatore, adottando un tono moraleggiante e allegorico che non sempre consente una limpida comprensione dei fatti, ma caratteristico di una mentalità umanistica che non può prescindere da memorie classiche e tende a presentare fatti e personaggi contemporanei circondati da un alone letterario. Era questa una forma di poesia su argomenti storici attardata e condizionata da pesanti retaggi umanistici, ma non del tutto inattuale e dunque apprezzata da contemporanei, come dimostra il fatto che fu praticata anche dal Machiavelli dei Decennali.
I legami instaurati dal L. con gli ambienti universitari e i circoli colti senesi sono provati dalle poesie di encomio che corredano le opere a stampa.
Nell'Opera nova figurano i giuristi Lancilotto Politi (professore dal 1503 al 1513, più noto con il nome di Ambrogio Catarino assunto quando entrò nell'Ordine domenicano nel 1517) e Niccolò di Cristoforo Piccolomini, il professore di umanità Domenico Placidi; inoltre l'allievo Pier Francesco Cinughi, Baldassarre da Anghiari, Filidoro Aretino, Girolamo Aretino. Nella commedia del L. Parthenio, stampata nel 1520 da Michelagnolo di Bartolomeo, sono tre componimenti in volgare di Giovanni "Politiano", forse da identificare con lo stesso Giovanni Cristino Politi, presente anche con un epigramma latino e autore dell'egloga La Meca (Siena 1521); altri versi sono dei più oscuri Bartholomeo Venturelli "Faliscus" e Lattanzio Landucci. Non è accertata l'affiliazione del L. all'Accademia degli Intronati, ma è certa l'influenza che esercitò sulla generazione di letterati senesi protagonisti di quell'esperienza: Marcantonio Cinuzzi - lo Scacciato Intronato - lodò il L. in un sonetto allegato all'edizione senese del 1547 della Commedia del vitio muliebre di Mariano Francesco Trinci, tra i Rozzi conosciuto come "il Maniscalco".
L'esilio del L. terminò dopo il ritorno dei Medici a Firenze nel 1512, che egli salutò con versi latini al cardinale Giovanni de' Medici (tra cui un De Medicis. De reditu Medicae familiae in patriam, in Carmina illustrium…, pp. 412 s.) e una nuova dedica, al medesimo Giovanni, in data 23 ott. 1512, dei Triumphi, profondamente rimaneggiati (Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Mss., Gamma R.1.31). Il favore dei Medici, in particolare di Giuliano, fratello di Giovanni, nel frattempo divenuto papa Leone X, si fece sentire già prima del rientro del L. ad Arezzo, avvenuto il 1° maggio 1515: poco prima del luglio 1514 egli ottenne il canonicato della pieve di S. Maria, la seconda chiesa aretina per importanza dopo la cattedrale, della quale sarebbe divenuto canonico prima del marzo 1525. Il 4 dic. 1514 gli fu di nuovo assegnata dal Comune la condotta di grammatica - con l'onorevole salario di 100 fiorini più l'abitazione -, che esercitò fino al 30 apr. 1521. In occasione del passaggio in città del pontefice (20-22 nov. 1515), sulla via di Bologna per incontrare Francesco I, il L. ebbe un ruolo di primo piano nei festeggiamenti: compose le scritte latine di uno dei tre archi trionfali eretti per l'occasione e pronunciò un'orazione latina; fu anche recitata, riferiscono le cronache senza darne il titolo, una sua commedia latina, non altrimenti nota e che perciò non è escluso sia da identificare con il Parthenio, la commedia in lingua del L., e che il lapsus sia dovuto alla consolidata fama di latinista di cui egli godeva.
Il Parthenio, composto durante il periodo senese, fu messo in scena da alcuni studenti dello Studio durante il carnevale del 1516 nella sala del Concistoro del palazzo comunale, il che testimonia i legami instaurati dal L. con gli ambienti accademici, confermati dal fatto che l'edizione del 1520 fu fatta eseguire dal bidello dell'Università Antonio Landi. Il prestigio di umanista di cui godeva il L. non consente di ricondurre la sua figura di commediografo a quelle di drammaturghi-artigiani inquadrati nell'attività dei cosiddetti pre-Rozzi e Rozzi, e va piuttosto considerata un precedente della commedia romantica inaugurata dagli Intronati con la recita degli Ingannati, seguita alla cerimonia allegorica del Sacrificio, nell'Epifania del 1532.
Diviso canonicamente in cinque atti, preceduti da un prologo che lo collega alla tradizione plautino-terenziana e a precetti oraziani, il Parthenio esce largamente dai canoni della commedia antiqua che si andava affermando in quegli stessi anni con la Cassaria dell'Ariosto, la Calandria di Bernardo Dovizi (stampata a Siena nel 1521 per Michelangelo di Bartolomeo su iniziativa di A. Landi, proprio come il Parthenio), la Mandragola di Machiavelli. L'azione, incentrata sulla storia del protagonista alla ricerca di un padre sultano e di Galicella, da lui sposata all'inizio del viaggio e subito abbandonata, spazia per la Grecia e l'Asia, ha una durata superiore a un anno e prevede ben trentotto personaggi (tra cui Cupido, Fortuna, il sultano, cortigiani babilonesi, pastori greci, banditi, un mago e così via). La trama è il risultato dell'intreccio di elementi disparati, che vanno dal realismo plebeo tipico della farsa, all'amore idealizzato di matrice petrarchesca, al didascalismo morale, a elementi romanzeschi di derivazione cavalleresca (il nome Galicella proviene, attraverso Boiardo, dal ciclo carolingio). Alla letteratura cavalleresca riporta anche il metro prescelto, ottave intervallate da terzine.
Per gli anni successivi al rientro in patria le notizie sul L. scarseggiano. Secondo quanto afferma il figlio Giulio nell'edizione postuma della commedia latina Polindea (Romae 1543 [colophon 1544]), durante l'assedio di Firenze egli sarebbe stato rinchiuso nel carcere fiorentino delle Stinche come ostaggio e vi avrebbe appunto composto la commedia (una Satyra sulla permanenza alle Stinche in Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 5225, cc. 573-574).
Il 1° giugno 1532 il L. scrisse all'Aretino chiedendogli di adoperarsi per promuovere la stampa della sua antica opera profondamente trasformata e ora intitolata Trionfi sagri (Arezzo, Biblioteca comunale, Mss., 20, cc. 185-187r, autografo, con dedica aggiunta dal figlio Giulio nel 1556 a Cosimo I de' Medici), divenuto un farraginoso prosimetron, che, sul modello dell'Amorosa visione del Boccaccio e dei Trionfi del Petrarca, è infarcito di cataloghi di santi, scrittori sacri e profani, personaggi storici e biblici e così via.
L'Aretino non andò oltre l'annuncio dell'uscita prossima dell'opera nella Cortigiana (II redazione [1534], III, 7, 14; altra menzione del L. in Marescalco, V, 3, 6). Il 7 luglio 1537 si scusò del silenzio, chiedendo con tono assai familiare di avere un saggio dello scritto. Il L. non si fece pregare, ma già il 28 agosto Pietro, dopo qualche espressione di circostanza, formulò un'inclemente stroncatura. Dimostrando una modernità e una sicurezza di gusto che molto lo allontanano dalla mentalità scolastica e attardata del suo antico precettore, l'Aretino rimprovera la troppo aderente imitazione petrarchesca, l'eccesso di digressioni, ma anche vere e proprie improprietà linguistiche. Il L. si risentì per l'atteggiamento sprezzante e replicò con una Satyra (in Procaccioli) in cui, con tono sermoneggiante oraziano (condito da aneddoti e apologhi) e con urbanità di modi, ribadì le sue idee in materia di poetica. L'atteggiamento misurato del L. risulta anche da un sonetto in sua difesa che Niccolò Franco inserì tra le Rime contro Pietro Aretino, nel quale l'amicizia del L. per Pietro è dichiarata intatta nonostante lo sleale comportamento di quest'ultimo.
La commistione di idee cristiane, motivi pagani, motivi storici e allegorici, che caratterizzava le opere del L. doveva apparire stravagante non solo all'Aretino, se Vasari, a proposito dei cartoni dipinti dal Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Jacopo) per la chiesa di S. Maria delle Lacrime (oggi Ss. Annunziata) ad Arezzo su un soggetto del L., parla di "bizzarrie, che dal bello ingegno di messer Giovanni Pollastra, canonico aretino e amico del Rosso, furono trovate" (Vasari, V, p. 164). Da Vasari (VI, pp. 12 s.) sappiamo inoltre che nel 1534 una commedia del L., "guidata da lui medesimo" e con prospettiva di G.A. Lappoli, fu recitata ad Arezzo dagli Accademici Infiammati in occasione della visita del duca Alessandro de' Medici. Nel 1537, quando Vasari si risolse ad abbandonare la vita delle corti per dedicarsi alla professione dell'arte, fu chiamato dai monaci di Camaldoli "per mezzo di Giovanni Pollastra, […] al quale sempre mi sono raccomandato, e dal quale riconosco ed ho riconosciuto sempre ogni mio bene" (VII, p. 660), e il 1° agosto gli inviò una lettera di ringraziamento, esaltando i pregi della vita claustrale (VIII, pp. 273 s.).
È questa l'ultima notizia pervenuta sul L., che morì ad Arezzo il 23 ag. 1540.
Del L. resta inedita la composizione poetica Rapina della verità, figliuola della terra, et del sole, dedicata a Bartolomeo Lanfredini maggiordomo del duca Cosimo de' Medici, Firenze, Biblioteca Moreniana, Mss. Moreniani, 262 (manoscritto del figlio Giulio). Quindici Strambotti novi de messer Zan Polio Aretino alias Polastrino furono pubblicati insieme con le Stantie nove de miser Antonio Thibaldeo…, Venezia 1522. Postumi videro la luce, oltre alla Polindea, Il sesto di Virgilio tradotto in lingua toscana, in versi sciolti (Venezia, N. Zoppino, 1540; dedica del 15 ag. 1539 al vescovo eletto di Arezzo Bernardetto Minerbetti); i trattati di grammatica De componendis carminibus opusculum elego carmine editum, stampato in uno con l'Ars metrica. De quantitate syllabarum in componendis versibus necessaria di Luca Gaurico, e l'Ars metrica de quantitate syllabarum in componendis versibus necessaria (entrambi Roma, B. Giunta, 1541); la canzone petrarcheggiante Occhi lassi, occhi miei e nove distici latini in Rime toscane et epigrammi latini in morte della diva Cleopatra aretina da diversi aretini composti… (Venezia, s.t., 1547). Poesie latine del L. sono in Carmina illustrium poetarum Italorum, Firenze 1720, pp. 405-413; il Parthenio e i Triumphi nella redazione 1503 sono pubblicati in L.G. Clubb - R. Black, Romance and Aretine humanism in sienese comedy, 1516: Pollastra's "Parthenio" at the Studio di Siena, Firenze 1993. Per altre opere manoscritte cfr. Black, p. 222.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite…(1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, V, p. 164; VI, pp. 10-13; VII, pp. 6 s., 660; VIII, pp. 273 s.; N. Franco, Rime contro Pietro Aretino, a cura di E. Sicardi, Lanciano 1916, p. 46; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, Libro primo, Roma 1997, pp. 239 s., 258-260; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, I, Roma 2003, pp. 146-148; J. Kliemann, Vasari, Pollastra e l'allegoria della "Concezione", in Giorgio Vasari. Principi, letterati e artisti nelle carte di Giorgio Vasari. Pittura vasariana dal 1532 al 1554…, Firenze 1981, pp. 103 s.; R. Black, Humanism and education in Renaissance Arezzo, in I Tatti Studies, II (1987), pp. 220-223; P. Procaccioli, Corrispondenti aretiniani. G. Pollio L., il Pollastra, e una sua satira inedita, in Filologia e critica, XVIII (1993), pp. 70-86; L.G. Clubb, Pre-Rozzi e Pre-Intronati allo Studio di Siena, in Umanesimo a Siena. Letteratura, arti figurative, musica. Atti del Convegno… 1991, a cura di E. Cioni - D. Fausti, Siena 1994, pp. 149-170; Id., Theatrical examples for Aretino, "da Siena, studiante in libris, venuto a Roma", in Pietro Aretino nel cinquecentenario della nascita. Atti del Convegno di Roma-Viterbo-Arezzo… 1992, Toronto… 1992, Los Angeles… 1992, Roma 1995, pp. 981-1008; A. Corsaro, Fortuna e imitazione nel Cinquecento, in I "Triumphi" di Francesco Petrarca. Gargnano del Garda (1-3 ott. 1998), a cura di C. Berra, Bologna 1999, pp. 443-449, 481-484.