LAURETO, Giovanni
Nacque a Cava de' Tirreni, presso Salerno, intorno al 1518; dei genitori non si conoscono i nomi. Grande parte delle notizie sul L. si ricavano dalla deposizione e dalla confessione autografa che questi rilasciò nell'ottobre del 1553 davanti al tribunale del S. Uffizio di Venezia, chiedendo l'assoluzione per gli "errori et impietà" commessi. Intorno al 1535, all'età di 17 o 18 anni, era entrato nel monastero benedettino di S. Maria di Monte Oliveto a Napoli, e conseguì anche l'ordine sacerdotale. Dopo aver trascorso nel monastero circa otto anni, forse influenzato dalla frequentazione del confratello Lorenzo Tizzano, lasciò l'Ordine senza licenza dei superiori. Dopo un periodo di vagabondaggio tornò a Napoli e ottenne dalla S. Sede la dispensa per poter entrare come canonico regolare di S. Agostino nel monastero di S. Annelo e l'autorizzazione a vestire l'abito di prete secolare.
Dopo circa un anno strinse amicizia con un funzionario spagnolo della cerchia del viceré di Napoli, probabilmente Francisco de Prado, che lo istruì nella dottrina luterana e lo convinse a lasciare Napoli per trasferirsi con lui in Germania. Ammalatosi a Genova, una delle tappe del viaggio che i due avevano intrapreso intorno al 1548, il L. si separò da de Prado. Decise allora di stabilirsi per un paio d'anni a Piacenza al servizio della nobildonna napoletana Isabella Bresegna, moglie del locale governatore García Manrique, fra le più illustri seguaci di Juan de Valdés. Isabella Bresegna garantì al L. la protezione necessaria per vivere "da lutherano" e gli affidò il compito di accogliere e guidare quanti, tra i simpatizzanti della Riforma, giungessero in città. Pochi mesi dopo il suo arrivo a Piacenza, il L. conobbe l'abate calabrese Girolamo Busale, al quale la nobildonna aveva affidato un incarico come segretario.
Busale sottopose al L. i suoi dubbi sulla divinità di Cristo e lo esortò ad approfondire la conoscenza del greco e dell'ebraico per poter attingere la verità del messaggio evangelico, che egli sosteneva fosse stato alterato e corrotto nel tempo. Coinvolto dallo scandalo suscitato in città dalla predicazione di Domenico Cabianca da Bassano, nel settembre del 1550 il L. raggiunse Busale a Padova, dove l'abate si era trasferito qualche mese prima. I due entrarono subito a far parte della turbolenta comunità anabattista di Padova e si fecero ribattezzare da Benedetto da Asolo e Nicola d'Alessandro di Treviso. Dalla testimonianza di Alvise De' Colti risulta che il L. e Busale avevano introdotto nella comunità una versione giudaizzante dell'antitrinitarismo: Cristo non era il messia, ma un profeta generato da "seme humano". Temendo in febbraio un intervento del legato pontificio Ludovico Beccadelli, i membri della comunità persuasero il L. e Busale a fuggire a Napoli, dove l'abate aveva lasciato la sua famiglia e dove avrebbero potuto continuare la loro opera di proselitismo.
Durante il viaggio il L. rimase profondamente turbato dai toni esasperati e angosciati che andava assumendo la predicazione del compagno, profeta di persecuzioni per gli anabattisti e di terribili punizioni divine per i loro persecutori. La predicazione dell'abate aveva suscitato forti preoccupazioni anche tra i suoi familiari, che riuscirono a convincerlo, con l'aiuto del L., a rifugiarsi ad Alessandria d'Egitto. Rimasto a Napoli, probabilmente per intercessione di Isabella Bresegna, il L. entrò al servizio di Giulia Gonzaga. L'amicizia con Tizzano lo portò a rafforzare i dubbi cristologici e la loro predicazione divenne così audace da essere annoverati da Pietro Manelfi tra gli esponenti della "nova seta d'heretici" in Napoli. Dopo meno di un mese il L. dovette lasciare la casa di Giulia Gonzaga per i timori suscitati dall'arresto di Apollonio Merenda. Ritornato a Padova, visse per circa quattro mesi in compagnia di Bruno Busale, fratello dell'abate, e di Tizzano, che in quei mesi aveva assunto il falso nome di Benedetto Florio. La cattura di Bruno Busale costrinse ancora una volta il L. ad allontanarsi dalla città che lo ospitava, questa volta per dirigersi, dopo una breve tappa a Ferrara, a Salonicco, dove era presente una comunità di anabattisti, tra cui quel Nicola d'Alessandro che egli aveva conosciuto qualche anno prima a Padova. Il L. non si unì al gruppo, poiché durante l'ultimo soggiorno a Padova era stato "scomunicato" da Nicola d'Alessandro e dai suoi seguaci a causa di dissapori sorti in merito alla proibizione di leggere altri libri all'infuori del Vecchio e del Nuovo Testamento. Deciso a sfruttare l'occasione che gli si offriva, credendo che "tuto il fatto consistesse in intender bene la lingua hebrea", si spinse a cercare illuminazione presso i rabbini per poi convertirsi all'ebraismo.
Lo spirito sempre inappagato del L. lo portò dopo soli cinque mesi ad abbandonare anche questa nuova "setta", rea di fondarsi, come quella luterana e quella anabattista, solo su "baie, superstitioni e ciance". Riuscì dunque con uno stratagemma ad arrivare a Costantinopoli e di qui a imbarcarsi su una nave diretta a Venezia (1553), deciso a ottenere dal padre inquisitore l'assoluzione e addirittura la restituzione dello stato di prete secolare concessagli dal priore di S. Annelo. Nella sua deposizione Giulio Basalù afferma di avere appreso che il L., imprigionato in seguito alla confessione, era riuscito a fuggire ed era stato bandito.
Non sono noti data e luogo della morte del Laureto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Savi all'eresia (Santo Ufficio), Processi (fascicoli processuali), bb. 9: Pietro Manelfi; 11: 1553 2° et 1564 1°, cc. 9-11 (la deposizione del L.); 13: Giulio Basalù; 24: Alvise De' Colti; 25 (5 ott. 1553, la confessione del L.); C. Ginzburg, I costituti di don Pietro Manelfi, Firenze-Chicago 1970, pp. 47, 68 s.; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, Roma 2000, p. 1126; D. Berti, Di Giovanni Valdés e di taluni suoi discepoli secondo nuovi documenti tolti dall'Archivio veneto, in Atti della R. Accademia dei Lincei. Transunti, s. 3, II (1877-78), pp. 63, 68, 72; M.E. Pommier, L'itinéraire religieux d'un moine vagabond italien au XVIe siècle [G. L.], in Mélanges d'archéologie et d'histoire, de l'École française de Rome, LXI (1954), pp. 293-322; A. Stella, Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Padova 1967, pp. 34, 58, 81, 95, 100, 102; Id., Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche, Padova 1969, ad ind.; A.J. Schutte, Busale, Girolamo, in Diz. biografico degli Italiani, XV, Roma 1972, pp. 476 s.; Id., Busale, Matteo, ibid., p. 478; Id., Busale, Bruno, ibid., pp. 478 s.; L. Amabile, Il S. Officio della Inquisizione a Napoli (1892), Soveria Mannelli 1987, pp. 158 s.; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1990, pp. 206-208; M. Firpo, Tra alumbrados e "spirituali". Studi su Juan de Valdés e il valdesianesimo nella crisi religiosa del Cinquecento italiano, Firenze 1990, pp. 34, 91, 95 s., 98; R.H. Bainton, Donne della Riforma, Torino 1992, pp. 274-276; M. Firpo, Dal sacco di Roma all'Inquisizione. Studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana, Torino 1998, pp. 66, 78; D. Marcatto, "Questo passo dell'heresia". Pierantonio Di Capua tra valdesiani, "spirituali" e Inquisizione, Napoli 2003, p. 46.