SARTORI, Giovanni Leonardo (Giovanni Leone Nardi, Giovanni Leonardi, Giovanni Leonardo Sertori). – Nacque a Chieri (Torino)
verso il 1500, membro di una famiglia di agiati proprietari fondiari, attestata dal XV secolo. La varia denominazione e il netto cambiamento di vita generò errori circa la grafia del suo nome e la sua identità, ora risolti attraverso documenti autografi.
Ebbe una discreta formazione scolastica e professionale. Notaio pubblico a venticinque anni, fece una brillante carriera come funzionario di Carlo II di Savoia e di sua moglie Beatrice di Portogallo, che lo tennero in grande stima e fiducia. Fu segretario e ricevitore fiscale del duca (dal 1531), tesoriere delle entrate ordinarie e straordinarie della città e della contea di Asti (dal 1535 al 1541), consigliere di corte e incaricato in delicate missioni finanziarie, politiche, diplomatiche nel ducato. Lettere e attestati dei duchi e dei funzionari testimoniano del suo operato, nel quale si distinse per senso istituzionale, rigore morale, fedeltà ai sovrani, abilità nel maneggio degli affari, soprattutto nella risoluzione della penuria erariale durante il drammatico periodo dell’occupazione francese del ducato, causata dalla decisione di Carlo II di allearsi nel 1535 con l’imperatore Carlo V nel teatro delle guerre d’Italia. Grazie ai suoi servigi, ottenne il titolo nobiliare e un considerevole patrimonio fondiario, di un valore di oltre 2200 fiorini, comprendente anche una porzione del Castello di Castelguelfo presso Chieri, con una masseria e ampi appezzamenti di terreni lavorativi. Beatrice di Savoia lo beneficiò, nel suo testamento, di un lascito di 50 scudi.
Dal 1541 si ritirò a Chieri con la famiglia, la quale dieci anni più tardi risultava composta dalla moglie Louise Albier e da sette figli (Niccolò, Giovanni Francesco, Filippo, Sebastiano, Carlo, Laura, Caterina). Non sono documentate le esperienze che determinarono il suo passaggio all’eterodossia, per cui divenne un esule e un utopista visionario «eretico per tutte le Chiese». Dovettero però essere decisivi la predicazione e gli scritti del famoso priore dei carmelitani Giovan Battista Pallavicini alla fine degli anni Venti. Restarono infatti caratteristiche del pensiero di Sartori le idee fondamentali di questo religioso, il rigoroso biblicismo e l’annunzio profetico del prossimo avvento di una Chiesa di eletti.
Favorì presumibilmente la conversione anche la sua mobilità in Piemonte, territorio di alta densità ereticale, e la sua residenza a Chieri, considerata una ‘piccola Ginevra’ per l’attività della conventicola raccolta da Giampietro Buschetti, titolare di un beneficio ecclesiastico e allievo di Giovanni Calvino. Dalla loro corrispondenza emerge la peculiare formula di compromesso religioso trovata a Chieri e il conseguente coinvolgimento della comunità nel dibattito europeo sul nicodemismo scaturito a seguito della vicenda di Francesco Spiera, morto disperato per aver abiurato la fede riformata nel 1548. Lesse presumibilmente con i suoi confratelli il De vitandis superstitionibus (1549) di Calvino, inviato a Buschetti; fece comunque propria per la vita la posizione antinicodemitica calviniana.
Nell’immediato manifestò più apertamente la propria adesione alla Riforma, rispondendo con un testo sull’eucaristia al Le bouclier de la foy (1547) di Nicolas Grenier, poi rimaneggiato nell’In scutum malae fidei Nicolae Granarii e pubblicato come parte della sua opera maggiore, i Tabularum duarum legis evangelicae, gratiae, spiritus et vitae libri quinque (Basilea, Iacob Parcus, 1553). In quel periodo ebbe luogo anche l’evento decisivo della vita di Sartori: l’illuminazione spirituale e la nascita come profeta legislatore, «secondo Mosè» in base alla sua definizione. Con questo ruolo egli iniziò il suo pellegrinaggio per l’Europa, con ardente spirito evangelizzatore. Tale cesura fu marcata dal cambiamento del nome: il nobile funzionario chierese si firmò da allora «Iohannes Leo Nardus».
La notte di Natale del 1550 si presentò a Ginevra da Calvino, abbigliato secondo l’elevato rango sociale, e lo costrinse ad ascoltare le rivelazioni dettategli da Dio per il rinnovamento della teologia e della comunità cristiana, basate su un radicale spiritualismo. Il riformatore lo giudicò allora solo un presuntuoso e un «pazzo ridicolo», e agli inizi del gennaio del 1551 Sartori fu cacciato dalla città. Qualche mese dopo era a Londra, presumibilmente attratto dal progetto dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer di realizzare un concilio ecumenico protestante da contrapporre al Tridentino. Compose qui un libretto destinato anch’esso a confluire nelle Tabulae duae, il Gladius versatilis deitatis Iesu Christi domini nostri, dove il suo pensiero religioso appare già formato, in particolare relativamente alla sua dottrina radicalmente cristocentrica (ma ortodossa quanto alla natura del Figlio). Forse mostrò il testo ai ministri della Chiesa di Londra, che incontrò in qualità di «messo divino» e che per questa pretesa lo respinsero scandalizzati, come sostenne nelle sue Revelationes. Nello scritto, la successiva ascesa al trono di Maria Tudor fu interpretata come il giusto castigo divino contro l’arroganza dimostrata dai ministri inglesi verso Dio.
Già nell’aprile del 1551 Sartori si trovava nelle Fiandre, dove fu imprigionato a seguito di un incidente diplomatico causato dal suo tentativo di inviare in Francia un proprio testo, molto probabilmente l’In scutum, con lettere di accompagnamento per un personaggio in vista. Il caso fu risolto grazie all’intervento dell’ambasciatore inglese presso Carlo V, Richard Morison, che lo conosceva personalmente e ne prese le parti presso il cardinale Antoine Perrenot di Granvelle. La sua linea difensiva poggiò sulla sostanziale e innocua follia di Sartori, dimostrata dalle sue visioni e rivelazioni. Nel gennaio del 1552 Sartori poté così raggiungere la famiglia a Ginevra, che nel frattempo vi si era trasferita, dove ottenne il diritto di cittadinanza, conseguito successivamente anche da tre dei suoi figli (Filippo, Sebastiano, Carlo), che raggiunsero posizioni di prestigio nella società ginevrina.
Sartori si immatricolò invece all’Università di Basilea nell’anno accademico 1552-53, per godere, oltre che dei privilegi accademici, della cosmopolita vita accademica e cittadina. Fu un soggiorno determinante per la sua produzione religiosa e per le relazioni strette con gli accademici membri del Baslerkreis, il circolo che adunava gli spiriti più colti e liberali della città. Beneficiò del sostegno di Bonifacio Amerbach, legale della città e amministratore dell’Erasmusstiftung. Fu ospite e interlocutore dell’umanista Celio Secondo Curione, forse già conosciuto in patria, e di affini idee spiritualiste. Ebbe contatti con l’umanista Sebastiano Castellione e con David Joris, il capo anabattista residente a Basilea sotto mentite spoglie. Particolarmente importante fu il suo rapporto con Martin Borrhaus, professore di Sacra Scrittura, ma di idee e frequentazioni religiose non conformiste. Borrhaus lo stimò molto e ne condivise le posizioni religiose, tanto da incoraggiare la pubblicazione delle Tabulae duae a Basilea e poi da suggergli di infrangere il decreto di censura dell’opera emesso dalle autorità accademiche, divulgando il libro, sia pure in maniera segreta.
L’opera si compone di cinque scritti, redatti dal 1550 circa al 1552, che formano comunque un insieme unitario. Sono raccolti in due parti: nella prima Tabula vi è il summenzionato Gladius versatilis e il Quomodo necessarium sit cuilibet Christo fideli habere spiritum sanctum: et ad quae signa qui cognoscet secum habere: tertio autem, qui non habet ipsum, qua via illum impetrare queat; nella seconda l’Apocalypsis expositio; il già ricordato In scutum; una Admonitio ad principes e la Lucida explanatio super librum Alchoranum legis Saracenorum seu Turcarum, in quo manifesta est Evangelii Dei et domini nostri Iesu Christi confirmatio, et ostenditur quam male liber ipse hactenus fuerit intellectus, comprensiva explanatio in doctrina Mahumeti, quae apud Saracenos magnae est autoritatis.
Vi si trova illustrata la visione religiosa complessiva di Sartori, incentrata su un rigoroso ispirazionismo, cristocentrismo, spiritualismo, mirante a un rinnovamento completo della società cristiana attraverso la palingenesi spirituale e la coerenza con il messaggio evangelico di Cristo, al fine di realizzare una Chiesa e una concordia universali. L’apoditticità con cui proclamò questi principi, anche in forza del crisma spirituale, rese il suo pensiero molto radicale ed eversivo nei confronti di tutte le Chiese costituite. Di grande impatto anche il suo universalismo, fondato sulla ricerca di un accordo con le altre fedi in un clima di tolleranza. In particolare, nella Lucida explanatio Sartori cercò di individuare le affinità dottrinali con l’Islam, attraverso una disamina del testo coranico.
Intervenne inoltre, insieme al Baslerkreis, contro la persecuzione religiosa nella controversia scatenata dall’esecuzione a Ginevra, nell’ottobre del 1553, del medico antitrinitario spagnolo Michele Serveto. «Dictante Spiritu» compose una serie di testi che presentò alle autorità ecclesiastiche e politiche della Svizzera, sia cattoliche sia riformate, per organizzare dibattiti pubblici e attuare una riforma religiosa conforme alle «verità divine» a lui rivelate: sette scritti (oggi perduti), le Septem conclusiones (anche in versione francese) e una lunga Exposicio di esse, che furono inserite nelle Revelationes factae Iohannis Leonis Nardi, composte nel dicembre 1553 e rimaste manoscritte sino a una recente edizione (Felici, 2010, pp. 325-354). Le Revelationes costituiscono una vera e propria autobiografia di un visionario. In una forma immaginifica molto suggestiva, e con un’interpretazione attualizzante del testo biblico, Sartori vi ripercorse lo sviluppo del suo pensiero, le tappe e gli eventi della sua missione profetica attraverso le visioni di Cristo che li accompagnarono. Esemplata sul modello della storia biblica di Mosè, la sua azione riformatrice come messaggero di Dio trovò così piena legittimazione.
Nel 1554 intraprese (grazie ai fondi erasmiani) un viaggio di evangelizzazione a Berna, Ginevra, Losanna, Strasburgo, Zurigo, scontrandosi generalmente con reazioni di fermo rifiuto: fu espulso ovunque. Calvino lo giudicò «degno della croce». Il capo della Chiesa zurighese Heinrich Bullinger raccolse comunque su di lui un dossier, forse in vista di un loro incontro. Respinto dal riformatore Pier Paolo Vergerio a Stoccarda, attaccato da Grenier in uno scritto anonimo accluso alla seconda edizione del Bouclier de la foy (1555), fu arrestato a Chambéry mentre cercava di far ritorno nel Ducato di Savoia con una parte di suoi scritti, verosimilmente per attuarvi il progetto di apostolato fallito in terra protestante.
Consegnato al Parlamento di Torino, morì in attesa della sentenza definitiva nelle carceri di Chieri nei primi mesi del 1556.
Il figlio Niccolò, nato a Chieri nel 1531, dopo il trasferimento della famiglia a Ginevra studiò a Losanna e si dedicò all’attività mercantile. Malgrado l’intervento del Consiglio cittadino di Berna, perì sul rogo ad Aosta il 4 maggio 1557 a causa dell’intensa attività di evangelizzazione intrapresa nella città. Il suo martirio ebbe vasta eco nel ducato e Oltralpe, anche grazie alla propaganda della storiografia protestante.
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