LEONE, Giovanni
Nacque a Napoli il 3 nov. 1908 da Mauro, avvocato, e da Maria Gioffredi. Trascorse l'infanzia e il periodo scolastico a Pomigliano d'Arco, dove conseguì la maturità classica nel 1924.
Il padre, impegnato nelle organizzazioni cattoliche, fu uno dei primi esponenti napoletani del Partito popolare italiano (PPI), fino a quando, in seguito all'affermazione del fascismo, si ritirò nella professione.
Ancor prima che in campo politico, il L. seguì le orme paterne nella militanza tra le file dell'Azione cattolica e in ambito professionale. Ottenuta a soli ventun'anni, nel 1929, la laurea in giurisprudenza (alla quale si aggiunse l'anno successivo quella in scienze politiche e sociali, entrambe conseguite presso l'Università di Napoli), si formò e cominciò a esercitare l'attività forense frequentando lo studio di E. De Nicola. Al contempo intraprese anche la carriera accademica, pubblicando come prima monografia la sua tesi di laurea (La violazione degli obblighi di assistenza familiare, Napoli 1931). L'anno successivo conseguì la libera docenza in diritto e procedura penale, materia di cui fu incaricato nell'Università di Camerino.
Oltre che dall'esempio paterno e dagli ambienti cattolici, la formazione culturale del L. fu indubbiamente influenzata dall'insegnamento di E. Massari, esponente della cosiddetta scuola tecnico-giuridica, sotto la cui direzione si laureò, ma soprattutto dalla lezione umana e intellettuale di De Nicola, non solo come cultore del diritto, ma anche come autorevole esponente della cultura liberale antifascista (e a tale insegnamento il L. volle rendere omaggio ancora molti anni più tardi, con uno dei suoi ultimi scritti: Attualità di E. De Nicola, Napoli 1996). Alle influenze ricordate si devono aggiungere, inoltre, le possibili suggestioni che poterono pervenire al L. dalla conoscenza e dal confronto con altri giuristi affermati, ma anche dalla frequentazione di intellettuali più o meno coetanei, come F. De Martino, anch'egli collaboratore dello studio di De Nicola, e N. Bobbio, conosciuto all'Università di Camerino, con i quali stabilì durature amicizie.
Negli anni trascorsi sotto il regime fascista il L. proseguì sia l'attività di avvocato, tanto da diventare uno dei più affermati protagonisti del foro napoletano, sia la carriera accademica: vinse il concorso per professore ordinario nel 1936 e fu chiamato a insegnare prima nell'Università di Messina, poi, nel 1940, in quella di Bari, infine in quella di Napoli (che avrebbe lasciato nel 1956 per la facoltà giuridica romana, dove assunse anche la direzione dell'istituto di diritto penale).
Risalgono a quel periodo numerose opere di diritto penale, generalmente riconosciute di notevole importanza, tanto dal punto di vista del metodo (che si caratterizzò, per esempio, per l'utilizzo di categorie tratte dal diritto processuale civile), quanto per il contributo portato all'analisi dei temi affrontati. Durante gli anni Trenta diede, perciò, un apporto scientifico di primaria importanza al diritto penale italiano, sia sostanziale sia, soprattutto, processuale. Quest'ultima disciplina dovette in gran parte proprio al L. l'acquisizione di un'autonomia scientifica. Ebbe inoltre un ruolo di rilievo nella redazione del Codice della navigazione, emanato nel 1942.
Durante la guerra divenne magistrato del tribunale militare di Napoli, con il grado di tenente colonnello. All'indomani dell'8 sett. 1943, durante i drammatici giorni dell'occupazione, si adoperò efficacemente per la liberazione di numerosi prigionieri politici e disertori, sottraendoli così a possibili rappresaglie. Da questo episodio, forse, può essere datato l'inizio di un impegno politico che da quel momento non sarebbe più cessato.
Proprio in casa di un collega del tribunale militare conobbe Vittoria Michitto, appartenente a una delle più note famiglie di Caserta, che sposò nel luglio 1946.
Dopo la liberazione di Napoli, insieme con il padre (il cui prestigio si era mantenuto intatto negli ambienti politici del cattolicesimo campano), entrò a far parte della Democrazia cristiana (DC). Divenutone segretario cittadino nel 1945, partecipò attivamente al I congresso nazionale di Roma (aprile 1946), sostenendo la tesi della neutralità rispetto al referendum istituzionale. Eletto all'Assemblea costituente, per la riconosciuta competenza in campo giuridico venne chiamato a far parte della cosiddetta Commissione dei settantacinque e del comitato incaricato di redigere il testo del progetto di costituzione, detto dei diciotto. Membro della seconda sottocommissione, diede un apporto determinante all'elaborazione costituzionale, tanto a livello concettuale quanto attraverso una costante ricerca dei possibili punti di incontro tra posizioni diverse.
Il suo contributo non si limitò alle parti riguardanti l'ordinamento giudiziario e la Corte costituzionale, per le quali fu relatore, ma toccò anche diversi altri aspetti della costituzione, da lui concepita innanzitutto, secondo la lezione liberale, come strumento per "fondare un compiuto equilibrio, una compiuta sintesi fra le libertà (ovvero i diritti naturali, innati, di libertà) e l'autorità (ovvero il complesso degli interessi necessari alla vita ed allo sviluppo della società organizzata)" (Intervento del 27 marzo 1947, ora in G. Leone, Il mio contributo alla Costituzione repubblicana, s.l. 1985, p. 81).
Nell'aprile 1948 venne eletto alla Camera dei deputati nel collegio Napoli-Caserta, nel quale sarebbe stato costantemente rieletto anche nelle successive legislature, fino alla nomina a senatore a vita. All'impegno politico continuò tuttavia ad affiancare l'esercizio forense e l'insegnamento universitario, considerando a lungo tali occupazioni come aspetti prioritari della propria attività. Anche per questo, secondo alcune testimonianze, manifestò in più occasioni la volontà di non assumere incarichi governativi.
L'approccio originario all'impegno politico del L. fu d'altra parte quello tipico del notabile. In effetti, potendo contare su un proprio elettorato sufficientemente affidabile e territorialmente radicato, non condusse praticamente mai una vera e propria attività di partito, se si esclude quella indirizzata a esercitare una certa influenza sui suoi organismi a livello locale. Si mantenne, dunque, sostanzialmente estraneo alle grandi e piccole correnti in cui la DC venne rapidamente a dividersi, pur potendo essere considerato idealmente vicino all'ala conservatrice del partito.
Proprio tale posizione defilata rispetto agli schieramenti interni, accanto all'indubbia considerazione guadagnata anche agli occhi delle altre forze politiche durante i lavori della Costituente, consentì al L. di assumere un ruolo di rilievo all'interno della rappresentanza parlamentare democristiana, che lo portò, nel 1950, ad assumere la carica di vicepresidente della Camera, poi, dal maggio 1955, quella di presidente, che mantenne ininterrottamente fino al giugno 1963.
Nell'esercizio di tale carica dimostrò, oltre a un forte senso delle istituzioni e uno scrupoloso rispetto delle regole del confronto democratico, una notevole capacità di governo delle dinamiche parlamentari, padroneggiate anche attraverso quell'innegabile presenza di spirito che, presa probabilmente a prestito dal proprio bagaglio forense oltreché dalla cultura napoletana, contribuì a fare di lui un personaggio ben noto all'opinione pubblica. Al tempo stesso, seppe guadagnare consensi alla propria azione sia all'interno del partito (che trovò in lui un affidabile gestore dei processi parlamentari) sia all'esterno di esso, tra le forze di maggioranza ma anche in quelle dell'opposizione, che ne apprezzarono le doti di sostanziale equilibrio istituzionale.
Quelle stesse caratteristiche contribuirono a far sì che, nel giugno 1963, venisse chiamato a gestire una delicata fase di impasse politica, dovuta all'impossibilità di costituire una coalizione governativa di ampio respiro programmatico. Per garantire la transizione verso nuovi accordi politici gli venne chiesto di dare vita a un governo di "tregua", "con un compito determinato nel contenuto e, quindi, nel tempo" (come lo stesso L. ebbe modo di dire nel corso della presentazione alle Camere), e che in effetti sarebbe durato meno di cinque mesi, lasciando il campo al primo governo di centrosinistra organico. L'esperienza venne ripetuta alcuni anni più tardi, nel maggio 1968, quando il L. diede vita a un altro breve ministero di transizione, accolto dall'opinione pubblica come l'ennesimo "governo balneare".
Tale espressione fu sempre respinta dal L., che in più occasioni sottolineò non solo il servizio reso all'evoluzione del quadro politico italiano, ma anche i concreti atti compiuti dai governi da lui presieduti nell'amministrazione del paese.
Il credito del L. uscì comunque rafforzato da quelle due esperienze, che ne misero in evidenza la capacità di coniugare le esigenze di schieramento politico con le ragioni istituzionali. Il suo prestigio personale ricevette del resto un esplicito riconoscimento il 27 ag. 1967, quando il presidente della Repubblica G. Saragat lo nominò senatore a vita per i suoi "altissimi meriti nel campo scientifico e sociale". Ancora la riconosciuta fama di studioso e la notevole capacità di composizione delle differenti istanze politiche furono gli ingredienti che gli consentirono, nel corso del 1970, di condurre in porto il difficile tentativo di mediazione tra le forze politiche per modificare in Parlamento la legge Fortuna-Baslini sul divorzio, attenuandone la portata.
Il carattere di indipendenza dai principali schieramenti interni ed esterni alla DC, dunque, se da una parte causò una minor tutela da parte del partito, escludendolo di fatto da significative occasioni di effettivo potere governativo, dall'altra costituì la base stessa dell'ascesa politica del Leone. La sua carriera, infatti, si sviluppò lungo un percorso che mostrò i vantaggi, ma anche i limiti, di un profilo politico fortemente caratterizzato dalle proprie origini notabilari.
In occasione delle votazioni che portarono all'elezione di Saragat alla presidenza della Repubblica, nel dicembre 1964, il L. - che già nel 1962, di fronte alle difficoltà incontrate dalla candidatura di A. Segni, era stato repentinamente indicato e scartato come possibile candidato, pur avendo ricevuto il sostegno di P. Togliatti - venne annunciato come candidato ufficiale della DC e votato per ben quindici tornate, non riuscendo però mai a raccogliere il sostegno compatto di tutto il partito, diviso al proprio interno, per poi cedere il passo all'esponente socialdemocratico. Tortuoso fu anche il percorso che lo portò effettivamente alla presidenza della Repubblica il 24 dic. 1971, al 23° scrutinio.
Indicato come possibile candidato dagli esponenti dei partiti laici dopo il tramonto della candidatura di A. Fanfani e una lunga fase di stallo, il L. venne preferito di stretta misura, in una votazione effettuata tra i grandi elettori democristiani, ad A. Moro, la cui elezione avrebbe avuto il significato di un'apertura di credito alla cosiddetta "strategia dell'attenzione". Da questo punto di vista, invece, l'elezione di un notabile tendenzialmente conservatore venne probabilmente considerata un contrappeso capace di garantire maggior equilibrio al baricentro del sistema politico italiano: raccolse i voti, oltre che della DC, sostanzialmente unitaria nonostante la spaccatura appena vissuta, di socialdemocratici, repubblicani e liberali. Fu però anche segnata dalle polemiche generate dalla forte probabilità che sul suo nome fossero confluiti voti missini.
Giunto al Quirinale sulla scorta del generale riconoscimento per le sue doti di moderazione e capacità di mediazione, si trovò a dover affrontare, nel corso del proprio mandato, una situazione politica e sociale estremamente complessa, che si concretizzò in passaggi politici controversi e spesso drammatici. Già nei primi mesi del settennato si profilò, per esempio, la necessità di ricorrere, per la prima volta dalla nascita della Repubblica, allo scioglimento anticipato delle Camere. Tale decisione fu presa dal L. con l'approvazione di gran parte dello schieramento politico, ma si accompagnò alla scelta di affidare la gestione della fase elettorale non al governo dimissionario di E. Colombo, ma a un governo monocolore democristiano, appositamente costituito e tuttavia privo della maggioranza parlamentare. Scelta che attirò sul Quirinale numerose critiche, provenienti da differenti posizioni. D'altra parte, secondo molti, quello fu "l'unico significativo strappo compiuto da Leone, altrimenti ineccepibile nell'interpretare la prassi costituzionale" (Craveri, 1992, p. 150).
In effetti, il settennato di presidenza del L. fu caratterizzato dalla costante preoccupazione per il rispetto delle forme istituzionali. Un impegno non necessariamente in conflitto con quello, altrettanto presente in lui, ad assecondare i processi politici in atto fino a fare proprie le direttive del suo partito (ibid., p. 149). Tale approccio, infatti, soprattutto se paragonato alle scelte di diversi suoi predecessori, sembra innanzitutto da valutare come espressione della convinzione che, in una democrazia parlamentare incardinata sui partiti, il presidente della Repubblica non debba fare politica "in proprio".
Di fatto, il L. mantenne una condotta sostanzialmente esente da tentazioni di protagonismo, tanto in politica estera (nella quale procedette sempre in accordo con i diversi governi che si succedettero), quanto nella politica interna, che lo vide, per esempio, rispettare rigorosamente le proprie e altrui prerogative costituzionali, specie in riferimento alla formazione e alla vita dei ministeri o al processo di elaborazione legislativa, e ricorrere in maniera sostanzialmente corretta al cosiddetto potere di esternazione. A questo, peraltro, affiancò lo strumento del messaggio alle Camere, che utilizzò in forma maggiormente articolata rispetto ai predecessori. Il 14 ott. 1975 scrisse infatti un lungo messaggio, nel quale erano formulate alcune puntuali proposte di riforma e venivano segnalati numerosi problemi da affrontare, soprattutto dal punto di vista della piena attuazione costituzionale e della affidabilità della pubblica amministrazione, specie in riferimento ai problemi della giustizia. L'intervento, che suscitò polemiche soprattutto a causa dei forti richiami alla necessità di regolamentare il diritto di sciopero, non divenne, anche per questo, effettivo oggetto di confronto tra le forze politiche. Costituì però "uno dei primi segnali importanti" dell'emergere, all'orizzonte del sistema politico italiano, del difficile scoglio delle riforme istituzionali (Baldassarre - Mezzanotte, p. 204). La tipica sensibilità del L. per le questioni giuridiche e istituzionali trovò peraltro anche altre modalità di espressione, a cominciare da una costante e attenta presenza nella vita del Consiglio superiore della magistratura e dalla scelta dei membri della Corte costituzionale.
Durante la presidenza Leone, prese corpo nella politica italiana il disegno di dare vita a una maggioranza di governo che comprendesse il Partito comunista italiano (PCI): un processo difficile e contrastato, rispetto al quale il L., originariamente contrario, mantenne un atteggiamento notarile, ma dalle cui difficoltà, tuttavia, sarebbe stato travolto.
Dopo i primi anni di mandato iniziarono a emergere alcune critiche di carattere politico verso la sua presidenza. Soprattutto, però, il L. venne a trovarsi al centro di crescenti polemiche, che deflagrarono in modo clamoroso quando, nel febbraio 1976, esplose lo scandalo Lockheed (relativo alla vendita di aerei prodotti dall'omonima società statunitense alle forze armate, dietro la quale si celava la corruzione di alcuni imprenditori e uomini politici). Il L., per il quale in una certa fase delle indagini venne ipotizzato un coinvolgimento diretto, anche dopo esser stato dichiarato estraneo alla faccenda dall'apposita Commissione inquirente, rimase nell'occhio del ciclone, a causa della sua notoria vicinanza con diversi imputati coinvolti (poi condannati).
La figura del L. divenne oggetto di critiche e accuse sempre più pesanti, tese anche ad additare in essa l'espressione emblematica dell'intera classe dirigente democristiana. Gli attacchi vennero portati da una parte della stampa (soprattutto il settimanale L'Espresso: al riguardo debbono essere consultate in particolare le annate 1976-78) e da alcuni esponenti politici, soprattutto radicali. Al presidente, alla sua famiglia e ai suoi amici vennero contestati per un verso alcuni atteggiamenti poco rispettosi dell'etichetta istituzionale e lo stile di vita grossolanamente mondano, la gestione del potere in chiave nepotistica e un'eccessiva disinvoltura nell'uso dei mezzi dello Stato pertinenti alla carica istituzionale, nonché una certa incoerenza tra la posizione politica e determinate scelte professionali del passato. Per altro verso, e in maniera via via crescente, vennero mosse contro di lui e la sua cerchia accuse di coinvolgimento in episodi di corruzione, di perseguimento di interesse privato, di evasione fiscale, di speculazione. Pettegolezzi, insinuazioni e critiche deontologiche finirono così per confondersi con accuse ben più gravi, senza che si tracciasse una netta demarcazione tra i due piani.
Tuttavia, anche quando le polemiche intorno alla sua figura toccarono l'apice, con la pubblicazione nel marzo 1978 di un polemico pamphlet di accuse di Camilla Cederna (ricavato in parte da notizie apparse sulla rivista OP di Mino Pecorelli), il L. scelse per ragioni istituzionali di non difendersi pubblicamente. Ma non poté impedire le conseguenze politiche del processo di delegittimazione che lo vedeva coinvolto. Nel contesto di una situazione sociale e politica estremamente critica, culminata nei 55 giorni del rapimento di A. Moro (vissuto con grande angoscia dal L., legato al presidente della DC dagli anni in cui questi era stato suo assistente all'Università di Bari), gli venne così a mancare il necessario appoggio delle forze politiche. Anche di alcuni di coloro che maggiormente avevano promosso la sua elezione, tra i quali U. La Malfa. All'indomani del voto referendario, che aveva visto un'ampia parte degli Italiani ignorare le indicazioni delle principali forze politiche ed esprimersi contro le misure contenute nella cosiddetta "legge Reale" e, soprattutto, il finanziamento pubblico dei partiti, il PCI decise di rompere gli indugi, invitando esplicitamente il L. a uscire di scena. Di fronte a tale iniziativa e al sostanziale consenso della dirigenza democristiana, il L. decise di rassegnare le dimissioni. La sera del 15 giugno 1978 lo comunicò agli Italiani attraverso la televisione, pronunciando di fronte al Paese una breve arringa difensiva, nella quale sostenne di aver "servito il Paese con correttezza costituzionale e con dignità morale".
Abbandonato il Quirinale a soli sei mesi dalla scadenza naturale del proprio mandato, si diede in una prima fase a una vita ritirata. Con il passare degli anni, tuttavia, pur mantenendo un signorile riserbo, tornò a far sentire la propria voce non solo attraverso gli studi giuridici, mai abbandonati, ma anche in qualità di senatore a vita, intervenendo in Senato, in convegni e sulla stampa, soprattutto in tema di riforma dei codici e amministrazione della giustizia.
Attraverso scritti e interviste, oltre che nelle debite sedi giudiziarie, ebbe inoltre modo di riaffermare e veder riconosciute la correttezza degli atti compiuti e l'inattendibilità delle accuse mosse nei confronti suoi e dei famigliari. Anche diversi tra coloro che durante gli anni della presidenza più lo avevano attaccato, inoltre, ebbero occasione di presentargli le proprie scuse. Tra questi, gli esponenti radicali M. Pannella ed Emma Bonino, che in occasione del suo novantesimo compleanno espressero, in privato e in pubblico, il loro "rammarico".
Il L. morì a Formello, nei pressi di Roma, nella notte tra l'8 e il 9 nov. 2001.
Circa le opere principali del L., una bibliografia quasi completa delle monografie e di più di 130 tra discorsi, saggi e articoli (di cui alcuni sono riprodotti) si trova in G. Leone, Scritti giuridici, I-II, Napoli 1987, pp. XIII-XVIII. Alle indicazioni ivi contenute si possono aggiungere, tra gli scritti giuridici: La riforma nel campo penale, Roma 1943; Intorno alla riforma del codice di procedura penale, Milano 1964; Come si svolge un processo penale, Napoli 1967; Interventi e studi sul processo penale, ibid. 1990. E inoltre: Testimonianze, s.l. né d. [ma Milano 1963]; Cinque mesi a palazzo Chigi, s.l. né d. [ma ibid. 1964]; Discorsi al Senato raccolti dal gruppo democristiano, a cura di D. Basili, s.l. né d. [ma Roma 1971]; La società italiana e le sue istituzioni. (Messaggi e discorsi 1971-1975), s.l. [ma Milano] 1975.
Fonti e Bibl.: Le carte del L. sono state affidate dalla famiglia all'Archivio storico del Senato della Repubblica; tuttavia al momento non sono consultabili, essendo ancora in corso il loro ordinamento. Si vedano pertanto: Al servizio del Paese. Cosa hanno scritto del presidente della Camera G. L. Jacobelli, Ansaldo, Madia, Mattei, Somma, Tilgher, Della Giovanna, Montanelli, Marotta, Napoli s.d. [ma 1963]; N. Valentino, La battaglia per il Quirinale, Milano 1965; G. Di Capua, Le chiavi del Quirinale, Milano 1971; V. Gorresio, Il sesto presidente, Milano 1972; A. Barbato - G. Di Capua - A. Gismondi, L'elezione di L., a cura di S. Milani, Roma 1972; N. Valentino, Il presidente: elezione e poteri del capo dello Stato, Torino 1973; O. Fallaci, Intervista con la storia, Milano 1974, pp. 248-272; P. Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Torino 1975, ad ind.; M. De Luca - P. Gambescia - F. Isman, Tutti gli uomini dell'antilope, Milano 1977; B. Vespa, …E anche L. votò Pertini. Cronaca di un settennato incompiuto, di una crisi e di una elezione presidenziale, Bologna 1978; G. Quaranta, Ritratto di presidenti con signora, Torino 1978, pp. 114-139; G. Campopiano, Memoria d'accusa contro l'on. G. L. e altri scritti sull'affare Lockheed, Milano 1978; C. Cederna, G. L.: la carriera di un presidente, Milano 1978; S. Bova, L'elaborazione della Corte costituzionale nel "Comitato di redazione", in La fondazione della Repubblica. Dalla costituzione provvisoria alla Assemblea costituente, a cura di E. Cheli, Bologna 1979, pp. 305-347; C. Carissimi, Ideologie penali e tecnicismo giuridico nel dibattito alla Costituente, in Scelte della Costituente e cultura giuridica, a cura di U. De Siervo, II, Bologna 1980, pp. 441-504; F. Damato, Il colle più alto. Fatti e misfatti dei presidenti della Repubblica, Milano 1982, pp. 96-116; A. Baldassarre - C. Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, Roma-Bari 1985, ad ind.; G. Andreotti, Visti da vicino. Terza serie, Milano 1985, pp. 141-162; P. Chiara, Una storia italiana. Il caso L., Milano 1985; Dai congressi DC dell'Italia liberata, 1943-1944, alla prima assise nazionale, 1946, a cura di C. Danè, Roma 1986, ad ind.; A. Gismondi, Alle soglie del potere. Storia e cronaca della solidarietà nazionale, 1976-1979, Milano 1986, pp. 163, 243-250; Storia della Democrazia cristiana, a cura di F. Malgeri, IV, Roma 1989, ad ind.; A. Ruggiero, Felice Basile sacerdote, maestro, poeta, Pomigliano d'Arco 1990, pp. 37 s.; N. Valentino, G. L., in Il Parlamento italiano, 1861-1988, XX, Milano 1992, pp. 241-261; P. Guzzanti, I presidenti della Repubblica. Da De Nicola a Cossiga, Roma-Bari 1992; A. Olivieri, Sette anni di guai. I presidenti della Repubblica nella satira, 1946-1992, Bari 1992, pp. 131-151; P. Craveri, La presidenza Leone (1971-1978), in Il Parlamento italiano 1861-1988, XXI, Milano 1992, pp. 141-157; Id., La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino 1995, ad ind.; S. Lupo, Le mafie, in Storia dell'Italia repubblicana, III, 2, Torino 1997, p. 264; I novant'anni di G. L.: la coerenza di un uomo e di un maestro, s.l. né d. [ma Roma 1998]; S. Piscitello, Gli uomini del Quirinale. Grandi segreti e piccole virtù di nove presidenti raccontati da vicino, Milano 1999, ad ind.; G. Vassalli, G. L., in Riv. italiana di diritto e procedura penale, XLV (2002), 1, pp. 3-9; P. Casini - G. Conso, G. L.: commemorazione nel primo anniversario della scomparsa, Roma 2002; G. L. giurista e legislatore, a cura di G. Conso, Milano 2003; I deputati e senatori del primo Parlamento repubblicano, Roma 1949 e successive edizioni.