LOY-DONÀ, Giovanni (Nanni Loy)
Nacque a Cagliari il 23 ott. 1925 da Guglielmo, noto avvocato cagliaritano, e da Anna Saint-Just. Trascorse l'infanzia a Cagliari e nel 1938 seguì la famiglia a Roma. Completati gli studi classici, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, per assecondare la volontà della famiglia, e si laureò nel 1947 con una tesi in filosofia del diritto. Si iscrisse, quindi, al Centro sperimentale di cinematografia, dove frequentò i corsi di U. Barbaro e L. Chiarini. Ottenuto il diploma di regia, iniziò un periodo di apprendistato, collaborando con numerosi registi, tra cui L. Zampa e G. Puccini.
Con quest'ultimo scrisse e diresse Parola di ladro (1957), una commedia ben congegnata, che riscosse gli apprezzamenti della critica. La collaborazione ebbe un seguito con Il marito (1958), film interpretato da A. Sordi (coautore anche del soggetto e della sceneggiatura), che ottenne un grande successo di pubblico.
All'insegna della commedia all'italiana fu anche il suo vero e proprio esordio Audace colpo dei soliti ignoti (1959), seguito del famoso film di M. Monicelli, che peraltro non deluse le attese. Il L. aveva realizzato questo film, su richiesta del produttore F. Cristaldi, solo per poterne realizzare un altro, ispirato al libro di memorie del partigiano genovese P. Levi Cavaglione (Guerriglia nei Castelli romani, Roma 1945); nacque così Un giorno da leoni (1961), rievocazione di un episodio poco noto della Resistenza.
Il L. portò a termine il lavoro con sicura padronanza dei ritmi narrativi, intrecciando vicende individuali e azioni corali e dimostrando la sua capacità di alternare il registro drammatico con quello comico-grottesco.
Adottò quindi lo stesso impianto narrativo, su scala ben più ampia, nel successivo Le quattro giornate di Napoli (Nastro d'argento 1962 per la regia e per la sceneggiatura), per comporre un grande affresco sull'insurrezione della città partenopea, che gli valse anche la candidatura all'Oscar per il soggetto e la sceneggiatura.
Nato da un'idea di V. Pratolini, testimone diretto degli eventi, e messo in scena con la straordinaria partecipazione della popolazione napoletana, il film non solo rappresentava un omaggio all'eroismo di un'intera città, ma intendeva anche riscoprire l'attualità della Resistenza in quei valori etico-politici - la solidarietà, l'altruismo, il ripudio della guerra - che potevano contrastare le tendenze disgregatrici cui era sottoposta la società italiana negli anni del boom economico. Le violente polemiche che esso suscitò in Germania, dove la stampa e il governo parlarono di propaganda antitedesca, contribuirono ad alimentarne il successo, in Italia e all'estero.
Declinata un'offerta dell'industria cinematografica statunitense per una serie di film di guerra, nel 1963 il L. fu chiamato a tenere il corso di regia presso il Centro sperimentale e svolse tale attività fino al 1970, trasmettendo ai giovani la sua concezione del cinema come attività artigianale, basata sull'integrazione di mestieri diversi. Nel 1964 intraprese quindi la sua prima esperienza televisiva, lavorando a Specchio segreto, trasmissione da lui stesso ideata, diretta (in collab. con G. Arlorio e F. Morandi) e interpretata, in cui la candid-camera veniva impiegata più per riflettere ironicamente sugli usi e costumi dell'italiano medio che per intrattenere il pubblico. Nonostante il grande successo ottenuto (la prima serie fu trasmessa dal novembre 1964), il L. tornò a dedicarsi al cinema con Made in Italy (1965), film a episodi ricco di venature satiriche, seguito da Il padre di famiglia (1967), una delle sue commedie più riuscite, con cui conquistò il pubblico, ma si attirò anche le critiche della stampa di sinistra.
Raccontando le vicende private di una coppia della media borghesia, colta e progressista (interpretata da Nino Manfredi e Leslie Caron), la cui relazione entra in crisi negli anni del boom economico, quando gli ideali giovanili di rinnovamento morale e civile si scontrano con le difficoltà e i problemi della vita quotidiana, il L. volle offrire al pubblico l'amaro bilancio di una generazione, alla ricerca del proprio ruolo in una società profondamente mutata, in cui furbizia e arrivismo sono i valori dominanti. Il film, che molto deve al lavoro preparatorio svolto da G. Arlorio in fase di trattamento (la sceneggiatura è di R. Maccari ed E. Scola), rappresentò anche un tributo a una figura femminile tipica di quegli anni: la donna che, per amore dei figli, sacrifica alla famiglia ogni ambizione professionale.
Impegnato politicamente nelle file del Partito comunista italiano (PCI), sul finire degli anni Sessanta il L. partecipò ai dibattiti e alle iniziative dell'Associazione nazionale autori cinematografici e promosse quindi la nascita di una nuova organizzazione, l'AACI (Associazione autori cinematografici italiani), di cui rivestì anche la carica di presidente (dal 1970 al 1976).
Il L. riteneva che la battaglia contro la censura e in favore della qualità non dovesse poggiare su una concezione autoriale del cinema, bensì su un'azione politica di più ampio respiro, capace di coinvolgere tutte le figure professionali. E dalla seconda metà degli anni Settanta e per tutto il decennio seguente il L. sostenne con convinzione questa linea, guidando, insieme con U. Pirro, la fondazione dell'associazione Cinema democratico e le vertenze che tale associazione lanciò (fino agli anni Novanta) per la revisione dei meccanismi di finanziamento pubblico del cinema e per la regolamentazione del sistema televisivo, radicalmente trasformato dalla nascita delle emittenti private.
Al deludente Rosolino Paternò, soldato (1970) fecero seguito due incisivi film di denuncia, Detenuto in attesa di giudizio (1971) e Sistemo l'America e torno (1973), in cui il L. confermò la sua capacità di affrontare in forma popolare temi politici di scottante attualità.
Nel primo film, basato su una sceneggiatura che S. Amidei aveva appositamente scritto (con il giornalista E. Sanna, autore di diverse inchieste sul carcere) per A. Sordi, il L. impiegò al meglio la maschera tragicomica dell'attore nella costruzione di un racconto teso e inquietante, che mostrava al grande pubblico i guasti profondi del sistema giudiziario e carcerario italiano. Nel secondo, stilisticamente più spurio, girato negli Stati Uniti su soggetto di L. Benvenuti e P. De Bernardi, sfruttò le paradossali disavventure di un italiano medio (interpretato da P. Villaggio), catapultato nell'America ribelle degli afroamericani, per osservare da vicino, con sguardo ironico e fortemente critico, una società in profonda crisi, minata dalla questione razziale.
Nella seconda metà degli anni Settanta, oltre a partecipare a diversi film collettivi, il L. lavorò a Viaggio in seconda classe (1977), nuovo esperimento televisivo di candid-camera, ambientato questa volta in un vagone ferroviario. Ispirandosi a un personaggio reale, un venditore abusivo conosciuto durante le riprese per il programma televisivo, girò quindi Café express (Nastro d'argento 1980 per il miglior soggetto), un film notturno, interamente ambientato in treno, con N. Manfredi nel ruolo del protagonista, che avviò con successo il sodalizio con lo sceneggiatore E. Porta. Ancor più significativo fu Mi manda Picone (Nastro d'argento 1984 per la migliore sceneggiatura), una commedia macabra ambientata nei bassifondi di Napoli, che riportò il regista ai vertici della popolarità (il titolo divenne per qualche tempo uno scherzoso modo di dire).
Costruito come una detective story grottesca, con G. Giannini nel ruolo del protagonista - un disoccupato che si mette in cerca di un uomo misteriosamente scomparso, per conto della moglie -, il film si sviluppa come un viaggio di iniziazione al sottomondo malavitoso della città, alla scoperta di un'umanità degradata, ridotta ad abitare perfino le antiche fogne. Come sottolinea E. Porta, che collaborò con il L. alla sceneggiatura, "il nome Picone, che apriva tutte le porte, era anche un'idea per [(] raccontare questa Italia nella quale c'è sempre un Picone che manda qualcuno" (in Nanni Loy, un regista fattapposta, p. 202).
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio del decennio successivo, mentre esordiva come regista teatrale e tornava a lavorare per la televisione (Gioco di società, 1989; A che punto è la notte, 1995), il L. dedicò a Napoli altri due film significativi: Scugnizzi (1989), un musical sui ragazzi detenuti nel riformatorio di Nisida, interpretato da L. Gullotta e da piccoli attori non professionisti, e Pacco, doppio pacco e contropaccotto (1993), un collage di storie sull'arte della truffa.
Nonostante si sia dedicato prevalentemente alla regia, il L. è stato occasionalmente attore; tra i film da lui interpretati, Lettera aperta a un giornale della sera (1969) di F. Maselli, e La disubbidienza (1981) di A. Lado; è stato anche il protagonista delle serie televisiva Marcovaldo (1970) di G. Bennati, tratta dai racconti di I. Calvino.
Il L. morì a Fregene, presso Roma, il 21 ag. 1995, mentre progettava il suo primo film di ambientazione sarda, tratto dal romanzo Procedura di S. Mannuzzu.
Oltre a quanto già citato nel testo si ricorda ancora della filmografia del L.: I pittori davanti allo specchio; Pitture biografiche (1950); Signore e signori buonanotte (in collab. con L. Comencini, L. Magni, M. Monicelli ed E. Scola, 1976); Macchina d'amore, episodio di Basta che non si sappia in giro (1976); Italian Superman (non firmato), episodio di Quelle strane occasioni (1976); Amici miei atto III (1985).
Fonti e Bibl.: G. Rondolino, Loy, in Venti anni di cinema italiano nei saggi di ventotto autori, a cura del Sindacato nazionale dei giornalisti cinematografici italiani, Roma 1965, ad ind.; N. Loy, Quale cinema per gli anni Ottanta?, Rimini-Firenze 1977; Id., Specchio segreto, Bari 1981; L. Quaglietti, Nanni Loy, Reggio Emilia 1981; Nanni Loy: una monografia, a cura di L. Tamagnini, Reggio Emilia 1981; Nanni Loy: un regista fattapposta, a cura di A. Floris - P. Ugo, Cagliari 1996; E. Natta, Nanni Loy: un sardo napoletano, s.l. [ma Roma] 1999.