LAMBERTAZZI, Giovanni Ludovico
Detto anche Corvo per via del soprannome attribuito alla famiglia (Corvi), il L. nacque da Pietro Paolo presumibilmente a Padova, intorno alla metà del XIV secolo.
Secondo A. Gloria, a cui si deve il maggior numero di notizie su di lui, è fondato ritenere il L. discendente da quell'Alioto Lambertazzi che, espulso nel 1274 da Bologna insieme con il padre Enrico, si stabilì a Padova. Qui, avendo probabilmente ottenuto la cittadinanza, Alioto fu aggregato al Collegio dei giudici nel 1283. Nello stesso periodo tenne scuola di diritto civile: risulta iscritto - come pure il padre Enrico, che però aveva svolto la sua attività verso il 1275 - al Collegio dei dottori giuristi.
Oltre alla frequenza con cui nei documenti il L. è definito padovano, costituirebbe prova della sua origine patavina la circostanza secondo cui nel 1372 egli fu iscritto per diritto, e non per grazia del principe, al Collegio dei giudici: procedimento, quest'ultimo, applicato quando erano ammessi dei forestieri.
In parte frammentarie sono le informazioni sulla giovinezza e sulla vita familiare del Lambertazzi. Si ha notizia di una sorella, Isabella, maritata nel 1386 a Edoardo da Thiene, allora scolaro nello Studio padovano. Il L. abitò a Padova in via del Falaroto, sposò una Caterina da Brandello o da Brondolo ed ebbe da lei alcuni figli: il Gloria riferisce di un maschio, Daniele, investito nel 1394 del notariato dal conte Rizzardo da San Bonifacio, e di due femmine, Caterina e Francesca. Ancora molto giovane, quest'ultima fu data in moglie a Pietro Tommasi, giunto a Padova nel 1391 da Venezia per compiervi gli studi universitari ed entrato ben presto nelle grazie del L., il quale, nonostante i dispiaceri procuratigli - Tommasi fu coinvolto intorno al 1396 in un grave fatto di sangue e costretto a lasciare la città - dimostrò di stimare il genero e di considerarlo al pari di un figlio.
Negli anni della formazione il L. frequentò lo Studio cittadino e rimase notevolmente suggestionato dall'influsso di Francesco Petrarca sull'élite intellettuale che ruotava intorno all'Università e alla corte dei Carrara. Licenziato nel 1372, il L. si laureò in diritto civile nel 1378 e in diritto canonico nel 1382. Fu da subito attivissimo: entrato nel Collegio dei giudici, ne fu gastaldo nel 1384, nel 1388 e nel 1390. Fu giudice nel 1373 presso l'ufficio del Grifo e, rispettivamente nel 1381, nel 1389 e nel 1393, presso quelli del Cavallo, della Volpe e del Drago. Tra il 1385 e il 1399 fu più volte nominato giudice di liti in appello; in varie occasioni figurò come giudice arbitro e consulente. Fu inoltre aggregato al Collegio dei dottori giuristi, di cui ricoprì la carica di priore nel 1372 e nel 1382, anno in cui provvide alla compilazione della riforma statutaria e delle due matricole di quel Collegio.
Gli statuti, alla redazione dei quali concorsero anche i dottori Benedetto Girlandi da Siena e Ottonello Descalzi, furono editi da Gloria (1888-89, pp. 369-402) sulla base di un unico codice che S. Bernardinello ha poi identificato con il 124 dell'Archivio antico dell'Università di Padova. Una copia coeva del manoscritto è conservata presso la Biblioteca capitolare della città, con la segnatura D.40: contenente i soli statuti del L., senza aggiunte posteriori, era probabilmente riservata al vescovo, nel cui duomo si svolgevano gli esami pubblici per il conseguimento del dottorato.
La prima delle due matricole volute dal L., pubblicata da Gloria (1884), riguarda la serie dei dottori aggregati al Collegio dei giuristi prima del 1349. Pur riconoscendone l'utilità nella ricostruzione della storia dell'Università patavina, l'editore sollevò il dubbio che la serie non fosse stata stilata sulla base delle antiche matricole originali, probabilmente già perdute al tempo del L., e che dunque non tenesse conto di una serie di iscritti. La seconda matricola, comprendente gli iscritti tra il 1349 e il 1382, ma in realtà arricchita di alcuni nomi di aggregati dopo tale termine, è stata anch'essa riprodotta da Gloria (1888, I, pp. 69-75).
Il L. intraprese l'insegnamento presso l'Università cittadina, dove si presume che la sua presenza sia stata quasi ininterrotta dal 1379 fino agli ultimi anni di vita. Numerose testimonianze concorrono a fornire un quadro dell'impegno accademico del L.: intervenne nel 1379 all'esame del padovano Francesco Beningrado, licenziato in diritto civile, mentre nel 1380, in qualità di commissario del vescovo, conferì il dottorato a Vano da Fermo. Da allora e per gli anni seguenti la sua attività in seno allo Studio dovette notevolmente incrementare, dal momento che il L. presenziò a esami e dottorati di molti scolari (tra gli altri, Prosdocimo Conti e Pietro Alvarotti), dapprima come promotore in diritto civile, quindi in diritto canonico. È sicuro che tenne a Padova anche una scuola di diritto, citata in un documento del 5 dic. 1390 (Gloria, 1888, II, p. 246).
Figura di rilievo del contesto cittadino, il L. fu chiamato a svolgere uffici pubblici di una certa importanza. In particolare, nel 1388 fu incluso nel gruppo di dodici ambasciatori incaricati di recarsi da Gian Galeazzo Visconti dopo la partenza dalla città di Francesco da Carrara (il Novello).
A seguito dell'intervento del Visconti, alleatosi con Venezia contro i Carraresi, e del crescente grado di impopolarità di Francesco il Vecchio, questi aveva abdicato in favore del figlio il 29 giugno 1388. La soluzione non era valsa ad allentare la pressione militare degli alleati sicché, il 13 novembre, Francesco il Novello era venuto a patti con Iacopo Dal Verme, capitano generale dell'esercito nemico, cedendo temporaneamente il suo Stato fatta eccezione per il castello, e ottenendo che Padova rimanesse libera dall'occupazione straniera fino a quando egli non fosse giunto a Pavia per stipulare gli accordi definitivi; ma si trattò di una "vana riserva" che fece dell'armistizio "una resa a discrezione" (Pastorello, pp. 35 s.). Il Dal Verme entrò infatti a Padova il 18 dicembre e ne assunse il governo a nome del Visconti.
Vista la necessità di garantire l'ordine, i Padovani avevano riunito il Maggior Consiglio subito dopo la partenza di Francesco il Novello e avevano eletto, oltre al podestà, quattro capitani e otto anziani. Contemporaneamente avevano dato avvio alle pratiche per la compilazione dei patti di resa che l'ambasceria di cui faceva parte il L. avrebbe recato al principe lombardo appena possibile.
Il testo dei capitoli, riportato nella Cronaca carrarese dei Gatari, contemplava in primo luogo la possibilità che l'amministrazione del distretto padovano fosse lasciata direttamente alla popolazione in cambio di un censo annuo. Tuttavia, considerata più che probabile l'intenzione del Visconti di riservare per sé il governo, fu richiesta un'articolata serie di garanzie che, approvate non senza contrasti, dovettero rimanere quasi lettera morta. I dodici ambasciatori, scelti da nove concittadini a loro volta aggiunti al Consiglio appositamente per formulare i capitoli e fissare le modalità della missione, lasciarono Padova il 29 dic. 1388. Prima di partire, al L. spettò il compito di esporre i capitoli all'adunanza del Popolo in palazzo. L'incontro con il Visconti avvenne ad Abbiategrasso e si svolse, secondo la Cronaca, in un clima di relativa cordialità. Esposti i capitoli, il L. li notificò alla presenza del solo Visconti, accompagnato da due suoi consiglieri.
È noto che il Visconti trascurò o si oppose del tutto alle richieste dei Padovani, inviando già dalla fine del gennaio 1389 podestà e comandanti forestieri. D'altra parte, lasciò in vita il Consiglio generale cittadino coi sapientes, il sindaco del Comune e il giudice degli Anziani, e affidò alcune cariche amministrative di limitata importanza a personaggi di sua fiducia. Il L. fu così creato deputato "supra venditiones immobilium".
Oltre al disbrigo delle consuete attività, nel 1389 il L. fu nominato commissario del vescovo Giovanni Enselmini per definire la questione insorta tra Galeazzo da S. Sofia e Jacopo della Crosara del Santo intorno alla precedenza nell'iscrizione del Collegio dei dottori medici e artisti. L'anno successivo il suo nome era incluso tra i Sapienti del Maggior Consiglio.
In occasione della solenne sepoltura a Padova della salma di Francesco il Vecchio, il 18 nov. 1393, insieme con Francesco Zabarella e Pietro Paolo Vergerio, il L. pronunciò un elogio funebre il cui testo (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 784; Padova, Biblioteca civica, B.P.515, I) esaltava la vita e il governo del defunto signore, insistendo sul coraggio delle sue scelte politiche e militari.
Il 7 ott. 1394, insieme con F. Zabarella, insegnante di diritto all'Università di Padova dal 1390, il L. fu nominato governatore del collegio di scolari dal cardinale Pileo da Prata, da questi fondato nella città veneta. Nello stesso anno, quasi certamente grazie a un prestito del genero di Petrarca, Francescuolo da Brossano, il L. incaricò lo scolaro Enrico di Prussia, allora copista, di trascrivere su pergamena una serie di opere di Cicerone appartenute al Petrarca. Il manoscritto, conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Pal. lat., 1820), contiene il De officiis, il De amicitia, il De senectute, i Paradoxa, le tre Cesariane, le quattro Catilinarie, il De imperio Cn. Pompei, la ProMilone, la Pro Plancio, la Pro Sulla, la Pro Archia, oltre alle due invettive apocrife tra Sallustio e Cicerone. Con ogni probabilità esso fu esemplato direttamente su un antecedente di proprietà del Petrarca - e non di Lapo da Castiglionchio come inizialmente aveva supposto R. Sabbadini - tanto che il L., studioso e collezionista di codici classici, nonché sincero ammiratore del poeta, impose al copista di trascrivere anche gli appunti scritti sui fogli dallo stesso Petrarca.
Dall'inizio del 1399 il L. si allontanò per qualche tempo dall'orbita padovana perché chiamato a coprire la carica di vicario del principe-vescovo di Trento Giorgio da Liechtenstein. Tornò nella città veneta allo scadere del mandato, deciso a difendere la cattedra universitaria che diversi gli contendevano. Poco dopo, l'8 dic. 1400, fece testamento.
Discordi sono le notizie relative alla data di morte: sebbene la Cronaca carrarese lo includa nel gruppo di otto dottori che nel 1403 ressero il baldacchino d'oro su Bellafiore da Varano al suo ingresso a Padova come sposa di Giacomo da Carrara, in realtà il L. morì nel 1401, il 22 maggio secondo il Gloria, il 14 settembre secondo un'annotazione ("1401 XVIII kal. octobris qua ipsa luce luci subtractus est, cum vixisset annos, ut ferunt, quinquaginta tres vel circa") posta in calce alla trascrizione dell'orazione funebre pronunciata in suo ricordo dallo Zabarella (Napoli, Biblioteca nazionale, V.E., 40, c. 10v). Il L. fu sepolto a Padova nella chiesa della Casa di Dio.
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