MALATESTA (de Malatestis), Giovanni
Primogenito di Malatesta detto Malatesta da Verucchio e della prima moglie Concordia figlia del visconte imperiale Enrighetto, il M., detto Gianciotto (da Ciotto) e lo Sciancato (appellativi rinvenibili in documenti coevi e imputabili a una visibile zoppia), nacque presumibilmente a Rimini intorno al 1248.
L'assenza pressoché assoluta di notizie concernenti la prima infanzia del M. non consente di individuare con certezza luogo e data di nascita. D'altra parte l'ipotesi in base alla quale egli sarebbe nato nel 1248 pare suffragata da un documento del 1264, dove al M. e al fratello Paolo, qualificati entrambi scolares, si potrebbe attribuire verosimilmente un'età inferiore ai diciotto anni (Curradi, p. 43).
La più antica memoria riguardante il M. risale al novembre 1263 ed è contenuta in una lettera pontificia, tramite la quale Urbano IV commetteva al vescovo di Rimini di accordare al M. e al fratello Paolo, figli di Malatesta da Verucchio, una "gratiam specialem" consistente nel versamento di 20 lire.
Si tratta di un atto di riconoscenza nei confronti di Malatesta da Verucchio e dei due figli maggiori che nel luglio 1263, intercettata una lettera in cui Baldovino II, già imperatore di Costantinopoli, prendeva accordi con Manfredi re di Sicilia, non avevano esitato a consegnare la preziosa documentazione al pontefice. Legato all'episodio è probabilmente l'atto di quietanza fatto stilare il 9 febbr. 1264 da Malatesta da Verucchio, che dichiarava, a nome dei figli Iohannes e Paolottus, di avere ricevuto da frate Ondideo, su incarico della canonica di S. Maria in Porto di Ravenna, la somma di 25 lire ravennati.
Si apre, in seguito, un nuovo vuoto documentario che, benché si protragga per oltre un decennio, non ha impedito alla tradizione letteraria di collocare proprio in questo arco temporale l'episodio per cui la figura del M. è divenuta nota: le nozze con Francesca da Polenta.
In realtà, lo sfortunato matrimonio tra il M. e Francesca (1276 circa) è unicamente attestato dai commentatori danteschi, i quali sono i soli ad ascrivere la donna al casato dei da Polenta. Se, infatti, Francesca fu senza dubbio il nome della prima moglie del M., come certifica il testamento di Malatesta da Verucchio, assente è qualsiasi riferimento riguardante il lignaggio di appartenenza. Sull'intera vicenda, del resto, vige un assoluto riserbo che ha sempre impedito una compiuta ricostruzione del fatto, e il tragico epilogo pare che ne rappresenti l'unico dato certo. I celeberrimi versi danteschi (Inf., V, 97-108) hanno contribuito a rendere universalmente note le figure dei due amanti, Paolo e Francesca, condannati a morte violenta dal M., a un tempo fratricida e uxoricida, ma non forniscono elementi per ricomporre le coordinate storiche legate all'efferato misfatto, accaduto probabilmente fra il 1283, quando Paolo risulta essere ancora vivo, e il 1286, data del secondo matrimonio del Malatesta. Insoluta rimane la questione relativa al movente. Il delitto passionale, che tutta la tradizione letteraria rievoca con accorata partecipazione, facendo leva sulla menomazione fisica del M. contrapposta alla bellezza di Paolo, è di grande suggestione e, di certo, ammissibile, ma, con ogni probabilità, altri fattori concorsero al compimento della tremenda esecuzione. In primis la spartizione della cospicua eredità paterna che, senza dubbio, fece insorgere motivi di attrito fra il primogenito e il figlio cadetto e, nello specifico, il possesso del feudo di Ghiaggiolo, non ancora assegnato da Malatesta da Verucchio e ambito probabilmente da entrambi i fratelli. All'epoca del presunto matrimonio con Francesca persino le attestazioni riguardanti la vita politica e militare del M. risultano alquanto lacunose. Le notizie sono ancora una volta incerte per la difficoltà di effettuare sicure identificazioni. Un documento del 1279 attesta che, al tempo della guerra fra Guido da Montefeltro e Malatesta da Verucchio, dunque intorno al 1275, "Cionus domini Malateste [(] fuit capitaneus castri Sancti Iohannis in Galilea" (Pari, p. 117); difficile, però, stabilire se il diminutivo Cionus possa rappresentare una variante di Ciottus, soprannome attribuito al Malatesta. Medesima incertezza grava su un documento del 1276 in cui si fa riferimento a un Iohannes de Malatestis, podestà di Forlì, nel quale, data la frequenza delle omonimie, si può identificare il M. solo con beneficio del dubbio.
Le informazioni sul M. aumentano con l'intensificarsi della sua partecipazione alla vita pubblica; ormai trentenne, egli divenne gradualmente parte attiva nella gestione dello stato familiare, uscendo dall'ombra nella quale la forte personalità del padre lo aveva, forse, in precedenza relegato. Il 27 luglio 1278 il podestà Guido Guidi (Guido Pace) e il Consiglio generale di Rimini, all'atto di riconoscere la sovranità pontificia sul Comune, resero partecipi dell'evento i delegati dei domenicani e i capi delle maggiori fazioni cittadine; in rappresentanza di questi ultimi si presentarono, da una parte, Malatesta da Verucchio e il M., dall'altra, Montagna Parcitadi (la nonna materna del M. apparteneva a questa potente famiglia), evocato da una terzina dantesca come vittima delle crudeltà perpetrate dai Malatesta.
La rilevanza politica del M. accrebbe ulteriormente quando gli fu affidato dal padre un incarico tanto prestigioso quanto delicato: tentare di estendere il raggio d'azione malatestiano nella Marca.
Ottenuto nel 1283 il possesso di Gradara dalla famiglia del Griffo, Malatesta da Verucchio delegò al M. la gestione del castello la cui posizione, al confine tra Romagna e Marche, rappresentò una formidabile testa di ponte per ottenere il controllo sul Pesarese. Nel 1285 il M. deteneva già la podesteria di Pesaro, città destinata ad avere grande rilevanza nella sua vita. Fu, forse, proprio il progressivo consolidamento di un potere personale che spinse il M. ad alimentare nuove mire espansionistiche, determinando lo scontro con il fratello Paolo, altrettanto intraprendente e determinato.
Ma i trascorsi familiari non compromisero, a quanto risulta, l'immagine pubblica né ridimensionarono le ambiziose velleità di potere del M. che, ottenuta la dispensa papale, poté convolare a seconde nozze.
Intorno al 1286 il M. prese in moglie Ginevra, detta Ginebresina o Zambrasina, figlia di Tebaldello Zambrasi, che, fedele alleato di Malatesta da Verucchio, nel novembre 1280 aveva aperto a tradimento le porte di Faenza ai Geremei determinando l'eccidio dei Lambertazzi presenti in città. Ginevra, vedova di Tino di Ugolino dei Fantolini, assicurò al M., già padre di Concordia avuta da Francesca, una numerosa discendenza partorendo cinque figli: Malatestino detto Tino, Guido, Ramberto, Margherita e Rengarduccia, tutti ricordati, in mancanza del padre defunto, nel testamento di Malatesta da Verucchio.
Nell'arco della propria esistenza il M. mantenne sempre un atteggiamento di assoluto rispetto e collaborazione nei confronti del padre, ligio alla sua versatile linea politica, anche quando questa urtò pericolosamente gli interessi della S. Sede. Le conseguenze di tale ardire furono pressoché immediate. Il 14 giugno 1287 il seguito di Malatesta da Verucchio, partito da Forlì alla volta di Rimini, fu attaccato a sorpresa dagli uomini del rettore Pietro di Stefano e il M. fu catturato. Nel gennaio e febbraio 1288 il rettore pronunciò una serie di sentenze che colpirono il Comune di Rimini, i Malatesta e chi aveva prestato loro sostegno.
Se i rapporti con la Chiesa tornarono buoni grazie all'elezione del nuovo rettore pontificio, Ermanno Monaldeschi, fu, in seguito, lo stesso Comune di Rimini ad arrecare notevoli disagi ai signori della città, che il 5 maggio 1288 vennero messi in fuga da una rivolta antimagnatizia. Un'azione congiunta di Malatesta da Verucchio e dei suoi figli tentò di porre fine all'esilio; mentre il padre dirigeva scorribande e ruberie a danno dei Riminesi, i figli intrapresero la sottomissione del contado, che era sfuggito al loro controllo: nel settembre 1288 il M. aveva già riconquistato Santarcangelo e il fratello Malatesta detto Malatestino aveva preso Montescudo, ma solo nel marzo 1290 essi poterono fare ufficialmente rientro nella città romagnola, tramite la mediazione del nuovo rettore Stefano Colonna.
In realtà le condizioni della rappacificazione con il Comune di Rimini non furono vantaggiose per i Malatesta; l'espulsione fu semplicemente convertita in confino: il padre a Roncofreddo, il M. e Malatestino fuori dal distretto riminese. La lontananza dalla città, tuttavia, era destinata a durare poco; una rivolta cittadina scoppiata contro il rettore nell'aprile 1290 consentì a Malatesta da Verucchio e ai figli di tornare a Rimini e imporre, di fatto, il proprio dominio.
In questa irrefrenabile ascesa, il M. giocò un ruolo determinante. Nell'estate 1292, in qualità di podestà di Rimini, egli si recò con le proprie milizie a Faenza dove il potere di Maghinardo Pagani era minacciato dai Bolognesi sostenuti dal nuovo rettore Ildebrandino Guidi.
L'intervento rientrava nel piano strategico del padre, ideatore e promotore di una societas di città romagnole, l'unico organismo in grado di contrapporsi all'autorità pontificia. Per questo nel 1293 ritroviamo il M. podestà a Faenza, a fianco di Maghinardo Pagani, capitano del Popolo. La Lega rimase salda fino al 1294, quando l'avanzamento dei Montefeltro fece nuovamente mutare la linea politica di Malatesta da Verucchio che ritrovò nella Chiesa una fedele alleata nella lotta antighibellina. A coronamento della rappacificazione, Ildebrandino Guidi annullò tutte le condanne comminate nel 1288.
Si trattava, però, di una fase transitoria, necessaria alla definitiva presa di potere dei Malatesta che, approfittando dell'assenza del rettore, nel dicembre 1295 si impadronirono della città. Ancora una volta solo l'azione incrociata dei maggiori rappresentanti della famiglia rese possibile il colpo di mano.
L'inizio della signoria di Malatesta da Verucchio a Rimini coincise, in effetti, con l'ascesa del M. a Pesaro. La conquista della città marchigiana, intrapresa da tempo, divenne effettiva dal 1296, allorché il M. assunse la carica podestarile, conservandola, senza soluzione di continuità, sino alla morte. Al M., pertanto, è rivolto il breve che, nell'aprile 1296, Bonifacio VIII fece recapitare al Comune di Pesaro, affinché non ostacolasse il passaggio attraverso la città di Corrado da Montefeltro, chiamato al cospetto del pontefice. Forse solo da questo momento il M. iniziò a brillare di luce propria, emancipandosi dalla figura paterna e gettando le basi per la nascita di un ramo collaterale del casato malatestiano. Ciò nonostante gli equilibri familiari non subirono ripercussioni e il M. mantenne buoni rapporti con Rimini, dove continuò a possedere una residenza, presumibilmente in prossimità della contrada di S. Colomba, accanto alle altre case malatestiane.
Il potere personale del M. si consolidò ulteriormente nel dicembre 1297 quando fu investito dall'arcivescovo ravennate di Mons Cagnanus o Carigliano, podere sito nel territorio di Novilara al confine con la città di Fano, sulla quale il M. nutriva mire espansionistiche.
Il compimento di tali ambiziosi progetti fu, però, impedito dalla morte improvvisa del M., assassinato, secondo la tradizione, nel 1304 dai vassalli del castello di Scorticata (l'attuale Torriana), ove si era recato per riscuotere le imposte. La morte del M., pertanto, creò un pericoloso vuoto di potere, che i Malatesta non tardarono a colmare, inviando a Pesaro un contingente armato in grado di rivendicare la sua cospicua eredità.
Fonti e Bibl.: M. Battagli, Marcha [aa. 1212-1354], a cura di A.F. Massera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVI, 3, pp. 30-32, 75, 80, 89; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 148 s.; Testamento di Malatesta da Verucchio, a cura di A. Bellù - A. Falcioni, Rimini 1993, pp. 10 s.; C. Curradi, Alle origini dei Malatesti, in Romagna arte e storia, XLVIII (1996), pp. 37, 43, 50 s., 58-61, 64, 66 s., 71 s.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 580-592; A. degli Abati Olivieri Giordani, Memorie di Novilara, Pesaro 1777, pp. 30-35, 81; F.G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimino e de' suoi signori, Bologna 1789, ad ind.; A. degli Abati Olivieri, Memorie di Gradara, Pesaro 1795, pp. 69, 72; L. Tonini, Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, Rimini 1852, passim; Osservazioni critiche di monsignor Marino Marini sulle memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, Roma 1853, pp. 9-48; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel sec. XIII, Rimini 1862, ad ind.; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 71-75; S. Pari, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, ad ind. (pp. 280 s. e 313 s. per la letteratura dantesca); M.T. Indellicati, La discendenza di Gianciotto Malatesti, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 121-140.