MALVEZZI, Giovanni
Nacque a Bologna intorno al 1453 da Battista di Giovanni e da Elena di Francesco Muzzarelli. Fu il primo dei loro numerosi figli, dei quali giunsero all'età adulta, oltre al M., Girolamo, Filippo, Ludovico, Francesco, Lucrezio, Dorotea, Adola e Camilla.
Questo ramo, pur legato agli altri della importante famiglia, non li eguagliava in ricchezza, né per incarichi pubblici e prestigio politico. Il padre Battista mostrò peraltro di saper gestire con accortezza il non rilevante patrimonio di cui disponeva, incrementandone la consistenza con oculati investimenti. Nel 1451-52 acquisì con successivi atti l'intera proprietà di una cartiera in Bologna e nell'ottobre 1454 ottenne dal legato particolari agevolazioni per l'utilizzo dell'acqua necessaria alla sua attività. Per sostenere l'esportazione della sua produzione ottenne quindi nell'ottobre 1461 l'esenzione dai relativi dazi. Con altrettanta cura estese e valorizzò le proprietà nel contado, concentrate nella località Piumazzo: una fornace, la cui attività fu agevolata da concessioni elargitegli nel 1456 dalla Tesoreria di Bologna; un'osteria, costruita nel 1456 e per il cui esercizio ottenne nel febbraio 1459 la riduzione dei dazi sulle merci vendute e l'autorizzazione a tenere nel prato antistante un mercato mensile; alcune case nel centro abitato e una serie di piccoli appezzamenti, concessi in conduzione a persone del luogo.
Nel 1468 la morte del fratello Carlo, che aveva ricoperto ruoli di prestigio nella politica cittadina, fino a quello di membro dei Ventuno riformatori, nominati a vita da Paolo II nel 1466, fece di Battista il suo successore in tale collegio. Non ne seguì l'attribuzione di incarichi o uffici pubblici di grande rilievo, ma solo la nomina nel 1470 e 1472 a ufficiale della Fabbrica di S. Petronio. È da presumere quindi che la sua attenzione restasse rivolta soprattutto alla gestione del patrimonio familiare.
Il M. affiancò il padre ottenendo il 19 dic. 1472, dal Collegio dei riformatori, a nome e per conto anche dei fratelli, la privativa per l'attivazione di una fornace per la fabbricazione e lo smercio in città e nel contado di vasi e contenitori di vetro. Il 3 ag. 1474 acquistava, a nome del padre, una casa nel centro di Piumazzo.
Nel 1478 il M. sposò Dorotea di Giorgio Manzoli, che recò la cospicua dote di 2000 lire. Dal matrimonio nacquero alcuni figli, tra cui Cesare, Nicolò e Scipione, coinvolti, ancora piccoli, nella tragica vicenda del padre. È probabile che dopo il matrimonio il M. abbia abitato, almeno per buona parte dell'anno, a Piumazzo, dove dal febbraio 1479 risulta avere acquistato piccoli appezzamenti di terra, sempre a nome del padre e secondo la prassi da questo lungamente seguita. Nel luglio 1483 il M. e i fratelli ricevettero dallo zio Antonio Muzzarelli i diritti sulle terre presso Medicina da lui stesso assegnate in dote alla sorella. Anche di queste terre il M. curò gli atti di concessione. Continuò nel frattempo ad acquisire singoli appezzamenti intorno a Piumazzo fino al 4 ag. 1488, data dell'ultimo contratto da lui concluso. Nell'autunno, a Bologna, fu coinvolto in un piano per uccidere Giovanni Bentivoglio.
Al piano, noto come "congiura dei Malvezzi", parteciparono vari membri di questa famiglia, ma anche altri esponenti di primo piano della fazione bentivolesca, quali Giacomo Bargellini, Agamennone e Galeazzo Marescotti. Le cronache narrano di atti e comportamenti di Giovanni Bentivoglio e dei suoi figli gravemente pregiudizievoli verso Girolamo, fratello del M., e altri congiurati. Ma, senza contestare la realtà di questi fatti o sminuirne l'incidenza, pare evidente che i motivi più profondi della congiura siano da ricercare nell'insoddisfazione di una parte dell'oligarchia che, avendo favorito la supremazia di G. Bentivoglio, vedeva minacciato il proprio ruolo dalla trasformazione di tale supremazia in una effettiva signoria. Un'altra parte dell'oligarchia, più numerosa e importante, pur avvertendo e, forse, temendo anch'essa i pericoli della situazione, evitò tuttavia di farsi coinvolgere in un'azione radicalmente sovvertitrice della situazione in atto. Così se non pochi furono i membri della famiglia Malvezzi direttamente implicati nella congiura, altri, tra cui Pirro, il successore del fratello Virgilio nel Collegio dei riformatori, sembra ne fossero addirittura all'oscuro.
Il piano frettolosamente approntato dai congiurati non brillava certo per astuzia ed efficacia. Nella notte del 27 nov. 1488 due gruppi sarebbero dovuti penetrare nel palazzo di Giovanni Bentivoglio: il primo, guidato dal M., doveva irrompere nella sala dove il Bentivoglio e i figli cenavano e ucciderli tutti; il secondo, condotto da Giulio Malvezzi, entrato negli appartamenti della moglie del Bentivoglio, Ginevra Sforza, avrebbe ucciso lei e le figlie; un terzo gruppo, 25 uomini al comando di Galeazzo Marescotti, avrebbe allora fatto irruzione nella piazza e occupato il Palazzo pubblico. Per il successo del piano i congiurati non facevano alcun affidamento su aiuti o complicità esterne. Lo stesso M., che qualche tempo prima a Firenze aveva manifestato a Lorenzo de' Medici l'insoddisfazione che serpeggiava nell'oligarchia, ne aveva ricevuto solo consigli di assoluta moderazione.
Comunque decisi ad agire, i congiurati avevano affrettato i preparativi, ma qualcosa trapelò e già nel pomeriggio del 27 novembre Bentivoglio poteva attuare le contromisure. Convocato il Collegio dei riformatori, obbligò il padre del M., Battista, a intervenire anche se ammalato. A suo nome fece quindi chiamare il M. e questi, ignorando che il suo piano era ormai noto, accolse l'invito. G. Bentivoglio, di fronte all'intero Collegio, lo accusò di aver tramato la morte sua e dei suoi familiari. Il M. non negò, addossandosi, forse, anche responsabilità non sue e, richiesto del motivo, rispose che la sua intenzione era stata solo quella di liberare la città dalla tirannia. Aggiunse di sapere che il piano, anche se inattuato, gli sarebbe costato la vita.
Infatti, all'alba del 28 nov. 1488, senza alcun processo, fu impiccato insieme con altri congiurati, nel frattempo arrestati. Un fratello del M., Ludovico, fu ucciso in uno scontro con gli sgherri di Bentivoglio venuti ad arrestarlo; altri due, Girolamo e Filippo, si salvarono fuggendo.
Nello stesso 28 novembre il Collegio dei riformatori, con il consenso del luogotenente pontificio, adottò la prime misure punitive: il padre del M., Battista, giudicato colpevole di non aver saputo controllare i figli, fu espulso dal Collegio dei riformatori e la privativa di cui la famiglia godeva per la fabbricazione dei contenitori di vetro fu annullata. Lo stesso Battista, con tutti i familiari di ambo i sessi e con i figli del M., fu confinato a Rimini e Giulio Malvezzi a Napoli. Il 1( dicembre il Collegio ribadì le condanne e vi aggiunse quelle per altri Malvezzi, anche se non tutti chiaramente colpevoli di aver preso parte alla congiura: Aldobrandino fu confinato a Trento, Alessandro a Torino, Bartolomeo a Venezia. Il 19 genn. 1489 il podestà emanò nei confronti dei fratelli del M., Girolamo e Filippo, il bando dal territorio di Bologna con pena di morte e ordinò la confisca dei beni della famiglia. Altri membri della famiglia Malvezzi, per quanto non direttamente coinvolti o anche estranei alla congiura, per il clima di odio nei loro confronti, alimentato dai Bentivoglio, abbandonarono negli anni seguenti la città. Furono anch'essi posti al bando e tutti i loro beni furono confiscati e assegnati in buona parte al Bentivoglio.
Si chiudevano così, al momento, la vicenda e la presenza in Bologna della famiglia Malvezzi che per oltre un secolo aveva costantemente favorito e sostenuto finanziariamente l'ascesa dei vari esponenti dei Bentivoglio. La famiglia per il prestigio di cui godeva in città e all'esterno e per le ricchezze accumulate era divenuta il punto di riferimento di una eventuale opposizione alla trasformazione del primato dei Bentivoglio in effettiva signoria. La congiura maldestramente orchestrata dal M. e dai fratelli nel novembre 1488 aveva invece offerto a Giovanni Bentivoglio, che forse non aspettava altro e che, al contrario dei congiurati, non difettava né di un chiaro progetto politico, né della decisione nel porlo in atto, l'occasione e il motivo per stroncare ogni velleità di opposizione interna.
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