MAMELI, Giovanni
Poche notizie d'archivio documentano la biografia di questo argentiere attivo a Cagliari e dintorni nella seconda metà del XVI secolo: se ne ignorano infatti la paternità, il luogo e la data di nascita. La prima attestazione risale al 1563, quando il M. compare come maggiorale, cioè consigliere con funzione di controllo, della corporazione degli orefici di Cagliari.
Era dunque un maestro riconosciuto quando nel 1569 firmò, con Montserrat Mereu, la sua opera più nota: le tre grandi anfore olearie del duomo di Cagliari.
I manufatti si impongono per dimensione e compiutezza formale: il vaso panciuto di proporzioni classiche poggia su un piede circolare modanato e decorato a dentelli, mentre le ampie anse a voluta si dipartono dal collo sottile, culminando in pomelli a sviluppo elicoidale. La decorazione presenta graffe al fondo del vaso le quali, allargandosi verso l'alto, ne sottolineano il volume teso dalle "superfici nitide e piane" (Maltese - Serra, 1969, p. 344); si succedono quindi partiture orizzontali, entro le quali campeggia lo stemma episcopale del committente, Antonio Parragues de Castillejo, vescovo di Cagliari dal 1558 al 1573. Oggetti più volte replicati, le anfore hanno spesso suscitato l'interesse della critica, che vi ha individuato una prima apertura al manierismo italiano, forse mediata dalla cultura del committente (Ferru). In realtà il M. - con ogni probabilità l'esecutore materiale, mentre Mereu fu forse un saggiatore - appare come un artefice raffinato e di grande perizia esecutiva, ma ancora del tutto assimilato al gusto catalano che permeava la cultura e l'arte sarda sin dal XIV secolo. Infatti, numerosi disegni tra quelli contenuti nei Llibres de passanties (Barcellona, Arxiu històric de la ciutat), registri delle prove d'esame per orafo e argentiere, sono strettamente accostabili, per stile e composizione, alle anfore cagliaritane: il pezzo eseguito nel 1564 da Francesco Puig sembrerebbe costituirne il modello (Llibres de passanties, II, f. 171).
Documentato nel 1573 come curatore testamentario di un ciabattino, nel maggio 1576 il M. ricevette l'incarico di realizzare una croce astile per la chiesa di S. Eulalia, a Cagliari: in tale occasione il M. è detto residente della Lapola, attuale Marina, il vivace quartiere del porto e delle comunità straniere.
La croce, in lamina d'argento sbalzata e cesellata su una struttura di legno, presenta una foggia gotica a terminazioni gigliate, ornata sul fondo e ai bordi da un decoro vegetale; sul recto vi è un Cristo - operato a fusione - di intenso pathos, a tergo una Madonna di gusto arcaizzante (Cagliari, Museo del Tesoro di S. Eulalia). La croce grava su un nodo architettonico esagonale a tre ordini che ospita, entro piccole nicchie rinascimentali a tutto sesto, le statuine di santi e dottori della Chiesa. Il manufatto rivela una netta derivazione da analoghi, e precedenti, esempi del Levante iberico, della cui produzione l'oreficeria sarda sembra essere una filiazione: un'ordinanza barcellonese del 1433 prevedeva l'esilio perpetuo in Sardegna per gli orafi e i gioiellieri catalani che commettevano frodi (Barcellona, Arxiu històric de la ciutat, Ordinacions y bans, 1433-35, cc. 136 s.). Come esempio di tale contiguità formale si citano le croci barcellonesi quattrocentesche del Victoria and Albert Museum di Londra e quella della chiesa di S. Miquel di Cardona, opera di Marc Olzina (1427: N. Dalmases, Orfebreria catalana medieval: Barcelona 1300-1500, Barcelona 1992, schede nn. 24, 38). Oggetti dalla tipologia codificata, in Sardegna per le croci fu adottato un medesimo repertorio formale e decorativo sino al XVII secolo, con minime variazioni: la bottega del M. fu una delle più attive in tale produzione quasi seriale.
In data imprecisata il M. sposò Giovanna Pitxoni (Piccioni), dalla quale ebbe sei figli: Francesco Nicola, Agostino, Francesca, Giovanna Angela, Marchesa e Tommaso; la moglie apparteneva a una rinomata famiglia di orafi cagliaritani, dei quali Antonio Giovanni, forse suo padre, fu il più noto. Recentemente Pasolini ha ipotizzato un alunnato del M. presso Piccioni, del quale dovette ereditare la bottega come dimostrerebbe l'identità degli elementi a fusione nelle opere autografe di entrambi.
Tra il 1587 e gli ultimi anni del secolo il M. compare più volte nei pagamenti della cattedrale di Cagliari, per lavori di piccolo importo - sia di restauro sia ex novo - relativi al corredo degli argenti sacri: se ne evince un rapporto fiduciario con il vescovo, dato che indirettamente testimonia l'importanza della sua bottega. Contestualmente è documentata la sua attività nel contado di Cagliari: nel 1595 realizzò la croce e l'ostensorio di Guasila e operò a più riprese per la chiesa di S. Bernardino di Mogoro, la cui croce astile viene datata tra il 1601 e il 1603, come quella di Muravera, sulla quale venne esemplata. Tali oggetti sono strettamente imparentati con la citata croce di S. Eulalia e dimostrano a un tempo la celebrità dell'atelier del M. e la tendenza isolana alla staticità iconografica e formale.
È firmata e datata 1602 la grande lampada pensile del duomo di Cagliari, dono votivo dell'arcivescovo Alfonso Lasso Sedeno: strutturata secondo la tipologia "a fanale" su base ottagonale con pilastrini angolari di rinforzo, l'opera presenta una ricca decorazione fitomorfa a intaglio.
L'esuberanza ornamentale, in un'epoca prolusiva al barocco, dissimula l'attardato repertorio formale, che è ancora tardogotico; al M. poi la critica concordemente attribuisce anche la lampada dei consiglieri civici cagliaritani, di poco posteriore (1606: Cagliari, duomo); qui si propongono ancora i candelieri di S. Eulalia e il calice di Mogorella (1607).
Sono documentati suoi rapporti, forse di commercio, con Napoli; nel 1609 è attestato come "pagador real" della città di Cagliari, pubblico incarico che parrebbe indicare un ruolo di garante dei pesi e delle carature.
Dopo avere nominato erede universale il figlio Agostino, il M. morì a Cagliari il 9 luglio 1611.
Fonti e Bibl.: C. Aru, Argentari cagliaritani del Rinascimento, in Pinacotheca, I (1929), 4, pp. 197-211; R. Delogu, Mostra dell'antica oreficeria sarda, Cagliari 1937, pp. 30, 39 s., schede 42, 55; C. Maltese, Arte in Sardegna dal V al XVIII secolo, Roma 1962, pp. 24, 29, 211 s.; C. Maltese - R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in Sardegna, Milano 1969, pp. 337-344; M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola. Documenti d'archivio, Cagliari 1987, ad ind.; M. Picciau, L'arte orafa nel Campidano di Cagliari e Oristano tra Rinascimento e barocco, tesi di laurea, Università di Siena, a.a. 1993-94, pp. 46-48, schede 27, 46, 47, 52; M.L. Ferru, Le anfore olearie del duomo di Cagliari: lo stile classico al servizio dell'ideologia religiosa, in M. Atzori - A. Vodret, Olio sacro e profano. Tradizioni olearie in Sardegna e Corsica, Sassari 1995, pp. 119-122; M. Picciau, L'orfèvrerie en Sardaigne à l'époque espagnole (XIVe-XVIIIe siècles), diss., École des hautes études en sciences sociales, Paris 1996, pp. 60 s.; G. Guarino, La produzione orafa in Sardegna dalla tradizione iberica al gusto italiano, in Biblioteca francescana sarda, VII (1997), pp. 292-294; A. Pasolini, Argentieri sardi o attivi in Sardegna dal Medioevo all'Ottocento: notizie biografiche, ibid., p. 336; G. Deidda, L'attività degli argentieri cagliaritani nel secolo XVI, in Corporazioni, gremi e artigianato tra Sardegna, Spagna e Italia nel Medioevo e nell'Età moderna, a cura di A. Mattone, Cagliari 2000, p. 377 n. 24; F. Virdis - T. Puddu, Res mirabiles. Argenti sacri ed ex-voto della parrocchia di Guasila, Dolianova 2002, pp. 28, 38 s.; A. Pasolini, Gli argenti della parrocchiale di Muravera (e qualche nota sull'argentiere G. M.), in S. Murgia, Muravera e le sue chiese nei documenti d'archivio, Dolianova 2005, pp. 65-83.