MANFURIO, Giovanni
Nacque a Napoli nei primi decenni del XVI secolo. Nulla si sa della famiglia, se non che il M. fu cugino di Antonio Pisano, figlio di Porfida Santori, sorella del cardinale Giulio Antonio Santori.
Che il M. fosse familiare di Santori risulta dalla prima fonte biografica a disposizione, gli atti del sinodo provinciale napoletano del 1565, durante il quale l'assemblea acclamò il "buon Manfurio" - designato come lettore di grammatica e membro della congregazione della chiesa di S. Maria Maggiore - revisore dei conti del neofondato seminario arcivescovile, nomina a cui subito rinunciò, come richiestogli da Santori, a favore di Lelio Brancaccio (cfr. Acta et decreta Synodi Neapolitanae, Neapoli 1568, pp. 50 s.). L'appoggio di Santori gli consentì comunque di ottenere il 21 maggio 1570 il beneficio perpetuo dell'altare di S. Angelo Vecchio in S. Maria Maggiore, con una rendita di 24 ducati annui (Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat., 1979, c. 42); seguì il 7 apr. 1576 la nomina, da parte dell'arcivescovo Mario Carafa, a canonico semplice del capitolo metropolitano, i cui membri erano tutti legati alle famiglie più potenti del Regno e di cui faceva già parte il fratello Giovanni Agostino. Il M. subentrò al già ricordato Pisano e, benché il canonicato semplice non fosse beneficiato, gli furono concesse le prebende rimesse dal suo predecessore nelle mani del capitolo. Nel maggio dello stesso anno partecipò al sinodo provinciale di Napoli, che lo vide protagonista di un vivace scontro verbale con il vescovo di Aversa Balduino Balduini, per essersi fatto portavoce delle proteste dei canonici contro alcuni articoli della riforma tridentina, lesivi dei loro diritti e prerogative. Il favore prima dell'arcivescovo Carafa e poi di Annibale Di Capua, nominato arcivescovo di Napoli nel 1578, che in più occasioni si giovò del rapporto privilegiato del M. con Santori, gli assicurò una rapida carriera. Il 30 dic. 1576 fu nominato deputato all'amministrazione contabile del seminario arcivescovile; l'8 maggio 1577 divenne sacrista, incarico al quale associò, il 26 nov. 1581, quello di sacrista di S. Restituta.
Una parallela attività legale del M., strenuo difensore dell'autonomia della giurisdizione ecclesiastica, è attestata dalla licenza concessagli nel gennaio 1581 da Gregorio XIII per proseguire "le cause [(] civili e criminali, nel foro secolare, etiam contra laici" che già erano state di Santori (Autobiografia, p. 369). Il 23 genn. 1587 il cardinale Santori ottenne per il suo protetto l'ambito ufficio, di nomina papale, del tesorierato, ossia la cura del tesoro e delle reliquie della cattedrale napoletana. Tra l'agosto e il settembre dello stesso anno Annibale Di Capua scelse infine il M. quale successore di Carlo Baldino all'importante carica di vicario delle monache.
Tale attività è ampiamente documentata dalla corrispondenza tra il M. e la congregazione dei Vescovi e regolari, fonte preziosa per la ricostruzione delle difficoltà che nei monasteri femminili napoletani incontrò l'introduzione della restrittiva riforma tridentina. Persuaso che "le cose di monache sempre hanno dentro qualche pericolo" (Arch. segr. Vaticano, Congr. Vescovi e regolari, Positiones, 1588: Napoli, 30 giugno), il M. riferisce dei cattivi costumi delle religiose, dovuti alla presenza nei conventi di donne "laiche et maritate, ò vero inquisite", che possono indurre le spose di Cristo a "scandalose conversationi", nonché dei suoi tentativi di moderare le spese "nel parar le chiese nella festività loro" (ibid., 1587: Napoli, 9 ottobre), lamentandosi spesso del suo incarico perché il "negotiare con le monache di qua è fastidioso, per li cervelli, c'hanno terribili" (ibid., 1588: Napoli, 1 luglio), tanto da preferire - scrive a Santori - "zappare da matino à sera in un giardino, che governare queste monache" (ibid., 22 agosto). Non sempre i suoi interventi e le sue decisioni incontrarono consenso, e il M. fu spesso costretto a giustificarsi di fronte alla congregazione, che più volte lo criticò per essersi mostrato troppo acquiescente - come gli scrisse il cardinale Michele Bonelli nell'aprile 1590 - nei confronti delle monache "disubidienti et rebelle", facendo nascere il sospetto di voler egli stesso ostacolare l'introduzione delle misure tridentine (Napoli, Arch. stor. diocesano, Vicario delle monache, 473, c. 167r).
Contrastata fu anche la posizione del M. all'interno del capitolo. Nell'aprile 1588 alcuni canonici accusarono lui e gli "adherenti suoi" di essere "andati sparlettando, ingiuriando, e provocando in privato, et in publico" (Arch. segr. Vaticano, Congr. Vescovi e regolari, Positiones, 1588: Napoli, 7 aprile); nel settembre 1589 seguì un memoriale che accusava il "nostro inimicissimo" M. di aver abusato della carica di vicario delle monache, del proprio potere, arrivando a permettere al nipote Luzio Longo, anch'egli canonico, di violarne la clausura (Ibid., Segreteria di Stato, Napoli, 14, c. 501r).
Il M. morì probabilmente a Napoli l'8 giugno 1592.
Le polemiche non si spensero neppure dopo la sua morte: il 29 luglio Longo informò la congregazione delle pressioni e delle gravi minacce subite da parte di Annibale Di Capua, perché gli restituisse le lettere che, negli anni, aveva inviato al Manfurio. L'arcivescovo aveva inoltre assegnato di sua iniziativa l'ufficio del tesorierato, resosi vacante alla morte del M., al proprio maestro di camera. Solo l'intervento di Clemente VIII consentirà a Santori di far succedere un suo protetto alla carica già del M., "agente suo familiare et commensale" (Ibid., Congr. Vescovi e regolari, Positiones, 1592: Napoli, 14 agosto).
La fama del M., del quale non sono note opere se non alcuni distici latini impressi in calce al Libellus quo singulare verum syllogismum ingredi luce clarius ostenditur di F.M. Storella (Napoli, M. Cancer - T. Riccione, 1557), è legata soprattutto al fatto che un Manfurio è tra i protagonisti della commedia Il candelaio di Giordano Bruno (Parigi 1582), testo denso di precisi riferimenti all'ambiente napoletano. Non vi è certezza che l'autore si sia effettivamente ispirato, per la figura del "sollennissimo pedante", al M. reale, né è documentata una diretta conoscenza. Ma entrambi i Manfurio sono - nella realtà così come nella finzione scenica - maestri di umanità in un "almo minervale gimnasio" (atto I, scena V), e laici ("Non sum homo ecclesiasticus", dichiara Manfurio, atto IV, scena XIV), non essendo ancora il M., negli anni trascorsi da Bruno a Napoli (1565-75), canonico del capitolo. Modesto poeta è infine anche il Manfurio del Candelaio, i cui versi sono oggetto di sarcasmo (atto II, scena I). Quindi - come osserva Spampanato - "se non fu proprio lui", alcune coincidenze appaiono innegabili.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Armadio LII, 18-20: G.A. Santori, Libro delle mie private audienze; Congr. Vescovi e regolari, Positiones, 1587-1592; Registra Episcoporum, 13-22; Segreteria di Stato, Napoli, 14; Segreteria di Stato, Particolari, 3; Napoli, Archivio capitolare, Pergamene, 461 (atto di nomina al canonicato); Corrispondenza, 1351 s.; Conclusiones, 194; Ibid., Arch. stor. diocesano, Vicario delle monache, 473; Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., IX.G.5: Excerpta ex actis Synodi provincialis Neapol. an. 1576 (cfr. M. Miele, Atti dei concili provinciali dell'Italia meridionale in età moderna, in Annuarium historiae conciliorum, XVI [1984], pp. 431-433); Mss. S. Martino, 381: Acta et decreta Synodi Neapolitanae, Neapoli 1568, pp. 50 s., 54; Autobiografia di mons. G.A. Santori, a cura di G. Cugnoni, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XII (1889), pp. 45, 74, 369; XIII (1890), pp. 176 s., 184; P. Santamaria, Historia Collegii patrum canonicorum metrop. Ecclesiae Neapolitanae, Neapoli 1900, pp. 336, 555 s.; V. Spampanato, Vita di G. Bruno, Messina 1921, pp. 250 s.; Id., Sulla soglia del Seicento. Studi su Bruno, Campanella, ed altri, Milano 1926, pp. 33 s.; R. De Maio, Le origini del seminario di Napoli, Napoli 1958, pp. 59-61; P. Manzi, La tipografia napoletana nel '500. Annali di Mattia Cancer ed eredi (1529-1595), Firenze 1972, n. 100; G. Romeo, Una "simulatrice di santità" a Napoli nel '500: Alfonsina Rispola, in Campania sacra, VIII-IX (1977-78), p. 185; M. Miele, Sisto V e la riforma dei monasteri femminili di Napoli, ibid., XXI (1990), pp. 152, 156, 160-163, 192-195, 198-200; M. Rosa, Carriere ecclesiastiche e mobilità sociale. Dall'"Autobiografia" del card. G.A. Santori, in Fra storia e storiografia. Scritti in onore di P. Villani, a cura di P. Macry - A. Massafra, Bologna 1995, p. 582; M. Miele, Die Provinzialkonzilien Süditaliens in der Neuzeit, Paderborn 1996, pp. 169 s.; S. Ricci, Il sommo inquisitore. Giulio Antonio Santori tra autobiografia e storia (1532-1602), Roma 2002, p. 310.