MARANGONI, Giovanni
Nacque a Mantova il 23 febbr. 1834 da Francesco, magistrato e facoltoso proprietario terriero, e da Lucia Boselli. Dopo aver frequentato il ginnasio a Desenzano sul Garda, il M. completò gli studi inferiori nella città natale. Giovanissimo militante della Società della Morte, altro nome del Comitato rivoluzionario mantovano, strinse amicizia con don E. Tazzoli e con A. Mori, poi impiccati a Belfiore. Ricercato dalla polizia austriaca, il M. riparò a Genova nei primi mesi del 1853. L'ostentata fede repubblicana fece sì che le autorità piemontesi lo considerassero elemento sgradito; di qui la decisione, nel novembre 1856, di imbarcarsi come allievo marinaio su un piroscafo sardo diretto a Montevideo. Rientrato a Genova alla fine del 1857, il M. commissionò a un armatore ligure la costruzione di un bastimento da adibire al commercio in Estremo Oriente, ma non ebbe dalla famiglia l'aiuto economico sperato, né ebbe miglior esito il tentativo di coinvolgere nel progetto Nino Bixio.
Il conflitto tra Franco-Piemontesi e Austriaci (maggio-luglio 1859) riaccese tuttavia nel M. la passione per la causa dell'indipendenza italiana. In particolare, dopo l'armistizio di Villafranca (che, tra le altre cose, prefigurava la permanenza della sua Mantova sotto il dominio asburgico), si convinse che la definitiva rigenerazione sarebbe stata assicurata all'Italia non dal lavorio diplomatico, bensì dall'azione rivoluzionaria dei patrioti più determinati. Giunto a Firenze il 14 ag. 1859, chiese a G. Garibaldi di entrare nel corpo delle guide del neocostituito esercito dell'Italia centrale.
Con l'obiettivo di suscitare quanto prima un vasto moto insurrezionale nell'Italia centrale, anche a costo d'una guerra con Austria e Francia, il M. si recò a Bologna insieme con R. Pilo. I due furono però arrestati il 17 agosto su ordine di L. Cipriani, governatore delle Romagne, come perturbatori dell'ordine pubblico e rinchiusi nella fortezza bolognese del Torrione, dalla quale uscirono il 25 settembre dello stesso anno soprattutto grazie all'energico intervento di Garibaldi. Condotti al confine svizzero, si fermarono a Lugano dove il 30 settembre, in un articolo accolto nella Gazzetta ticinese, denunciarono le vessazioni subite durante la detenzione. In Svizzera, assunto il falso nome di James Walton, il M. strinse amicizia con C. Cattaneo e coadiuvò strettamente A. Mario nell'opera di diffusione degli scritti di G. Mazzini. Risalgono a quel periodo numerose missive del M. alla madre e ai fratelli Giacomo e Irene, testimonianza pregnante del suo pensiero politico. Il 5 nov. 1859 indirizzò da Lugano un Proclama al popolo lombardo (apparso in alcuni quotidiani locali), vibrante atto d'accusa ai governi coinvolti nella questione italiana e, al contempo, accorato invito alle giovani generazioni a lottare per un'Italia indipendente e retta da istituzioni autenticamente libere.
Poco gradito alle autorità elvetiche, all'inizio del 1860 il M. raggiunse G. Mazzini a Londra e, ottimo conoscitore della lingua inglese, ne fu per breve tempo segretario. In quel frangente il M. suggerì invano a Mazzini di legare alla rivoluzione nazionale l'elemento contadino, con la creazione di un movimento, gli Amici della campagna, e la promessa (una volta realizzata la repubblica democratica) di un'amplissima redistribuzione della ricchezza. In tal modo il M. mostrava di aver colto lucidamente la ristrettezza delle basi del movimento nazionale italiano. Tornato in Italia nel maggio 1860, diede vita a Guastalla a un comitato d'azione e coadiuvò attivamente A. Bertani nella raccolta di fondi da destinare all'azione garibaldina in Sicilia e a un'eventuale spedizione nelle Marche e nell'Umbria. La rivoluzione nell'Italia centrale, che rimaneva l'obiettivo primario del M., era però destinata, come già nell'estate del 1859, a rivelarsi irrealizzabile. Arruolatosi nella terza compagnia carabinieri genovesi con il grado di sottotenente, raggiunse, nell'agosto 1860, la Sicilia e fu inquadrato nella divisione comandata da N. Bixio. Il 7 sett. 1860 fu tra i primi a entrare a Napoli, dove era stato in giovinezza e dove rivide i vecchi amici Luigi e Raffaele Settembrini. Il 1° ottobre il M. combatté valorosamente a Maddaloni: ferito e fatto prigioniero, riuscì a liberarsi dopo pochi minuti, assumendo il comando della propria compagnia e di quella del maggiore C. Boldrini fino alla positiva conclusione della battaglia. Il fatto d'armi di Maddaloni valse al M. la nomina a luogotenente di fanteria e la medaglia d'argento al valor militare (conferitagli il 12 giugno 1861). Nel novembre 1860 il M. prese parte al bombardamento di Capua.
Nei mesi successivi alla definitiva sconfitta dell'esercito borbonico, il M., profondamente contrariato dall'atteggiamento tenuto dal governo piemontese verso i volontari garibaldini, pensò più volte alle dimissioni dall'esercito, ma le insistenze di Bixio e di Mazzini lo fecero recedere dal proposito. In particolare, nei primi mesi del 1861 Mazzini sollecitò più volte il M., nel frattempo stabilitosi a Vercelli, a compiere opera di apostolato presso i propri commilitoni, in vista di future azioni per la liberazione di Roma e Venezia. Il 4 ag. 1861 il M. passò, conservando il grado, nel Corpo volontari italiani e, nell'aprile 1862, fu infine inquadrato nel 45° reggimento di fanteria dell'esercito regolare. Con il proprio reparto - di stanza dapprima a Campobasso, poi a Isernia, infine a Potenza - il M. prese parte, fra il novembre 1862 e la fine del 1865, alle operazioni contro il brigantaggio.
Spesso condizionato da gravi problemi di salute, ebbe anche, in quel frangente, cattivi rapporti con la famiglia, che gli impedirono la realizzazione del matrimonio con la novarese Giulia Melchioni.
Pur non recitando un ruolo di primo piano, tra il 1863 e il 1864 il M. fu spesso in contatto con B. Cairoli, al quale inviò denaro per quell'azione rivoluzionaria nel Veneto ideata da Mazzini e stroncata sul nascere dalla polizia austriaca. Nel giugno 1866, luogotenente del 45° reggimento di fanteria, il M. partecipò alla guerra per la liberazione del Veneto, distinguendosi nell'espugnazione della testa di ponte di Borgoforte (fatto d'armi precedente alla battaglia di Custoza).
Nel febbraio 1867 fu collocato in aspettativa per riduzione dei quadri (sarebbe poi stato definitivamente dispensato dal servizio nell'ottobre successivo). Fece quindi ritorno a Mantova, dalla quale mancava da quasi tre lustri, ma il breve soggiorno nella città natale si rivelò una completa delusione. All'inizio dell'estate 1867 il M. si recò quindi a Firenze, allora capitale del Regno d'Italia, frequentò alcune lezioni presso la scuola militare, assistette (ricavandone una pessima impressione) alle sedute del Parlamento e rivide i vecchi amici Bixio e G. Acerbi. Il 26 ag. 1867, avuto sentore di un'imminente azione garibaldina nel Lazio, scrisse al fratello Giacomo, annunciandogli l'intenzione di recarsi a Roma. Nei giorni seguenti, prese accordi con l'ambiguo F. Ghirelli, che aveva costituito a Firenze una legione romana (agendo probabilmente per conto del gabinetto Rattazzi). Giunto a Roma il 29 sett. 1867, provvisto di un passaporto della legazione di Spagna, il M. cercò di tessere contatti con gli uomini del Comitato romano. Ebbe però modo di constatare l'estrema indifferenza del popolo romano, che lasciava presagire il fallimento del moto rivoluzionario. Arrestato l'11 ott. 1867, fu trovato in possesso di una compromettente lettera, in cui invitava Ghirelli a rompere gli indugi e ad assumere la direzione militare dell'imminente insurrezione.
Non potendo impostare una credibile linea difensiva, il 28 ag. 1868 il M. fu condannato a venti anni di reclusione dal supremo tribunale della Sacra Consulta. Dal carcere romano di S. Michele, indirizzò commoventi lettere alla madre e al fratello Giacomo (che poté fargli visita sul finire del 1868), nelle quali ribadiva l'assoluta fedeltà ai principî che avevano improntato tutta la propria esistenza.
Il pessimo regime detentivo causò un repentino aggravamento delle condizioni di salute del M. (da molti anni malato di cuore), che morì a Roma il 18 ag. 1869.
Sepolto nel cimitero romano del Verano, fu commemorato ne Il Dovere di Genova e, con particolare calore, da L. Settembrini nel quotidiano napoletano Il Piccolo.
Fonti e Bibl.: Il Fondo Marangoni è presso la Biblioteca comunale di Mantova; C. Terzi, La giovinezza e l'esilio di G. M., in Boll. stor. mantovano, III (1958), 11-12, pp. 460-489; Id., G. M. nel 1860. Da Genova al Volturno, ibid., IV (1959), 15-16, pp. 267-294; Id., G. M. 1861-1866. La terza guerra d'indipendenza, in Atti e memorie del Museo del Risorgimento di Mantova, III (1964), pp. 71-93; Id., G. M. 1867-1869. L'insurrezione romana, Mantova 1969; Id., G. M. e Roma capitale, Bergamo 1971. Si vedano inoltre: Epistolario di Nino Bixio, I (1847-1860), a cura di E. Morelli, Roma 1939, ad ind.; Le carte di Agostino Bertani, Milano 1962, ad ind.; Ed. nazionale degli scritti editi e inediti di G. Mazzini, Indici, II, 1-2, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen. Qualche riferimento al M. in G. Maioli, La prigionia in Bologna di Rosolino Pilo, di G. M., di Alberto Mario e consorte nell'agosto e settembre 1859, in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna, II (1936-37), pp. 173-195; M. Bardini, Fatti e uomini della storia di Mantova, Mantova 1944, p. 140.