MARCORA, Giovanni
– Nacque a Inveruno, in provincia di Milano, il 28 dic. 1922 da Giuseppe, allevatore e mercante di bestiame, e da Erminia Garavaglia, figlia di un piccolo albergatore.
Nella formazione del M. influirono le frequentazioni adolescenziali: da un lato l’ambiente di lavoro del padre e dall’altro l’oratorio e il circolo di Azione cattolica di Cuggiono, dove maturò la sua scelta di impegno sociale nel solco della tradizione cattolico-popolare, innervata dall’insegnamento di J. Maritain.
Dopo aver conseguito, nel 1941, il diploma di geometra presso l’istituto C. Dell’Acqua di Legnano, andò a lavorare come capocantiere nei pressi di Zara, allora territorio italiano. Chiamato alle armi, prestò servizio come ufficiale nel reggimento di artiglieria di montagna di stanza a Bressanone.
Dopo l’8 sett. 1943, decise di unirsi ai partigiani della Valle Olona, contribuendo a organizzare le formazioni d’ispirazione cattolica nel raggruppamento Alfredo Di Dio, di cui divenne vicecomandante con il nome di battaglia di Albertino. Partecipò, il 9 sett. 1944, alla liberazione di Domodossola e alla sfortunata difesa della Repubblica dell’Ossola. Nel dopoguerra fu nominato presidente della commissione istituita dal ministero della Difesa per il riconoscimento delle qualifiche partigiane.
Durante la Resistenza il M. aveva stretto amicizia con Enrico Mattei, rappresentante della Democrazia cristiana (DC) in seno al Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), al quale rimase sempre legato. Quando Mattei assunse responsabilità imprenditoriali alla testa dell’Ente nazionale idrocarburi (ENI), il M. continuò a rappresentarne le istanze politiche all’interno della DC, partito al quale aveva aderito nel 1945. Su sollecitazione di Mattei, alla vigilia delle elezioni del 7 giugno 1953, organizzò una grande manifestazione di ex partigiani in piazza Duomo a Milano.
L’iniziativa era volta a creare un clima favorevole a una politica di apertura a sinistra con il coinvolgimento del partito socialista nel governo del Paese. Tale prospettiva, resa più realistica dall’esito delle elezioni, era vista con favore da alcuni settori del mondo cattolico milanese più sensibili alle istanze di progresso sociale, che il 27 sett. 1953 si riunirono a Belgirate.
In quel convegno fu decisa la costituzione di un nuovo raggruppamento all’interno della DC, la cosiddetta sinistra di base, di cui il M. fu tra i promotori divenendone presto uno dei più autorevoli esponenti a livello nazionale.
La nascita di questa corrente, che poteva contare sul sostegno economico di Mattei, vivacizzò il dibattito interno alla DC del dopo De Gasperi. La base assunse come programma il perseguimento dell’alleanza con i socialisti e del dialogo con i comunisti, in modo da accelerare l’inserimento delle masse nella direzione dello Stato, scongiurando il ricorso a soluzioni violente e consentendo, nello stesso tempo, alla DC di mantenere il suo ruolo centrale nel sistema politico italiano.
Eletto, nell’aprile 1958, segretario provinciale della DC di Milano, il M. si propose di rinnovare il partito attraverso il consolidamento dei rapporti con la società civile e con il mondo del lavoro, in particolare, e la formazione di nuovi quadri dirigenti e amministratori locali. Per impulso del M., fra gli anni Cinquanta e Sessanta la DC milanese divenne sede di confronto e di elaborazione per la soluzione dei problemi generali, dalla politica energetica alla riforma fondiaria, dalla libertà nelle fabbriche al piano Vanoni. Si crearono così le condizioni propizie per sperimentare nel capoluogo lombardo quella formula politica che il M. e i suoi amici di corrente avrebbero voluto vedere realizzata a livello nazionale. Il 21 genn. 1961 fu infatti costituita al Comune di Milano la prima giunta sostenuta da una maggioranza di centro-sinistra, che vedeva la DC insieme con il Partito socialista democratico italiano (PSDI), il Partito repubblicano italiano (PRI) e il Partito socialista italiano (PSI). L’inedita alleanza contribuì a rendere ancora più stringente all’interno della DC il dibattito sull’apertura a sinistra, sancita poi dall’VIII congresso nazionale (Napoli, 27-31 genn. 1962) e realizzata con la formazione, il 22 febbraio, del governo Fanfani con l’appoggio esterno dei socialisti.
Nel 1962, al congresso di Napoli, il M. fu eletto nel consiglio nazionale del partito, ma all’assunzione di maggiori responsabilità a livello nazionale fece seguito un momentaneo ridimensionamento del suo ruolo in ambito milanese con la perdita, in quello stesso anno, della segreteria provinciale della DC, che avrebbe riconquistato nel 1963 mantenendola ancora per cinque anni.
Con la costituzione, il 5 dic. 1963, del primo governo organico di centro-sinistra, presieduto da A. Moro, si realizzava l’obiettivo per il quale si era battuto il Marcora.
La soddisfazione per la svolta politica non gli impedì, tuttavia, di denunciare con franchezza il comportamento dei partiti della nuova maggioranza, troppo preoccupati, a suo avviso, della «spartizione del potere».
Alle elezioni politiche del 19-20 maggio 1968 il M. fu eletto al Senato nel collegio di Vimercate, dove sarebbe stato confermato nelle successive elezioni del 1972, 1976 e 1979.
Di fronte ai fermenti nuovi che agitavano la società italiana, in particolare i giovani e il mondo del lavoro, il M. ebbe un atteggiamento di grande apertura, sollecitando il suo partito a non lasciarsi scavalcare dagli eventi.
Il M. fu promotore e relatore della legge che, nel 1972, riconobbe ai giovani chiamati ad assolvere gli obblighi di leva il diritto all’obiezione di coscienza. Entrato a far parte, nel luglio 1969, della direzione nazionale della DC, egli divenne uno fra i protagonisti del dibattito interno al partito. Dopo lo spostamento a destra degli equilibri politici, iniziato nel dicembre 1971 con l’elezione di G. Leone alla presidenza della Repubblica, confermato dall’esito delle elezioni anticipate del 7 maggio 1972 e dalla nascita del governo Andreotti, il M. si attivò per favorire il ritorno al centro-sinistra e un ricambio ai vertici del partito. In vista del XII congresso DC (Roma, 6-10 giugno 1973) portò i basisti ad aderire all’accordo, promosso da Moro, che tolse ai dorotei di A. Forlani la guida della DC riportando alla segreteria A. Fanfani. Il 5 agosto successivo il M. fu nominato vicesegretario nazionale. In tale veste curò la preparazione di un convegno economico, tenutosi a Perugia nel dicembre di quell’anno, nel quale alcuni studiosi come P. Saraceno, B. Andreatta, S. Lombardini e R. Prodi furono chiamati a delineare una strategia in grado di fronteggiare la recessione provocata dalla crisi petrolifera. A tale riguardo il M. dovette tuttavia prendere atto del diverso orientamento dei responsabili dei dicasteri economici e delle autorità monetarie, che lo indusse a rassegnare, dopo appena un anno, le dimissioni dall’incarico.
Il 23 nov. 1974 fu nominato ministro dell’Agricoltura e foreste nel IV governo Moro, e restò ininterrottamente alla guida di quel dicastero nei successivi governi fino al 18 ott. 1980 (governo Forlani).
Il M. conosceva da vicino i problemi di competenza del suo ministero per tradizione familiare e per essere egli stesso proprietario di un’azienda agricola, nel Parmense, nella quale si allevavano cavalli e bovini. Durante la sua lunga permanenza al vertice del ministero si ebbe una forte ripresa dell’intervento pubblico a sostegno dell’agricoltura, accompagnato da una radicale opera di riforma e rinnovamento culminata nella legge n. 984 del 27 dic. 1977, nota come legge «Quadrifoglio». La legge definiva un piano agricolo-alimentare, che, innovando la procedura della politica agricola, affidava alle regioni la responsabilità dell’intervento diretto e lasciava all’amministrazione centrale dello Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento. Nell’esercizio di tali funzioni il M. si rivelò un abile e combattivo negoziatore nelle trattative che si svolgevano presso la Comunità europea, riuscendo a strappare misure e provvidenze a tutela degli interessi dell’agricoltura italiana. Per questo seppe meritarsi la stima e l’apprezzamento dei colleghi europei, che rimasero sorpresi dalla sua mancata conferma nel governo Forlani.
Il 28 giugno 1981 il M. fu nominato ministro dell’Industria, commercio e artigianato nel primo governo Spadolini e mantenne questo incarico anche nel successivo governo Spadolini fino al 1° dic. 1982, trovandosi a fronteggiare spinose questioni come la politica energetica e il «dossier» della ristrutturazione della siderurgia.
Il M. morì a Inveruno il 5 febbr. 1983.
Fra i suoi scritti si ricordano: La questione agraria e l’Europa, Bologna 1979; Preoccupazioni ed allarmi di un ministro: 1979-1982, Novara 1993.
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