BACCIN, Giovanni Maria (Gian Maria)
Personaggio di primaria importanza per la storia della ceramica veneta del sec. XVIII e, in particolare, di quella delle Nove. Nacque alle Nove (Vicenza) il 15 gennaio 1744.
L'opera del B., quale artigiano prima ed imprenditore poi, si sviluppa nella seconda metà del Settecento (fra il 1765-70 e il 1802), durante, cioè, il periodo di rinnovamento e di grande tensione che nasce quale conseguenza delle audaci iniziative del più notevole ceramista locale, di quel Pasquale Antonibon (II) che aveva saldamente consolidato la più grande fabbrica novese e del Veneto. Il B., con altri, fu uno di quegli elementi specialmente dotali, che, da operai, divennero capifabbrica e poi, a loro volta, imprenditori, distinguendosi per il vivo ed efficace apporto al processo di necessaria evoluzione che s'imponeva sia per quanto riguardava i materiali sia per le invenzioni nelle forme e nei colori.
Molto, senza dubbio, giovarono alla formazione del B. le aperture acquisite durante la prima avventurosa parte della sua vita, quando, entrato nella diaspora degli artisti locali avvenuta intorno al 1765 su sollecitazione del Cozzi di Venezia e di altri concorrenti che miravano a sottrarre operai all'Antonibon, si spostò dal luogo natio verso Venezia. Poi fu a Padova. Ciò lo mise a contatto con le nuove tecniche e con una mentalità certo più elegante ed aperta di quanto non fosse nel chiuso cerchio paesano, un po' rustico e, in divertente maniera, arretrato, del comprensorio ceramico delle Nove e di Angarano.
Il processo di aggiornamento e di adesione a fonti ispirative più ampie e meno vincolanti diede presto i suoi frutti, sicché il B., al suo ritorno, dopo un breve periodo, ottenne la fiducia di Pasquale Antonibon il quale, ritiratosi nel 1770 dalla attività nel campo delle maioliche, gli concesse, nell'avita manifattura, la direzione di questa sezione della grande fabbrica. Tre anni dopo (1773) il B. ne iniziò la gestione diretta come affittuario con l'obbligo di non produrre porcellane: il contratto lo vincolava per 29 anni.
Nel 1780, riusciva, finalmente, ad ottenere il "segreto", cioè la formula, della "terraglia", in quel momento ricercato come, nella prima metà del secolo, quello della porcellana e iniziò, in apposita manifattura, la lavorazione di questo popolare prodotto richiesto dalle nuove e più vaste esigenze di mercato.
La fama del B. è proprio legata alle "invenzioni" eseguite in terraglia e specialmente a quegli animali (quasi sempre ad uso di zuppiera) ottenuti, appunto, con una terraglia molto bianca e molto leggera, non mancano, tuttavia, nel suo repertorio, esemplari bellissimi di questi animali in maiolica. Sia questi, sia quelli, sono ravvivati da colori assai vivaci, campiti con intelligente destrezza, ovviamente ispirati, pur nella semplificazione plastica e decorativa propria ai Veneti, agli esempi precedenti delle fabbriche estere (specialmente inglesi e tedesche).
Già in questo periodo, nonostante la proibizione, a causa del patto suaccennato, di trattare la porcellana (la sezione a ciò incaricata nella fabbrica Antonibon funzionava dal 1781 sotto la gestione di F. Parolin, che aveva alle dipendenze il fratello del B., Gerolamo), la personalità del B. assume nel campo imprenditoriale dei ceramisti veneti una fisionomia precisa ed egli raggiunge una posizione di notevole rilievo.
In tutto ciò molto significano due fatti: l'assorbimento (1781) della vecchia fabbrica bassanese Marinoni, acquistata con tutte le giacenze dei laboratori di Angarano e del negozio di Venezia, compresi i pezzi crudi e "biscotti", oltre naturalmente ai finiti, e l'associazione con G. B. Viero (1783). Fatto, quest'ultimo, che gli fornì una specie di espediente, forse, per produrre porcellana. La società durò tre anni, fino, cioè, alla morte del Viero (1786). Sta di fatto che la consuetudine con la più preziosa delle ceramiche è evidente nella produzione del B., specie per quanto riguarda l'applicazione della decorazione a "piccolo fuoco" (muffola) con risultati di notevole finezza ed eleganza. In effetti, l'efficienza della gestione B. corrisponde, nel 1787, all'impiego di 3 agenti, 27 pittori, 12 stampatori, 16 fornaciai, 13 manovali, 14 donne lavoranti a casa. Di questo periodo, in tre anni, l'utile netto fu di ottantamila lire.
Un anno dopo la morte di G. B. Viero, il B. consolidò la ragione sociale associandosi con Giuseppe Viero, Andrea Toffanin, un Dal Negro e un certo Menegazzi, mentre nel contempo mandava avanti, in proprio, una piccola manifattura in contrà Maglio Vecchio. Ma il mancato rinnovo del contratto per la concessione da parte degli Antonibon, tolse, nel 1802, dalle scene della ceramica novese la figura del Baccin.
Il B. morì alle Nove il 20 apr. 1815.
Il merito precipuo del B. va certamente ricercato nel continuo e disinvolto aggiornamento della vecchia "linea Antonibon" che fu, fin dagli inizi della ceramica novese, il perno su cui poggiavano, in modo concreto, le risorse di tutte le manifatture di questo tipico comprensorio artigianale.
Oltre alla "invenzione" delle zuppiere zoomorfe, dianzi ricordate, oltre alla adozione della "terraglia all'inglese" (introdotta a Vicenza nel 1780 da Carlo Vicentini del Giglio e per la produzione della quale il B. ebbe, nel 1786, il diritto di "privativa"), appare positiva, nella sua vicenda, l'utilizzazione delle varianti auliche e popolari "neoclassiche" di moda in quello scorcio del secolo. Tipici di quel momento: l'uso del "rosso o porpora di Cassio", l'impiego di forme nuove a rilievo, i "trafori" nell'orlo dei piatti e delle fruttiere, il decoro o tipo Marsiglia" delle stoviglie con le fiamme a sottile tratteggio di blu o di rosso porpora sulla tesa e la decorazione della rosa, variamente disposta, da sola o in gruppi, al centro.
Per queste caratteristiche, nella storia ceramica delle Nove, è stato possibile individuare un "periodo Baccin" che comprende l'arco di tempo che va fra il 1770 e il 1802 circa.
Il fratello del B., Gerolamo, con Giovanni Maria e altri numerosi pittori, formatori, operai della fabbrica Antonibon, passò verso il 1765 alla manifattura veneziana del Cozzi. Seguì e affiancò certamente l'opera del fratello tanto a Padova quanto alle Nove dove ambedue tornarono fra il 1768 e il 1769. Ebbe una sua fabbrica alle Nove, che tuttavia non acquistò particolare importanza. Fu pittore e lavorò presso gli Antonibon come "agente" quando la sezione porcellana, dal 1781, venne affidata a Francesco Parolin.
Bibl.: G. Urbani De Gheltoff, Note storiche e artistiche sulla ceramica italiana,in R. Erculei, Arte ceramica e vetraria (catal.), Roma 1889, p. 110; L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane,Milano 1924, pp. 203, 453; C. Baroni, Le ceramiche di Nove di Bassano,Venezia 1932, pp. 232-236; G. Morazzoni, Le porcellane ital.,Milano-Roma 1935, pp. 172 ss.; A. Minghetti, Ceramisti,Milano 1939, pp. 42 s.; G. Barioli: Maioliche, porcellane e terraglie del Vicentino, Venezia 1955, pp. 23-25, 38 n. 27.