CECCHI, Giovanni Maria
Letterato, nato a Firenze il 15 marzo 1518, morto nella sua villa di Gangalandi il 28 ottobre 1587. Uomo alla buona, disposto a prendere il mondo come veniva, affezionato alla sua città, visse vita tranquilla. Si trovò giovinetto all'assedio del 1530, assisté alla caduta della repubblica e tornati i Medici, vide, dopo la violenta morte del duca Alessandro, Cosimo duca. Qualche ricordo di questi avvenimenti è nelle sue commedie, ma fuggevole, semplice riferimento a un tempo passato, senza intenzioni di rimpianti politici. Neppure una tremenda tragedia famigliare, del tempo dell'assedio, l'uccisione del padre per mano di un certo Fabrino del Grillo da Castagno, turbò la sua serenità di artista, per quanto egli, coi fratelli, perseguitasse, inviando una supplica a Cosimo I, l'assassino che, sotto Alessandro, era vissuto indisturbato. Fu notaro, e restano suoi rogiti dal 1547 al 1577. Occupò con onore importanti uffici pubblici: fu due volte proconsole e cancelliere dei Maestri di Contratto. Trafficò lane insieme con i Segni, gli Adimari e i Baldesi.
Amante della patria lingua, scrisse nel 1557 una Dichiarazione di motti, proverbi, detti e parole della nostra lingua (pubbl. dal Fiacchi, Firenze 1820) utile alla comprensione del linguaggio fiorentino di quei tempi; nel 1575 compose un libro Delle cose della Magna, Fiandra, Spagna, e regno di Napoli, frutto di studî, non di osservazioni originali e di viaggi (ed. Zambrini, Bologna 1867); e, indulgendo a insulsaggini accademiche, una Lezione o vero Cicalamento del maestro Bartolino del Canto de' Bischeri sul sonetto del Berni "Passeri e beccafichi" (Firenze 1582). Di lui è anche una raccolta di Poesie (edite dal Dello Russo, Napoli 1866). Ma il C. ha raccomandato il suo nome alle sue produzioni drammatiche, che sommano a una cinquantina tra commedie, intermezzi scenici, drammi e farse spirituali, scritte per pie confraternite e brigate laiche.
Nelle commedie, che sono ventuna, il C. generalmente imitò commedie latine: p. es. nei Dissimili gli Adelfi; nella Moglie i Menecmi, il Trinummo e l'Andria; negli Sciamiti in parte la Mostellaria. Ma egli ha anche commedie relativamente originali, come l'Assiuolo "non cavato né da Terenzio né da Plauto, ma da un caso nuovamente accaduto a Pisa"; e come il Diamante, cavato da "un caso occorso qui in Firenze non è gran tempo". Tra le commedie profane l'Assiuolo, così intitolato dal grido ridicolo dell'assiuolo (chiù, chiù, chiù...) che un vecchio dottore innamorato dovrebbe fare per essere accolto dalla sua bella, è anzi il suo capolavoro, quantunque non sia poi originalissimo nell'invenzione, che ricorda varie novelle del Boccaccio (III, 6; VI, 8; VII, 7) e, nella fine, la Mandragola del Machiavelli. Il C., anche quando imita Plauto e Terenzio, tiene costantemente d'occhio il mondo presente, onde le sue commedie assumono importanza di documenti della vita famigliare e sociale del suo tempo. Egli tende verso un'arte più libera, con cui potere, senza l'impaccio dei modelli classici, assecondare il proprio genio; e di questa tendenza sono prova certi intermedî scenici, in cui è come un presentimento di melodramma, prima che la Camerata dei Bardi lo iniziasse, proprio in Firenze, e i drammi spirituali, dove, con molt libertà e con vera originalità, a volte con cara ingenuità, unisce il sacro e il profano. Per essere più libero egli abbandona i metri tradizionali e usa il verso sciolto; attinge sì ai misteri come alle sacre rappresentazioni, ma infonde nella materia frusta la sua poesia famigliare e casalinga, mescolando il meraviglioso con l'osservazione naturale, e sollevando spesso con ingenua facilità l'umiltà umana al divino.
Ediz.: Per quanto modesto, il C. teneva alla sua arte: tant'è vero che per le sue commedie cercò un editore illustre, il veneziano Giolito de' Ferrari, che nel 1550 stampò La Dote, i Dissimili, gli Incantesimi, la Stiava, l'Assiuolo. Dopo la morte del C., il Giunti veneziano, nel 1585, ne pubblicò altre nove, comprese alcune già note, tradotte in versi. Alcune di esse furono ripubblicate nel 1750 a Venezia nel Teatro comico fiorentino. Dei drammi spirituali per molto tempo si conobbe solo l'Esaltazione della Croce (1589 e 1592). Le dottrine puristiche diedero voga alle opere del C. ricercate più come miniere di lingua viva toscana, che come opere d'arte. Incomimiò il Fiacchi (1818); seguirono poi il Silvestri (Milano 1850), il Corazzini (Firenze 1853), il Tortoli (Firenze 1855), il Dello Russo (Napoli 1864), finché nel 1865 il Milanesi pubblicò a Firenze due volumi di commedie e tra il 1895 e il 1900 G. Rocchi, pure a Firenze, due ricchi volumi di Drammi spirituali.
Bibl.: I titoli dei lavori drammatici del C. sono in una Lettera (del Fiacchi al Poggiali) sulla vita e le opere del C., Firenze 1818; vedi anche C. Maggi, Un catalogo degli scritti di G. M. C., in Riv. delle biblioteche, VII, nn. 9, 12, e nella prefaz. di G. Rocchi ai Drammi spirituali, Firenze 1895, I, xxvii; E. Camerini, G. M. C., in Profili letterari, Firenze 1870; F. Rizzi, Le commedie osservate di G. M. C., Rocca S. Casciano 1904; id., Delle farse e commedie morali di G. M. C., ivi 1907; U. Scoti Bertinelli, Sullo stile delle commedie in prosa di G. M. C., Città di Castello 1907; Le più belle pagine di G. M. C., scelte da E. Allodoli, Milano 1928.