GIOVANNI MARIA da Brescia
Non si conoscono data e luogo di nascita di questo pittore e incisore attivo a Brescia tra la fine del XV secolo e l'inizio del successivo. Rimane sconosciuta anche la sua formazione, che dovrebbe essersi svolta tra l'ottavo e il nono decennio del Quattrocento in una bottega bresciana dominata dal linguaggio figurativo di Vincenzo Foppa. L'iscrizione con la data (1507) che corredava i suoi perduti affreschi nel chiostro grande del convento carmelitano di Brescia, trascritta da G.A. Averoldo nel 1700, avvertiva però che G. era stato argentiere prima di diventare pittore. Il tirocinio da orafo gli servì certamente anche per apprendere i segreti dell'incisione su rame, anche se la prima stampa nota di G. risale solo al 1500.
Nel 1486 G. entrò a far parte dell'Ordine carmelitano: a partire da quell'anno, infatti, la sua presenza è segnalata all'interno del convento di S. Maria del Carmine a Brescia (Volta, p. 45), all'epoca teatro di un radicale rinnovamento architettonico promosso dal vicario generale dei carmelitani, il bresciano Cristoforo Martignoni, che aveva affidato la direzione dei lavori a Bernardino da Martinengo. Nel 1490 G. affrescò la cappella esterna a nord della chiesa di S. Maria del Carmine, addossata al fianco sinistro dell'abside (Begni Redona). Gli affreschi, già attribuiti a Floriano Ferramola e Vincenzo Civerchio, ricoprono interamente la cappellina e raffigurano nella volta a crociera il monogramma "IHS" entro un nimbo; sulle pareti laterali, a destra, il Noli me tangere e, a sinistra, l'Apparizione di Cristo alla Madre; sull'arco absidale la Resurrezione di Cristo; nell'abside la Vergine col Bambino in trono tra i ss. Giovanni Evangelista e Maria Maddalena.
Questi affreschi costituiscono l'unica sicura testimonianza pittorica di G. e sono allo stesso tempo l'espressione più completa del suo stile. Gli elementi strutturali dalla nitida geometria, che compaiono nell'Apparizione di Cristo alla Madre, come pure il plasticismo delle figure, calme ed equilibrate, sembrano esemplati direttamente sui moduli inventati da Foppa, che fin dal 1477 era attivo nella stessa chiesa per la decorazione della cappella Averoldi. Anche gli sfondi paesaggistici del Noli me tangere e della Resurrezione sono brani pittorici di ampio respiro, arricchiti da vivaci motivi narrativi, secondo la tradizione padana, e da curiosi particolari naturalistici. Diversamente, gli inserti di architettura lombarda, fitta di archeggiature, portici, lesene e modanature nutrite di un'abbondante decorazione all'antica, mostrano l'influenza di Bernardino Butinone, come ben si vede nel trono dell'affresco absidale.
La prima testimonianza dell'attività calcografica di G. risale al 1500, data che compare, insieme con la firma, nella Vergine col Bambino in trono tra i ss. Giovanni Battista, Angelo, Alberto di Sicilia e Girolamo, un'incisione a bulino tecnicamente di basso livello, dove il modellato e le ombreggiature sono ottenuti attraverso un serrato tratteggio a segni paralleli, rozza declinazione della maniera mantegnesca; lo stile in cui sono costruite le figure, il panneggio spiegazzato e l'elaborata ornamentazione delle architetture sono invece lombarde, vicine ancora allo stile di Butinone o del Maestro della Pala sforzesca.
L'iconografia è perfettamente adeguata al contesto carmelitano: s. Angelo fu infatti uno tra i primi adepti del Carmelo ed è qui effigiato con la spada che gli trafigge il capo, mentre a terra giace il suo assassino, un fanatico cataro di nome Berengario; s. Alberto di Sicilia redasse le regole dell'Ordine ed è rappresentato con i tradizionali attributi del giglio in mano e del diavolo ai suoi piedi che in questo caso assume forme femminili; il Battista e s. Girolamo sono invece presenti nelle vesti di anacoreti, in ricordo dell'originaria vocazione eremitica dell'Ordine. Sul fregio che sormonta il trono mariano si trovano due clipei con i profili dei re Salomone e David; nel lunettone soprastante campeggia il Cristo morto. Legate alla storia dei carmelitani sono anche le piccole scene collocate sullo sfondo: a sinistra Il profeta Elia sale in cielo su un carro di fuoco e consegna il suo mantello a Eliseo, l'episodio leggendario avvenuto sul monte Carmelo in Palestina da cui sarebbe nato l'Ordine; sopra il cornicione, a sinistra, S. Francesco e s. Domenico rendono omaggio a s. Simone Stock, generale carmelitano di nazione inglese; a destra, S. Cirillo di Costantinopoli riceve dall'angelo due tavole d'argento, che recavano iscritte profezie in caratteri greci.
Nel 1502 G. firmò e datò la Giustizia di Traiano, il suo unico bulino di soggetto profano.
Si tratta del celebre episodio della clemenza dell'imperatore, riportato da Paolo Diacono e divulgato dalla Legenda aurea, ma noto anche nella versione dantesca (Purg., X, 70-96); in uno scenario arcaizzante, quasi bramantesco, il centro della scena è occupato da Traiano e dal suo seguito, tutti a cavallo, mentre in basso a destra si trova inginocchiata la vedova il cui figlio era stato assassinato e a cui l'imperatore rese giustizia; sul balcone del retrostante palazzo si trova Gregorio Magno, il papa che con ardenti preghiere riuscì a liberare Traiano dalle pene del purgatorio.
È probabile che l'invenzione dell'immagine spetti a Foppa, che aveva affrontato lo stesso soggetto in due differenti occasioni: negli affreschi del Banco mediceo di Milano (1462-64) e in quelli della loggetta di palazzo Vecchio nella piazza maggiore di Brescia (1489-90), entrambi perduti, ma testimoniati da alcuni disegni. In particolare, due fogli, uno conservato al Kupferstichkabinett di Berlino (Ffoulkes-Maiocchi) e l'altro all'Ashmolean Museum di Oxford (Parker), hanno precisi punti in comune con l'incisione, anche se qui il segno è molto più duro e il formato verticale comprime il corteo, lasciando spazio in alto a un'articolata architettura; è come se l'incisore si fosse ispirato all'affresco di Foppa, ma per trovare posto a s. Gregorio, e sottolineare quindi l'aspetto religioso della storia, avesse sviluppato in altezza la composizione. La stampa rispondeva comunque a intenti di propaganda politica, visto che il tema si prestava a illustrare uno dei compiti fondamentali delle magistrature civiche, la giustizia. Nel contesto locale il gesto di clemenza di Traiano simboleggiava poi il buon governo veneziano, mentre nella perentoria richiesta della donna si poteva riconoscere l'atteggiamento di Brescia nei confronti di Venezia stessa, retaggio, forse inconsapevole, del significato originario di questa iconografia che derivava da quelle scene degli archi trionfali romani raffiguranti la sottomissione all'imperatore delle province conquistate (Lucchesi Ragni).
Nel 1507 G. eseguì un importante ciclo di affreschi, imbiancati nel 1825, nel chiostro grande del convento del Carmine a Brescia (Brognoli). Secondo la memoria seicentesca di G.B. Guarguanti (Volta, p. 113 n. 101), gli affreschi erano disposti sopra il cornicione che circondava il chiostro e rappresentavano le Storie dei profeti Elia ed Eliseo; nei tondi sopra le colonne erano dipinti i medaglioni dei priori e di alcuni santi; mentre in un luogo non identificato stava l'immagine di S. Ludovico. Gli affreschi con le storie bibliche dovevano essere ripartiti in almeno dieci riquadri (Oretti) ed erano dominati da una tonalità bruno-rossiccia; nonostante la penuria di informazioni è plausibile immaginare che alcuni episodi possano essere stati simili alle piccole scene di tema eliano incise sullo sfondo delle sue stampe religiose (Hind, 1948). In quegli stessi anni, ma si ignora la data precisa, G. aveva realizzato per il convento carmelitano un'altra decorazione nel chiostro della porta, o chiostro primo, andata perduta (Volta, pp. 62 s.). L'anno 1512 compare, insieme con la firma, nella sua terza e ultima incisione datata raffigurante la Vergine col Bambino in gloria tra i ss. Giovanni Battista, Angelo, Cirillo, Alberto di Sicilia e Girolamo. La stampa è dedicata a Elia Capriolo, autore della Chronica de rebus Brixianorum (1505) molto legato al convento di S. Maria del Carmine, tanto da avervi eletto sepoltura, e che conosceva bene anche il Foppa: nel 1489 aveva infatti fatto parte della commissione che doveva soprintendere ai lavori di decorazione della loggetta, realizzati da Foppa entro il 1490 e al cui programma iconografico dovette partecipare lo stesso Capriolo.
In quanto a stile e tecnica l'incisione è del tutto simile alle precedenti, tranne forse per un uso più esteso, ma sempre timido, del tratteggio incrociato, in particolare nelle vesti dei personaggi centrali. I cinque santi in adorazione sono tutti, chi più chi meno, in associazione col Carmelo e si ritrovano, con qualche insignificante modifica, nelle sue altre opere devozionali. Tornano pure, in alto, le storie eliane, mentre inedita è la scena dell'Angelo che porta in cielo il patriarca Enoch, la cui più immediata associazione con Elia e i carmelitani viene dalla somiglianza del viaggio celeste. D'altro canto alcune leggende medievali attribuivano a Enoch poteri magici e profetici, di cui erano altamente dotati anche Elia, come dimostrò sconfiggendo i falsi profeti di Baal, e il suo discepolo Eliseo, che dal maestro li aveva ereditati insieme col mantello; queste caratteristiche univano entrambi a s. Cirillo, il cui Oraculum angelicum iscritto sulle due tavole d'argento era tenuto in gran conto dalla tradizione gioachimita e dalla frangia osservante dei carmelitani. Ciò che più sorprende in questa incisione è però la presenza in alto della Vergine col Bambino, che è la copia in controparte del delizioso gruppo inventato, e probabilmente inciso, da Andrea Mantegna (Hind, 1948, p. 10 n. 1). Questa sorta di collage, destinato a impreziosire lo statuto altrimenti modesto della stampa, si giustifica ricordando la speciale devozione che l'Ordine dimostrò per la Vergine Maria, a cui erano dedicate la maggior parte delle loro chiese e in origine anche l'oratorio sul monte Carmelo; nello stesso tempo testimonia l'interesse di G., e di tutto l'ambiente culturale bresciano, per il pittore di casa Gonzaga (Agosti).
Non datata, e di difficile collocazione nel percorso artistico di G., è la quarta incisione firmata che rappresenta la Vergine col Bambino in trono tra i profeti Elia ed Eliseo e i ss. Cirillo, Angelo, Toscana e Alberto di Sicilia, di cui è nota un'unica impressione al British Museum di Londra.
La tecnica differisce dagli altri esemplari per l'uso più esteso del tratteggio incrociato, con notevoli effetti di contrasto chiaroscurale, come si vede nei pilastri tra il bianco della decorazione e lo scuro dello sfondo. È un tipo di soluzione che ricorre parzialmente anche nella stampa del 1512 ed è invece pressoché inesistente nelle prime due. Se si immagina lo svolgimento della carriera di G. nei termini di un graduale aumento dell'uso del tratteggio incrociato, secondo un criterio di aggiornamento tecnico parallelo a quello di altri incisori lombardi, questa stampa dovrebbe essere il suo ultimo lavoro. Per altri aspetti l'incisione si dimostra un'opera ingenua: la composizione è goffa, le figure sono eccessivamente rigide, la struttura architettonica è povera e la prospettiva è difettosa; anche le lettere che compongono il nome dell'artista sono più rozze e hanno caratteri diversi da quelli che si vedono nelle altre stampe. Sono tutti elementi che rivelano una mano poco esperta e rendono plausibile l'ipotesi che il modello sia stato disegnato da G. in giovinezza e sia stato poi inciso da un altro artigiano poco abile. La stampa peraltro rientra a pieno titolo nella produzione figurativa lombarda, come testimonia l'ornamentazione, simile a quelle dipinte da Ambrogio da Fossano detto il Bergognone e dal Maestro della Pala sforzesca; e l'iconografia è ancora completamente carmelitana. Le quattro stampe firmate rivelano comunque un incisore estremamente conservatore nella tecnica del bulino. Il suo metodo di scavare i segni è tipico della maniera praticata nelle botteghe lombarde alla fine del Quattrocento, basata essenzialmente sull'imitazione dei risultati raggiunti da Andrea Mantegna e dai suoi incisori, senza però alcun interesse e curiosità per i traguardi raggiunti dalla calcografia d'Oltralpe, in particolare da Albrecth Dürer, nonché per la novità del punteggiato promossa nel Veneto da Giulio Campagnola e Marcello Fogolino. Per questi motivi risulta difficile accettare l'attribuzione a G., proposta da Hind (1948, p. 58 n. 5), della Sacra Famiglia tra i ss. Elisabetta e Giovannino, il cui paesaggio è desunto direttamente dal S. Eustachio di Dürer (Zucker, 1984).
A dispetto della scadente qualità tecnica, le incisioni di soggetto devozionale, insieme con gli affreschi scialbati del chiostro maggiore, sono di grande interesse per la presenza dei temi carmelitani; secondo Gilbert (1986), rappresentano il più ambizioso monumento all'ideologia carmelitana del tempo, da collegare alla vivace controversia sulle origini dell'Ordine che aveva avuto a Brescia uno dei suoi centri maggiori. Il complesso programma iconografico che sta alla base di queste immagini presupponeva da parte dell'incisore una conoscenza accurata della dottrina carmelitana, il che era facilitato dall'appartenenza di G. all'Ordine, una situazione simile a quella che legò Filippo Lippi al convento di S. Maria del Carmine a Firenze. Queste opere d'altronde erano state commissionate dai suoi stessi confratelli: mentre però gli affreschi del chiostro erano destinati a una fruizione interna, le stampe vennero eseguite per divulgare ai laici la dottrina carmelitana e quindi rispondevano maggiormente a una funzione didattica e propagandistica, il che giustificava la presenza massiccia delle iscrizioni.
Il 1512, l'anno della stampa dedicata a Capriolo, ma anche l'anno in cui Brescia fu sottoposta al terribile sacco di Gaston de Foix, è anche l'ultimo elemento utile per la ricostruzione della biografia di Giovanni Maria da Brescia.
Non si conoscono il luogo e la data della sua morte.
Tra le opere attribuite a G. si segnala un affresco trasportato su tela con S. Girolamo penitente del Museo nazionale di Budapest (Panazza), il cui pessimo stato di conservazione induce a sospendere il giudizio. Una guida settecentesca (Maccarinelli) gli attribuisce anche l'affresco con l'Annunciazione nella lunetta soprastante il portale d'ingresso della chiesa del Carmine a Brescia, in genere riconosciuto come opera di Floriano Ferramola.
Fonti e Bibl.: G.A. Averoldo, Le scelte pitture di Brescia, Brescia 1700, p. 144; M. Oretti, Pitture della città di Brescia e del suo territorio (1775), a cura di G. Boselli, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1957, p. 167; P. Brognoli, Nuova guida per la città di Brescia, Brescia 1826, pp. 187 s.; J.D. Passavant, Le peintre-graveur, V, Leipzig 1864, pp. 112-114; A. Bartsch, Le peintre-graveur, XIII, Leipzig 1866, pp. 311-314; W. Suida, La giustizia di Traiano, in Rassegna d'arte, VI (1906), pp. 135 s.; C.J. Ffoulkes - R. Maiocchi, Vincenzo Foppa of Brescia, London 1909, pp. 49 s., 210, 259 s.; A.M. Hind, Catalogue of early Italian engravings preserved in the Department of prints and drawings in the British Museum, London 1910, pp. 378-381; M. Pittaluga, L'incisione italiana nel Cinquecento, Milano 1930, pp. 94, 128; K.T. Parker, Vincenzo Foppa, in Old Master Drawings, XIII (1938-39), p. 6; A.M. Hind, Early Italian engraving, V, London 1948, pp. 55-58; F. Maccarinelli, Le glorie di Brescia, 1747-1751, a cura di C. Boselli, Brescia 1959, p. 147; G. Panazza, La pittura nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 1006 s.; L. Donati, Tipografi ed incisori, ibid., III, ibid. 1964, p. 719; The Illustrated Bartsch, XXV, a cura di M.J. Zucker, New York 1984, pp. 88, 305-313 (con bibl.); C.E. Gilbert, The works of Girolamo Savoldo. The 1955 dissertation with a review of research, 1955-1985, New York-London 1986, pp. 415-417; G. Dillon, in Giovanni Gerolamo Savoldo tra Foppa Giorgione e Caravaggio (catal., Brescia-Francoforte), a cura di B. Passamani, Milano 1990, pp. 234-236; V. Volta, Le vicende edilizie del complesso di S. Maria del Carmine, in G. Mezzanotte - V. Volta - R. Prestini, La chiesa e il convento di S. Maria del Carmine a Brescia, Brescia 1991, pp. 45, 62 s., 111-113; R. Prestini, Una chiesa, un quartiere…, ibid., pp. 153 s., 156, 232, 236, 242, 258, 272, 279; P.V. Begni Redona, ibid., p. 154; G. Agosti, Su Mantegna, I, in Prospettiva, 1993, n. 71, p. 45; E. Lucchesi Ragni, Vincenzo Foppa e la "figura Trayani imperatoris", in V. Frati - I. Gianfranceschi - A. Bresciano, La Loggia di Brescia e la sua piazza, I, Brescia 1993, pp. 256-260; M.J. Zucker, Early Italian engravings for religious orders, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, LVI (1993), pp. 374, 384; D. Landau - P. Parshall, The Renaissance print, 1470-1550, New Haven-London 1994, pp. 78, 402 n. 89; M.G. Balzarini, Vincenzo Foppa. La formazione e l'attività giovanile, Milano 1996, pp. 58, 84; Id., Vincenzo Foppa, Milano 1997, p. 45 n. 16; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 125 s.; Diz. encicl. Bolaffi…, VI, pp. 65 s.