LANFRANCO, Giovanni Maria
Nato intorno alla fine del secolo XV a Terenzo, presso Parma, si formò con Ludovico Milanese, un organista segnalato a Lucca fra il 1512 e il 1537. Non esistono invece sufficienti elementi per ritenere che sia stato in relazione, secondo quanto tradizionalmente affermato, con il teorico musicale parmense N. Burzio.
Le prime notizie certe sul L. risalgono al 1° nov. 1528, quando fu ingaggiato come maestro di cappella dal capitolo della cattedrale di Brescia. Il contratto era di soli otto mesi, ma già nel dicembre successivo - probabilmente a conclusione di quello che fu considerato come un periodo di verifica - fu rinnovato per cinque anni, a far capo dal 1° luglio 1529. A Brescia il L. appare introdotto appieno nel tessuto culturale cittadino, tanto da far ipotizzare che il suo arrivo nella città lombarda possa essere sensibilmente retrodatato. In specie, il L. mostra stretta contiguità con gli ambienti letterari della città, in quegli anni particolarmente attivi; nel 1531 pubblicò presso il tipografo locale J.F. Turlini da Cigoli un Rimario novo di tutte le concordanze del Petrarcha.
Nel 1533, ancora a Brescia, ma presso L. Britannico, videro luce le Scintille di musica, il trattato musicale per il quale è ricordato il Lanfranco. In più passi delle Scintille si fa cenno a un'opera di più ampie dimensioni e maggiormente improntata alla pura teoria che avrebbe avuto per titolo Terentiana e alla quale l'autore rimanda per successivi approfondimenti, trattato che, se mai fu scritto, non ci è però giunto in alcuna forma. Un paio di lettere del L. evidenziano come durante il periodo bresciano seppe inserirsi nel dibattito teorico sulla musica in corso in Italia principalmente tra P. Aaron, G. Spataro e G. Del Lago - di cui ci rimane copiosa testimonianza nel celebre carteggio raccolto da quest'ultimo (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 5318; ora edito in A correspondence of Renaissance musicians, a cura di B.J. Blackburn - E.E. Lowinsky - C.A. Miller, Oxford 1991, lettere nn. 104 e 106) -, seppure con un ruolo secondario.
La prima (ibid., cc. 192-195), inviata al compositore fiammingo A. Willaert, è del 20 ott. 1531, e vi si fa cenno a una qualche polemica a distanza intercorsa in precedenza e di cui L. chiede ammenda allegando un proprio canone enigmatico a 5 voci, Threicium memorat - unica composizione musicale pervenutaci del L. - e richiedendo in cambio una copia dei Vespri del già celebre maestro. La seconda è dell'agosto del 1534, ancora da Brescia, ed è indirizzata a P. Aaron (ibid., cc. 254-255), con il quale, a giudicare dal tono di questa missiva e dalle altre in cui il L. è citato da Aaron, dovette esistere maggiore familiarità e un vero e proprio rapporto epistolare.
L'attività di trattatista del L. è circoscritta al periodo in cui visse a Brescia ed è fortemente inclinata alla didattica, cifra essenziale della sua opera. Tale indirizzo è connaturato al ruolo di maestro di cappella, ruolo comprendente verosimilmente, oltre all'ordinaria didattica del canto, anche l'insegnamento di rudimenti letterari ai giovani allievi. Non va ignorato inoltre l'ambiente in cui operò il L.: nella prima metà del secolo XVI videro la luce a Brescia moltissime edizioni riferibili a titoli di utilizzo scolastico, in una percentuale significativamente superiore ad altre realtà. Sono opere eminentemente didattiche sia il Rimario sia soprattutto le Scintille di musica.
Il Rimario è dedicato a G.P. Caprioli, della nobile famiglia bresciana, quale arciaccademico di una non meglio identificata Accademia della lingua volgare, forse semplice scuola di lettere, forse nucleo della futura Accademia degli Occulti, alla cui esistenza fa cenno una lettera di P. Bembo del 1530 inviata in risposta al bresciano G. Porcellaga (Sandal). Il Rimario è indirizzato specialmente ai giovani allievi e dilettanti di poesia dell'accademia e al loro didatta E. degli Emili (di cui si ricorda la prima traduzione in volgare dell'erasmiano Enchiridion militis Christiani, Brescia, Britannico, 1531). Si tratta dell'elenco di tutte le rime utilizzate da F. Petrarca nel Canzoniere e nei Trionfi, indicizzate alfabeticamente a partire dalla vocale in rima, con l'indicazione delle parole e del componimento in cui ricorrono. La funzione dell'operetta è esplicitata dal L. nella lettera introduttiva, in cui si afferma che essa deve servire all'esercizio della composizione poetica, che in questo modo viene precocemente diretta all'imitazione petrarchesca. L'ordinamento prescelto per le rime del Canzoniere è quello dell'edizione curata da A. Vellutello (Venezia, Nicolini da Sabbio, 1525), in aperta e notoria polemica con l'aldina curata da Bembo e l'allora solo presunta autografia del ms. Vat. lat. 3195. L'intento dell'autore era quello di essere utile a "ciascun Petrarcha sia di che stampa esser si voglia" (Rimario, lettera introduttiva), ma la scelta dell'edizione di riferimento parrebbe inscrivere L. in una linea del petrarchismo affatto indipendente dal Bembo, forse estensibile a tutto l'ambiente in cui è originato il Rimario. Il Rimario fu ristampato a Venezia da P. Pietrasanta nel 1554 in appendice all'edizione di tutte le opere volgari del Petrarca curata da G. Ruscelli, ma come semplice elenco di rime, rinunciando a indicarne la posizione.
Le Scintille di musica sono un trattato comprendente un po' tutti gli aspetti della pratica musicale, fra i più accurati ed espliciti dell'epoca, pensato per essere usato sia da un autodidatta (secondo quanto recita il titolo stesso: "metodo onde ciascun per se stesso imparare potrà le voci di La Sol Fa Mi Re Ut"), sia come compendio per una schola cantorum. Diviso in quattro parti, ha una lettera dedicatoria indirizzata a B. Mascara - umanista bresciano al servizio della famiglia Carrara -, ma la seconda sezione è dedicata al nipote del L. e le ultime due, significativamente, a tre cantori del duomo: a sottolineare così come l'opera nascesse in e per la cappella diretta da L. e implicitamente giustificandone il carattere prevalentemente pratico. Le Scintille mostrano affinità di stile e contenuto con il Toscanello, del 1523, di Aaron, teorico citato dal L. fra le sue fonti. Ciò malgrado, il trattato è ricco di connotati originali: dalla scelta del volgare (funzionale alla tipologia dell'opera), al formato tipografico utilizzato (il quarto oblungo, tipico della stampa musicale inaugurata da O. Petrucci), all'indicazione posta in premessa degli autori delle opere utilizzate come fonti di riferimento (sia classiche, come il De musica di Boezio, sia contemporanee e inusuali, come i trattati di N. Wollick, A. Ornithoparchus, H. Glarean, B. Bogentantz).
Nelle quattro sezioni in cui è articolato il trattato, trovano posto le indicazioni per la lettura dell'altezza delle note attraverso l'uso della "mano" attribuita per tradizione a Guido d'Arezzo (solmisazione); la lettura mensurale delle note, ovvero la loro durata, con un'approfondita esposizione del significato dei segni di tactus e di proporzione; l'esposizione del sistema degli otto toni (le diverse specie d'ottava), con alcuni riferimenti anche al loro impiego nella musica polifonica e all'ethos che contraddistingue ciascun tono; le regole del contrappunto, e in conclusione alcuni cenni all'accordatura degli strumenti musicali. La trattazione riservata alla semiografia della musica (prima e seconda sezione) è una delle più esaustive e chiare in argomento, ma i passi più innovativi, e quindi maggiormente preziosi per gli storici della musica moderni, sono quelli relativi alla maniera di porre le sillabe del testo letterario sotto i canti, sia fermi sia mensurali, collocati nella seconda parte; le indicazioni per praticare il contrappunto improvvisato inserite nel capitolo dedicato alla didattica della composizione; ma soprattutto l'appendice finale sugli strumenti musicali e altre testimonianze di grande interesse sparse nel corso della trattazione.
Complessivamente il L. si dimostra aggiornato sulla pratica musicale del suo tempo e pienamente consapevole delle forme nuove che andavano imponendosi nel gusto, facendo cenno sporadicamente al madrigale e avendo l'accortezza di differenziare gli insegnamenti secondo il genere di musica di riferimento. Degna di nota è l'attenzione mostrata al testo letterario e alla sua combinazione con la musica, attenzione del resto speculare ai molteplici campi d'interesse evidenziati dalle opere del Lanfranco.
Dal 1° apr. 1535 il L. fu ingaggiato dai canonici del duomo di Verona, presso la scuola accolitale, per ricoprire un ruolo in tutto analogo a quello bresciano. A differenza degli anni vissuti a Brescia, poco è noto del periodo veronese, interrotto per di più in modo drammatico: non ci sono infatti motivi per dubitare delle parole di Aaron (che parla del L. con accenti di sincera amicizia), il quale, in una lettera del 26 dic. 1538 (Vat. lat., 5318, c. 172), indirizzata a un tale frate G. Corbegli, riferiva come il L. fosse fuggito in tutta fretta da Verona "vituperosamente", avendo "svaligiato la casa" e senza poter riscuotere il rimanente del proprio onorario per aver, secondo quanto "qua si dice, […] guasto un putto".
A rafforzare la verosimiglianza degli avvenimenti narrati da Aaron è la documentata circostanza che la parte residua del compenso spettante al L. per il 1538 - sufficiente per entità a coprire fino al mese di agosto compreso -, fu in effetti ritirata da suo nipote. Sempre stando ad Aaron, il L. si sarebbe allora rifugiato presso il monastero agostiniano di Romano di Lombardia (Bergamo), ove avrebbe preso i voti. In realtà il L. in tutti i documenti in cui è citato successivamente è sempre qualificato con attributi come "messere" o "maestro", per cui il suo stato laicale non dovrebbe essere in discussione.
Quella vicenda parve concludersi positivamente, perché ancora una volta il L. fu chiamato a nuovo incarico come maestro di cappella presso S. Maria della Steccata, a Parma, con un contratto di sei anni a partire dal 1° genn. 1540, forse su intercessione di un G. Lanfranco di Bardone (centro in provincia di Parma da cui Terenzo dipendeva), probabilmente suo congiunto, che fungeva da amministratore presso la Congregazione della Steccata. Qui rimase fino al 1545, anno della morte.
L'analisi dei pagamenti effettuati dalla Congregazione induce a credere che il L. sia morto dopo il mese di luglio; lo era per certo all'11 dic. 1545, poiché in quella data il nipote ed erede Genesio si obbligò a pagare 6 scudi d'oro per trasformare la sepoltura, avvenuta presso la stessa chiesa, da provvisoria in definitiva.
Fonti e Bibl.: Verona, Biblioteca capitolare, Mensa acoliti, b. 870, ff. 23-27; Parma, Arch. dell'Ordine Costantiniano di S. Giorgio, Congregazione della Steccata, Ordinazioni, Libro III (anni 1536-53); Arch. di Stato di Parma, Archivio notarile di Parma, filza 925 (edito in S. Maria della Steccata a Parma, a cura di B. Adorni, Parma 1982, p. 264); I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, Parma 1797, p. 8; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre I. Affò e continuate da A. Pezzana, VI, Parma 1827, pp. 472 s.; N. Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel sec. XVI, Parma 1916, ad nomen; Id., Musicisti in Parma nei sec. XV-XVI, in Note d'archivio, VIII (1931), pp. 138-140; B. Lee, G.M. L.'s "Scintille di musica" and its relation to 16th century music theory, tesi di dott., Cornell University, 1961; G. Massera, Musica inspettiva e accordatura strumentale nelle "Scintille di musica" di L. da Terenzo, Bologna 1964; D. Harran, Word-tone relations in musical thought from Antiquity to the seventeenth century, Neuhausen 1986, pp. 130-156, 197-209; A.M. Busse-Berger, Mensuration and proportion signs. Origin and evolution, Oxford 1993, passim; E. Sandal, L'Accademia bresciana "della volgar lingua" e G.M. Lanfranchi, in Studi petrarcheschi, XI (1994), pp. 285-296; P. Bonardi - G. Branchi Paganini, G.M. L. da Terenzo, Sala Baganza 1998; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 269 s.; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, p. 231; Die Musik in Geschichte und Gegenwart (2003), Personenteil, X, coll. 1146 s.