MARINELLI, Giovanni
– Nacque ad Adria (Rovigo), da Rinaldo e da Angelina Raule, il 18 ott. 1879. La famiglia, di media borghesia agraria, aveva conosciuto dissesti economici, tanto che il M. dovette abbandonare gli studi alla seconda ginnasiale. Iniziò presto a occuparsi di politica su posizioni socialiste.
Già nel 1898 il M. era controllato dalle autorità per la sua attività sindacale nelle zone più povere del Polesine; collaboratore di giornali della sinistra socialista e sindacalista, era attivo in polemica con le frange riformiste del sindacato oscillando tra posizioni sindacaliste e anarchiche.
Vicino alla frazione che contestava la prassi riformista nell’ambito del Partito socialista italiano (PSI), nel 1907 entrò nel comitato sindacalista della Camera del lavoro di Adria. Nel 1911 si trasferì a Milano, dove entrò in rapporto con la Società umanitaria lavorando come amministratore nella Federazione delle cooperative della provincia. Il XIII congresso del PSI, tenutosi a Reggio nell’Emilia tra il 7 e il 10 luglio 1912, segnò l’avvicinamento del M. alle posizioni di B. Mussolini e l’inizio di un sodalizio politico destinato a durare fino al 1943.
Ormai schierato sulle posizioni della sinistra socialista, proseguì nell’attività sindacale e dal 1914 fu membro della presidenza della Camera del lavoro di Milano; attivo durante la settimana rossa del giugno 1913, allo scoppio della prima guerra mondiale seguì la scelta interventista di Mussolini, si dimise polemicamente dal PSI e, nel dicembre, fu tra i fondatori del Fascio rivoluzionario interventista.
Dal gennaio del 1915 nel comitato centrale dei fasci d’azione rivoluzionaria, all’entrata dell’Italia nel conflitto si presentò volontario, ma fu riformato per un grave difetto alla vista, probabilmente dovuto al diabete; fu poi attivo a Milano con le forze interventiste e protagonista di incidenti con i neutralisti. Tra i fondatori dei Fasci italiani di combattimento, già nella riunione di piazza S. Sepolcro, il 23 marzo 1919, fu inserito nella giunta esecutiva e il 1° aprile entrò a far parte della commissione esecutiva.
Come esponente dell’«anima» milanese dei Fasci fu presente in tutti i momenti rilevanti del primo fascismo, in netta opposizione alla linea politica centrifuga e autonomista dei «ras».
Nel congresso di Firenze (9-10 ott. 1919) gli fu affidata formalmente la segreteria amministrativa dei Fasci e nel secondo congresso nazionale di Milano (24-25 maggio 1920) tenne la relazione finanziaria ed entrò a far parte del comitato centrale, portato a 19 membri. Con la sua gestione amministrativa, come constatarono i revisori dei conti, il funzionamento contabile dei Fasci migliorò «sensibilmente» (Gentile, p. 119).
Sempre in stretto rapporto con Mussolini, il M. svolse un importante ruolo politico nell’ambito delle diverse correnti del primo fascismo.
Nel gruppo milanese fu legato a C. Rossi, con il quale portò avanti la battaglia contro il segretario U. Pasella, accusato di presunte irregolarità amministrative, strinse rapporti con A. Dumini e si servì della collaborazione del giornale dello squadrismo toscano, Sassaiola fiorentina. Dopo le elezioni del maggio 1921, nel dibattito aperto dal successo elettorale fascista, il M. si schierò su posizioni mussoliniane sia nella polemica sulla cosiddetta tendenzialità repubblicana, sia nelle vicende seguite al patto di pacificazione con i socialisti in seguito al quale alcuni ras, nell’estate di quell’anno, avevano messo in discussione la guida di Mussolini.
Nel corso del congresso che sancì la nascita del Partito nazionale fascista (PNF), il 7-11 nov. 1921, gli fu confermata la carica di segretario amministrativo anche per i positivi risultati ottenuti fino a quel momento.
Al M. si deve una tecnica di finanziamento originale ed efficiente realizzata attraverso l’organizzazione di una rete di «produttori», cioè di collettori di fondi dietro rilascio di una ricevuta. I «produttori», in genere ex militari in pensione assunti con regolare contratto, ottenevano una percentuale del 10-15% sulla cifra raccolta, assicurando così al fascismo entrate regolari. Come testimoniato dalla ricca documentazione relativa ai finanziamenti ottenuti tra il 1921 e il 1922, una volta detratta la percentuale spettante ai «produttori», i proventi della raccolta venivano divisi tra la segreteria amministrativa e i Fasci dei luoghi dai quali venivano i fondi, nella proporzione rispettiva del 60% e del 40%. Tale sistema, naturalmente solo una delle fonti di finanziamento, non solo ottenne risultati positivi sui bilanci del partito, ma dette anche al M., con la facoltà di negare o concedere finanziamenti ai singoli Fasci, un forte potere politico. La centralizzazione della raccolta e della ridistribuzione delle risorse trovò però ostacoli nelle zone dove i ras avevano più potere e miravano a mantenere una loro autonomia anche finanziaria.
Dopo la marcia su Roma (28 ott. 1922), e l’incarico a Mussolini di formare il governo, il 31 ottobre, il M. e il segretario del PNF M. Bianchi, per protestare contro la presenza di forze non fasciste all’interno del governo, dettero le dimissioni, rifiutate però da Mussolini; il ruolo di segretario amministrativo del PNF fu comunque confermato al M., ma gli venne affiancato A. Dudan. Nelle successive polemiche tra intransigenti e revisionisti nel partito, il M. intervenne su entrambi i fronti.
Con un’intervista al Corriere italiano, il 19 sett. 1923, si schierò contro i ras auspicando una ristrutturazione e un rafforzamento del partito; sul caso dell’espulsione del revisionista M. Rocca si allineò con Mussolini il quale, pur ottenendo, sempre nel 1923, la revoca del provvedimento, condannò tuttavia le proposte politiche di Rocca, il quale, una volta abbandonato il fascismo, tracciò un profilo al veleno del M.: «uomo senza cultura, d’ingegno men che mediocre, piccolo d’animo e vendicativo che si rendeva antipatico persino ai suoi colleghi di segreteria col lesinar loro il centesimo sulle spese di viaggio e di soggiorno» (p. 100).
La crisi tra revisionisti e intransigenti si concluse con un’ulteriore ristrutturazione degli organi dirigenti del partito, in base alla quale il M., dal 24 aprile al 12 ott. 1923, fu membro della giunta esecutiva che sostituiva la direzione del PNF e, il 13 ottobre, inserito, insieme con Rossi, A. Teruzzi, P. Bolzon e con F. Giunta segretario politico, in un direttorio provvisorio, formalizzato, il 23 apr. 1924, in un quadrumvirato. Come quadrumviro il M., sempre con funzione di segretario amministrativo, si trovò quindi alla guida del partito insieme con Rossi, R. Forges Davanzati e A. Melchiori. Dopo le elezioni del 1924 alle quali – seguendo le indicazioni di Mussolini, contrario al cumulo delle funzioni – il M. non si presentò, la carica gli fu confermata per essere ratificata nel consiglio nazionale del 12 giugno. Questo percorso ai vertici fu, tuttavia, bruscamente interrotto dalle conseguenze del delitto Matteotti (giugno 1924) nel quale il M. fu direttamente coinvolto insieme con Rossi. Il M. fu chiamato in causa sia come organizzatore della cosiddetta «Ceka», la polizia segreta interna incaricata di azioni contro gli antifascisti, sia per i suoi rapporti con gli esecutori materiali del delitto, in particolare con Dumini. Poiché il M. aderiva, con Rossi, F. Filippelli, direttore del Corriere italiano, anch’egli coinvolto nel delitto, e lo stesso Dumini, alla massoneria, obbedienza di piazza del Gesù, allora e in seguito si pensò anche a una matrice massonica del delitto Matteotti.
Su tale evento la storiografia, ferme restando le responsabilità di Mussolini, ha molto lavorato: in particolare, quanto al ruolo del M. si è arrivati a conclusioni certe per quanto concerne il suo pesante coinvolgimento, meno sicure, invece, circa il ruolo da lui avuto rispetto a quello di Rossi.
A sostegno di una preminente responsabilità del M., R. De Felice nel 1966 scrisse che il M. fu «il responsabile numero uno dell’azione contro Matteotti» (Mussolini il fascista, I, p. 623), confermando quanto sostenuto, allora e in seguito, dai fascisti: Rossi, che ne sottolineò in particolare il ruolo non solo relativamente al delitto ma anche all’organizzazione della Ceka (Il delitto Matteotti, p. 221) confermando, nel corso del nuovo processo sul delitto Matteotti che si tenne nel secondo dopoguerra (Roma, 13 gennaio - 4 apr. 1947), il ruolo essenziale del M. nel dare mandato alla squadra responsabile dell’assassinio; Dumini, che ribadì ulteriormente tale ruolo in un suo memoriale degli anni Trenta; infine, T. Cianetti il quale riferì che nel 1944, durante la prigionia nel carcere di Verona, il M. aveva affermato di essere stato lui a ordinare il sequestro. Sempre nell’ambito del processo del 1947, C. Silvestri, sulla base di colloqui avuti con il duce a Salò, attribuì il delitto all’ambiente affaristico e dichiarò che era stato proprio il M. a ordire l’intera trama, quale trait d’union tra non meglio identificati ambienti finanziari e gli esecutori materiali. Nel 1991, invece, M. Canali attribuì le maggiori responsabilità a Rossi (Cesare Rossi…, p. 329); una valutazione in parte ripresa nel 1997 ne Il delitto Matteotti, in cui Canali, pur evidenziando le responsabilità del M. a proposito del suo ruolo nella Ceka, sottolinea come appaia «inverosimile che Mussolini affidasse al solo Marinelli, un dirigente tra i più opachi e stolidi del suo gruppo dirigente, il compito così delicato dell’organizzazione illegale della repressione dell’opposizione. Anche se egli entrò senza dubbio a far parte dell’organico della Ceka, vi svolse tuttavia compiti essenzialmente amministrativi e contabili. Fu insomma il cassiere della Ceka» (pp. 371 s.).
Di fatto gli elementi che legano il M. al sequestro sono i suoi consolidati rapporti con Dumini, i finanziamenti elargiti agli esecutori e alcune iniziative prese prima del fatto (in particolare fu il M. a inviare al carcere di Poggioreale il 31 maggio 1924 un telegramma per la liberazione di O. Thierschald, il «basista» austriaco che doveva avere il compito di pedinare Matteotti, dal M. reclutato come informatore nell’aprile precedente). Quanto al suo ruolo come organizzatore della Ceka, gli studi più recenti sulla documentazione archivistica chiariscono molti dubbi, evidenziando il ricorso «istituzionale» alla violenza contro gli avversari nel regime totalitario fascista: la Ceka, dunque, progettata tra il gennaio e l’aprile del 1924, nel giugno di quell’anno esisteva realmente, agli ordini dei due membri del direttorio, Rossi e il M., anche se al momento del delitto essa «stava uscendo dalla fase embrionale» (Canali, 1997, p. 356).
Arrestato il 18 giugno 1924, il M. rimase in carcere 18 mesi uscendone solo alla fine del 1925. Il 1° dic. 1925, infatti, fu resa nota la sentenza istruttoria della sezione d’accusa della corte d’appello di Roma la quale, per il M. e Rossi, concluse che il loro mandato agli esecutori si era limitato all’ordine di sequestro e che l’uccisione era stata involontaria. Il M., che aveva usufruito dell’amnistia promulgata il 31 luglio 1925 per i reati «determinati da movente politico», non figurò quindi tra gli imputati del processo di Chieti del 1926. Nel marzo 1926 fu reintegrato dal segretario del PNF, R. Farinacci (che nel processo di Chieti difese Dumini), nella carica di segretario amministrativo, ricoperta dal M. con rigore e metodo fino al novembre 1939.
Come testimoniato dalla ricca documentazione archivistica, il M. ampliò sempre più la struttura della segreteria, facendone un centro di potere organizzato ed efficiente, spesso in contrasto con i segretari politici del PNF, soprattutto con G. Giuriati del quale, insieme con A. Starace, nel dicembre 1931 provocò la destituzione. Mentre il PNF allargava di anno in anno sia le sue entrate sia il suo controllo della società italiana, il M. centralizzava la contabilità, sotto la supervisione di ispettori del partito, prevedendo l’invio, da parte delle federazioni, di preventivi e di consuntivi di spesa dettagliati non limitati alla struttura provinciale ma allargati, nei grandi centri urbani, alla contabilità dei gruppi rionali; sottoposta all’identico, rigido controllo era anche tutta la contabilità delle organizzazioni dipendenti dal PNF, i Gruppi universitari fascisti (GUF), l’Opera nazionale dopolavoro (OND), i Fasci femminili e le opere assistenziali. Il M., naturalmente, gestì anche altre fonti di finanziamento: per esempio nel 1928 fu amministratore delegato della Società anonima immobiliare Vittorio Emanuele, «braccio operativo delle speculazioni immobiliari del partito» (Canali, 1997, p. 116).
Il completo recupero di un ruolo chiave nel PNF da parte del M. è testimoniato dalla sua partecipazione al Gran Consiglio, dall’elezione a deputato, nel 1929 e nel 1934, a consigliere nella Camera dei fasci e delle corporazioni, dal trattamento di riguardo ricevuto sempre da Mussolini. Il 5 nov. 1939 il M. fu nominato sottosegretario al ministero delle Comunicazioni, ruolo che ricoprì fino al 13 febbr. 1943. Fino alla firma dell’ordine del giorno Grandi, il 25 luglio 1943, il M. si mantenne fedele a Mussolini, come attestano numerose testimonianze di protagonisti.
Grandi stesso, prima della riunione, non solo non considerava il M. a favore del suo ordine del giorno, ma lo includeva tra i decisamente contrari; oltre a sottolineare che questi era giunto alla seduta del Gran Consiglio «assolutamente ignaro», egli aggiunge di aver accolto «non senza stupore» la sua firma nella tarda nottata del 25 luglio (25 luglio quarant’anni dopo, p. 212). Anche G. Bottai nel suo diario definisce «inaspettata» l’adesione del M. all’ordine del giorno e il 14 genn. 1944, dopo l’esecuzione seguita alla condanna a morte dei firmatari, ha queste parole pesanti nei suoi confronti: «fosco d’occhio e d’anima. Che egli abbia voluto “tradire” Mussolini non è immaginabile. Se non altro la sua cattiva coscienza di gerarca prepotente gliel’avrebbe impedito, ché solo un Mussolini poteva essere il suo degno protettore. Marinelli, piovuto per caso nella compagnia dei 19, dimostra da un punto di vista negativo l’inesistenza del tradimento, poiché egli era di quelli che non tradiscono se non le persone dabbene» (p. 486).
Arrestato a Roma, il M. entrò nel carcere veronese degli Scalzi il 4 nov. 1943. Durante il processo, nel quale fu difeso dall’avvocato C. Bonari di Verona, interrogato dal giudice istruttore V. Cersosimo il M. spiegò che aveva aderito all’ordine del giorno Grandi in quanto certo che tutto fosse stato concordato con Mussolini, come era sempre avvenuto in altre votazioni al Gran Consiglio.
Cianetti, suo compagno di prigionia per tre mesi, fornì particolari drammatici sulla situazione del M., che appariva abbattuto e quasi incapace di comprendere quanto stava avvenendo intorno a lui: alla lettura della sentenza, il M. non la capì e fu Ciano a dovergliela scandire. Estremamente prostrato, al momento dell’uscita dalla cella, prima dell’esecuzione, dovette essere sorretto da due agenti.
Il M. morì a Verona l’11 genn. 1944, fucilato alla schiena nel poligono di tiro della fortezza di S. Procolo.
Il M. non ha lasciato scritti organici, ma molti interventi sulla stampa, tra i quali si segnalano: Un problema di assestamento. Una intervista con il comm. M., in Corriere italiano, 19 sett. 1923, e Le ultime ore del vecchio regime 28, 29, 30 ott. 1922, in Gerarchia, VII (1927), 10, pp. 1012-1015. Alcune sue interviste sono riportate nel volume di Fossani.
Fonti e Bibl.: Fra le molte fonti archivistiche relative al M. si vedano: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 88; Mostra della Rivoluzione fascista, bb. 21-43, 46-47; Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati - Uffici dipendenti dalla sezione prima, Casellario politico centrale, b. 3066; sul delitto Matteotti, ibid., Divisione affari generali e riservati - Arch. generale, Documenti sequestrati durante le indagini per il delitto Matteotti, bb. 501-505; la documentazione dell’istruttoria del processo Matteotti è in Arch. di Stato di Roma, Tribunale civile e penale di Roma, Corte d’Assise, bb. 457-466 bis; sull’argomento si rinvia inoltre a M. Canali, Il delitto Matteotti, Bologna 1997. Per l’attività nel PNF, naturalmente sono molti i fondi sul M., in particolare Roma, Arch. centr. dello Stato, Partito nazionale fascista, Direttorio nazionale, Servizi.
Al M. è stato dedicato un breve profilo agiografico da I. Fossani, G. M., Roma 1932. Notizie anche in E. Savino, La nazione operante, Milano 1928, ad ind., e in G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, I-V, Firenze 1929, ad indices; fondamentale per ricostruire il cursus politico del M. è però M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF, Roma 1986, ad indicem. Oltre alle principali storie del fascismo in cui il M. è sempre citato si veda in particolare per l’attività sindacale nell’anteguerra, V. Zaghi, L’eroica viltà. Socialismo e fascismo nelle campagne del Polesine, Milano 1989, ad ind.; per la scelta interventista, la partecipazione al primo fascismo, il ruolo avuto durante la marcia su Roma, il delitto Matteotti: C. Senise, Quando ero capo della polizia 1940-1943, Roma 1946, p. 14; R. De Felice, Primi elementi sul finanziamento del fascismo dalle origini al 1924, in Riv. stor. del socialismo, VII (1964), pp. 223-251; Id., Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino 1965; Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, ibid. 1966; II, L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, ibid. 1968, ad indices; C. Rossi, Il delitto Matteotti nei procedimenti giudiziari e nelle polemiche giornalistiche, Milano 1965, passim; Il delitto Matteotti tra Viminale e Aventino. Dagli atti inediti del processo De Bono all’Alta Corte di giustizia, a cura di G. Rossini, Bologna 1966, ad ind.; A. Repaci, La marcia su Roma, Milano 1972, ad ind.; E. Gentile, Storia del partito fascista. 1919-1922. Movimento e milizia, Bari 1989, ad ind.; M. Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo, Bologna 1991, ad ind.; Id., Documenti inediti sul delitto Matteotti, il memoriale di Rossi del 1927, in Storia contemporanea, XXIV (1994), 4, pp. 549-631; per l’affiliazione del M. alla massoneria: F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, ad ind.; per la sua posizione il 25 luglio, il processo di Verona, il carcere e l’esecuzione: F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1962, ad ind.; V. Cersosimo, Dall’istruttoria alla fucilazione. Storia del processo di Verona, Milano 1963, passim; R. De Felice, Mussolini l’alleato. 1940-1945, I, 2, L’Italia in guerra, Torino 1990, ad ind.; per le notazioni sul M. da parte di esponenti del fascismo: G. Giuriati, La parabola di Mussolini nei ricordi di un gerarca, a cura di E. Gentile, Bari 1981, ad ind.; G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, ad ind.; T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, a cura di R. De Felice, Milano 1983, ad ind.; D. Grandi, 25 luglio quarant’anni dopo, a cura di R. De Felice, Bologna 1983, ad ind. e, per il giudizio di un ex fascista, M. Rocca, Come il fascismo divenne una dittatura, Milano 1952, p. 100.