MARINONI, Giovanni
MARINONI, Giovanni (al secolo Francesco). – Nacque a Venezia il 25 dic. 1490 da Elisabetta, anch’essa Marinoni, e da Bernardino, di ricca e nobile famiglia originaria di Clusone, nel Bergamasco, trasferitasi a Venezia nei decenni precedenti. Fu l’ultimo di sei figli: le tre sorelle dedicarono la vita a opere di carità senza mai giungere al matrimonio, i due fratelli fecero vita sacerdotale, addetti, sembra, alla chiesa di S. Martiniano.
Del M. si dice che, forse influenzato dalla fervida pietà della madre, maturasse presto una forte vocazione spirituale, fosse ammesso a soli sette anni alla comunione e che avesse carattere mite e teso all’obbedienza. Giovanissimo divenne chierico della collegiata di S. Pantaleone. Sulla sua prima formazione influì senz’altro l’esortazione alla vita cristiana del veronese Giovanni Del Bene, arciprete di S. Stefano a Verona, di cui il M. fu allievo con il compagno e amico Luigi Lippomano, futuro vescovo di Modena, Verona e Bergamo. Malgrado i biografi non siano unanimi sulla natura della sua formazione universitaria, prevale l’idea che si sia laureato in utroque iure presso lo Studio di Padova.
Esercitò il sacerdozio dapprima nella chiesa di S. Pantaleone, quindi fu chiamato dal doge Leonardo Loredan al servizio della basilica di S. Marco, come sacrista il 1° dic. 1515, canonico nel 1521, e infine, nel 1526, mansionario con la zanfarda, la pelliccia indossata sul braccio sinistro dai canonici di S. Marco come segno distintivo del loro grado.
In quegli anni profuse grande impegno nell’assistenza ai ricoverati dell’ospedale Novo degli Incurabili di Venezia, di cui fu anche nominato cappellano, accrescendo la fama del suo instancabile zelo e della profonda devozione che lo animava. Quel periodo di operosa attività assistenziale – che univa alla cura agli ammalati l’apostolato attivo, la predicazione, l’istruzione ai fanciulli, sulla scia di una nuova spiritualità tracciata dal fondatore dell’ospedale, Gaetano Thiene – rappresentò per il M. un momento di maturazione della vocazione e di consolidamento della visione della propria missione di religioso, che lo portò a compiere una significativa scelta di vita.
Fin dal 1526 il M. manifestò interesse a unirsi alla Congregazione dei chierici regolari teatini, fondata a Roma nel 1524 dallo stesso Gaetano Thiene e da Gian Pietro Carafa, vescovo di Chieti e futuro Paolo IV, per realizzare quegli ideali di riforma del clero e di cura e controllo delle anime destinati a diventare ben presto uno dei pilastri della Chiesa della Controriforma. Tuttavia il suo proposito incontrò la reticenza dei governatori dell’ospedale, che non intendevano rinunciare alla sua opera. Con il trasferimento dei teatini a Venezia in conseguenza del sacco di Roma del 1527, e con la partecipazione diretta di Thiene e di Carafa alla direzione degli Incurabili, che vide momenti di intensa attività con la pestilenza del 1528, il convincimento del M. di unirsi ai chierici regolari si rafforzò e quindi egli avanzò una formale richiesta, che fu accettata. Nel dicembre 1528 fece il suo ingresso nell’Ordine, ricevette poco dopo l’abito da Carafa, mutò il suo nome in quello di Giovanni e, il 29 maggio 1530, fece la professione di fede nelle mani di Gaetano Thiene. Tra attività di assistenza, apostolato, istruzione, il M. trascorse i successivi tre anni con i teatini di Venezia, nella sede in S. Nicola da Tolentino, che divenne un importante punto di riferimento per i fautori della riforma della Chiesa (tra i frequentatori erano Gaspare Contarini, Reginald Pole, Gian Matteo Giberti).
Nel 1533, con l’incoraggiamento di papa Clemente VII, che nel marzo di quell’anno aveva dato pieno riconoscimento alla Congregazione, fu chiesto ai teatini di portare la loro opera nel Regno di Napoli. Carafa, che nel 1530 era stato nuovamente eletto preposito generale, incaricò il M. di seguire in questa importante missione Gaetano Thiene, di cui diventò compagno di vocazione e di vita.
All’inizio di agosto i due religiosi partirono da Venezia e, dopo essere passati da Roma per rendere omaggio al pontefice, giunsero a Napoli nella prima metà di settembre, stabilendosi prima a S. Maria della Misericordia (settembre 1533 - marzo 1534), poi presso l’ospedale degli Incurabili e in altre residenze, fino a quando, nel 1538, i teatini ottennero la chiesa di S. Paolo Maggiore, che sarebbe divenuta la loro sede definitiva. La collaborazione di Gaetano Thiene e del M. nella creazione e nel consolidamento della comunità teatina di Napoli, e nell’opera di riforma religiosa e morale, fu sempre molto stretta, tanto da non poter facilmente distinguere responsabilità e operato dell’uno o dell’altro. In effetti, malgrado nei racconti degli storici l’immagine del M. sia in parte oscurata dalla figura carismatica del santo, e nonostante questi tenesse effettivamente le redini della Congregazione napoletana – da lui guidata fino alla morte, nel 1547 –, è indubbio il ruolo di primo piano del M. prima di quella data, anche in ragione delle varie assenze da Napoli dovute agli impegni di Thiene nel corso degli anni. I due fondatori impressero alla casa di Napoli un carattere fortemente improntato agli ideali teatini, fondati sulla necessità di coniugare il raccoglimento e la crescita spirituale con l’apostolato nella società. Osservando attentamente i voti di povertà e obbedienza, essi posero grande cura nella formazione della stessa congregazione selezionando con estremo rigore i novizi, e altrettanta severità mostrarono nella fondazione e riforma dei monasteri femminili di cui ebbero la direzione spirituale: vanno ricordati la fondazione del convento delle cappuccine, e l’impegno nella riforma del monastero delle domenicane della Sapienza, fondato tra l’altro da suor Maria Carafa, sorella di Gian Pietro, e del convento delle convertite di S. Maria Maddalena.
Oltre a promuovere la fondazione di luoghi pii e monasteri, orfanotrofi e case per giovani fanciulle, nel 1539 il M. e il Thiene incoraggiarono l’istituzione del Monte di pietà, da cui trae origine il Banco di Napoli. In particolare fu il M., convinto dall’esperienza di analoghe istituzioni impegnate in altre città italiane nella lotta all’usura e nell’aiuto ai poveri, e forse incoraggiato dalla decisione dell’espulsione (nel 1539 e rinviata al 1541) degli ebrei dal Regno, a volere la nascita dell’istituto, e con grande decisione cercò e ottenne il sostegno economico all’idea e all’impresa all’interno della sua cerchia spirituale: due ricchi mercanti napoletani, Aurelio Paparo e Leonardo Di Palma, fornirono il capitale iniziale, e nel giro di pochi anni lasciti e donazioni ne garantirono la rapida crescita.
La personalità del M., che era già stato preposto alla Congregazione dal 1540 al 1543 e dal 1544 al 1547, emerse con ulteriore forza dopo il 1547, quando, alla morte di Thiene, assunse la diretta responsabilità di guidare la comunità teatina partenopea.
Fedele all’insegnamento spirituale di Thiene, il M. perseguì l’ideale della perfezione attraverso la preghiera, la rinuncia, la povertà (sembra che rinunciasse perfino alle elemosine troppo cospicue), la mortificazione, l’umiltà, la penitenza; attuò al massimo grado il convincimento di operare nel mondo, assunse su di sé il dovere di un comportamento esemplare, predilesse il compito di istruire i novizi, dette largo spazio all’apostolato, alla lotta all’analfabetismo, anche femminile. Fu autore di una predicazione semplice ed estremamente comunicativa, apprezzata dal popolo ma non meno da insigni personalità laiche e religiose. Per quanto riguarda i contenuti, perseverò nella lotta all’eresia, che aveva affrontato con fermezza, con Gaetano Thiene, fin dall’arrivo a Napoli, e combatté soprattutto i circoli degli spirituali di Juan de Valdés, e gli «errori» trasmessi nelle predicazioni di Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli. Appoggiò, sembra, l’istituzione del tribunale del S. Uffizio. Tra coloro che furono e che si riconobbero come discepoli del M. si contano molte figure di chierici regolari, ma si ricordano in particolare Andrea Avellino (che fu peraltro autore, nel 1600, di una sua prima breve biografia) e Paolo Burali. Va detto tuttavia che il suo insegnamento spirituale fu largamente orale e non ebbe trasposizione scritta, se non per pochi scritti ascetici, ammaestramenti brevi, esortazioni ai religiosi e alle religiose.
Nel 1555 Gian Pietro Carafa, divenuto papa con il nome di Paolo IV, chiamò il M. a Roma con l’intenzione di farne il proprio successore nell’arcivescovado di Napoli, proposta che egli rifiutò. Durante la sua permanenza poté assistere alla presa di possesso della nuova casa teatina di Roma, in S. Silvestro al Quirinale, alla quale garantì appoggi materiali inviando in seguito arredi sacri e suppellettili utili. Tornato a Napoli riprese la sua instancabile attività, per la città e per la sua comunità. Nel 1558 iniziò la costruzione del convento di S. Paolo Maggiore per dare ai teatini di Napoli una casa più adeguata, di cui però non vide il compimento poiché i lavori finirono nel 1565, dopo la sua morte.
Il M. morì il 13 dic. 1562 a Napoli mentre assisteva i malati durante una epidemia diffusasi nella città.
Fu sepolto nella chiesa di S. Paolo Maggiore, vicino a s. Gaetano Thiene. Intorno alla figura del M., quando ancora era in vita e in particolare dopo la morte, nacque un culto popolare che fu riconosciuto con il decreto del settembre 1762 con cui Clemente XIII diede positiva conclusione al processo per la beatificazione.
Fonti e Bibl.: Sulle lettere e i pochi scritti del M. si vedano l’elenco dettagliato e le indicazioni in B. Mas, Bibl. del b. G. M., in Regnum Dei, XVIII (1962), pp. 210-236; F. Andreu, Lettere e scritti del b. G. M., ibid., pp. 47-121; Le lettere di s. Gaetano da Thiene, a cura di F. Andreu, Città del Vaticano 1954, pp. XXV, 84, 102 s., 105, 117, 131; F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia…, Padova 1758, pp. 409-415; L. Bianchi, Ragguaglio della vita del b. G. M., Venezia 1763; F.L. Barbarigo, Panegirici recitati da tre celebri oratori ad onore del b. G. M.…, Venezia 1763; P. Chiminelli, S. Gaetano Thiene. Cuore della Riforma cattolica, Vicenza 1948, ad ind.; R. De Maio, Alfonso Carafa, cardinale di Napoli, Città del Vaticano 1961, pp. 29-32, 116, 129, 144, 165; F. Andreu, La spiritualità del b. G. M., in Regnum Dei, XVIII (1962), pp. 122-141; Id., S. Andrea Avellino, primo biografo del b. M., ibid., pp. 164-170; B. Laugeni, Il b. G. M., ideatore e promotore del Monte di pietà precursore del Banco di Napoli, ibid., pp. 142-163; C. Linari, Il b. G. M., ibid., pp. 7-46; G. Pacchiani, Le vicende della famiglia del b. G. M., ibid., pp. 171 s.; G. Musolino - A. Niero - S. Tramontin, Santi e beati veneziani. Quaranta profili, Venezia 1963, pp. 292-302; G.B. Crollalanza, Diz. storico-blasonico, II, p. 83; Enc. cattolica, VIII, col. 163; Enc. ecclesiastica, VI, p. 427; Vie des saints et des bienheureux…, XII, Paris 1956, pp. 425-427; Enc. biografica: I grandi del cattolicesimo, II, ad vocem; Bibliotheca sanctorum, VIII, coll. 1183 s.