MARRADI, Giovanni
– Nacque a Livorno il 21 sett. 1852 da Benedetto e da Chiara Fiorini, modesti commercianti originari di Empoli. Dopo le scuole elementari proseguì gli studi all’istituto tecnico, che abbandonò nel 1866, dedicandosi ad assidue letture. Si appassionò inizialmente alla drammaturgia di V. Alfieri, P. Metastasio e W. Shakespeare; alla poesia arrivò più tardi, leggendo i classici, da F. Petrarca a G. Leopardi. Lo zio paterno, Michele Marradi, che gli trasmise la passione per la composizione in versi, nel 1869 lo invitò a trasferirsi presso di lui a Pistoia – dove il M. si recava in vacanza fin da bambino – per riprendere gli studi. Dotato di una grande facilità a verseggiare, il M. compose a 15 anni il polimetro Mentana ovvero La spada del volontario romano (Livorno 1870).
Fu il direttore dell’istituto tecnico, G. Procacci, letterato e poeta – suo primo maestro e guida letteraria – a intuire le doti non comuni del giovane M., cosicché lo invitò ad abbandonare gli infruttuosi studi di contabilità e a iscriversi nel 1870 al reale liceo di Pistoia; il M. completò gli studi classici presso il liceo Niccolini di Livorno, dove insegnavano A. Coen e O. Targioni Tozzetti. Il preside, G. Chiarini, lo incoraggiò allo studio della letteratura e nel periodico Il Mare, da lui fondato e diretto, il M. pubblicò le sue prime composizioni poetiche.
Nel 1872 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Pisa, dove non trovò congeniale il severo clima di erudizione filologica che ben poco si addiceva alle fantasie poetiche. Insofferente, abbandonò gli studi, per lui troppo noiosi e inconcludenti, e si trasferì a Firenze, affermandosi come elemento di spicco della cosiddetta scapigliatura fiorentina.
Nel 1877 fondò la rivista I Nuovi Goliardi, insieme con S. Ferrari, G. Biagi, L. Gentile, A. Straccali e U. Brilli.
Il periodico, di ispirazione carducciana, si prefiggeva di combattere le «Arcadie» contemporanee, anche se la domanda di una letteratura nuova si traduceva in un vagheggiato ritorno al buon tempo antico su basi dottamente filologiche e i sinceri fermenti democratici e libertari non approdavano a un concreto impegno politico e culturale.
In tale rivista il M., oltre a pubblicare versi, esordì come critico letterario con lo pseudonimo di «Goliardus Labronicus» (abbreviato poi in «Labronio»), presentando un saggio su G. Zanella, al quale rimproverava poca forza e uno stile classicheggiante e paludato. Attaccò in seguito V. Betteloni, contestandogli lo spirito borghese e l’eccessiva prosaicità del linguaggio, nonché G. D’Annunzio, di cui criticò l’eccessivo estetismo.
Al pari di molti poeti italiani degli ultimi decenni dell’Ottocento, il M. fu condizionato da G. Carducci, che divenne punto di riferimento sia a livello tematico, per la sua tendenza a polemiche e battaglie morali e politiche, sia a livello formale, per la sua impostazione classicistica. Certi eccessi socialisteggianti e anticattolici del M., tuttavia, non piacquero nemmeno a Carducci che, difatti, lo esortò a una maggiore ponderatezza: «Ritorni ai grandi antichi, ai greci; studi gl’inglesi e i tedeschi, che sono poeti oggi molto più di noi […] gli studi in confronto ai greci e ai nostri antichi. E poi trovi anche Lei qualche cosa di nuovo» (Edizione nazionale delle opere di G. Carducci, Lettere, XII, 1878-1880, Bologna 1949, p. 204). Il M., preso atto dei suggerimenti, mise da parte le sue arie da poeta maledetto per dedicarsi in maggior misura tanto alla memoria degli affetti familiari quanto alle rievocazioni storico-paesaggistiche. Egli credeva in tal modo di liberarsi dalla «carduccite acuta» (così in una lettera all’amico G. Marrenghi, bibliotecario della Labronica di Livorno, cit. da L. Pescetti, Il Carducci e il M., in Pegaso, II [1930], p. 275). Tuttavia continuò in parte a prendere spunti dalla poesia del maestro, seppure con una maggiore ponderazione nel comporre ed evidenziando la tendenza ad accogliere melodicamente suggestioni diverse (proprio questo difetto egli avrebbe rimproverato a D’Annunzio, ritenendosene sfacciatamente plagiato). Del resto, che Carducci gli avesse consigliato di «cantare e pensare più forte», come riferisce lo stesso M., è comprensibile dal momento che nella quasi generalità le sue composizioni si risolvono nella modestia dei versi, con un’accorata, ma prevedibile, descrizione di ambienti e figure della storia e della geografia italiana.
Nel 1877, grazie all’interessamento del ministro della Pubblica Istruzione M. Coppino, il M. ottenne l’abilitazione all’insegnamento «per chiamata», benché non avesse conseguito la laurea, e tenne le sue prime lezioni presso il ginnasio comunale di Ceccano (Frosinone), per passare a Terni nel 1879. In quell’anno pubblicò – sotto lo pseudonimo di G.M. Labronio – la raccolta Canzoni moderne (edita a Bologna per i tipi di Zanichelli), cui seguì Fantasie marine (Pistoia 1881), entrambe riunite in Canzoni e fantasie (Roma 1883).
Nel 1880 scrisse accorate poesie per l’improvviso e luttuoso evento della morte della sorella ventenne Itala. Nel 1884 fu trasferito in Sardegna, presso il reale liceo di Sassari, e nel medesimo anno sposò a Livorno Quintilia Foraboschi, la Lilia delle sue poesie, affettuosa compagna di tutta la vita.
Proprio nell’evocazione dei teneri affetti domestici il M. rivela talvolta un respiro poetico che lo avvicina, per alcuni aspetti, a G. Pascoli. L’amore per Lilia e il matrimonio, nella fattispecie, rappresentarono un duraturo e felice motivo ispiratore della sua successiva produzione.
Dal 1886 al 1893 insegnò in diverse sedi scolastiche: Chieti, Spoleto, Modena (dove fu direttore della Rivista emiliana) e Siena, città in cui scrisse l’Epistola senese indirizzata a Pascoli. Nel 1893 concluse la carriera di insegnante e iniziò quella di provveditore agli studi, che svolse dapprima a Pesaro, poi a Massa (1894-99) e Pisa, per finire nella sua città natale (1902).
In occasione del centenario della nascita di G. Garibaldi raccolse in volume le Rapsodie garibaldine insieme con il poemetto Tito Speri (Firenze 1907), opere di epica patriottica in parte già pubblicate negli anni precedenti, che ebbero notevole, seppur effimera, risonanza, favorita dalle declamazioni avvenute in varie sale e teatri d’Italia.
Nel trattare le vicende risorgimentali (prolungate, con sintomatica prospettiva, fino alla prima guerra mondiale) cercò di trasmettere quel messaggio altamente educativo, cui ambiva ormai da tempo, anche se, notò con sintesi felice Mazzoni, «la sua poesia, ha più canorità che visione, più drappeggiamento che eleganza» (cfr. G. Mazzoni, L’Ottocento, Milano 1943, p. 1399). Il M. ebbe sicuramente maggiore sensibilità e ispirazione nel descrivere paesaggi della Toscana e dell’Italia centrale, in particolar modo marini, tirrenici, dei quali seppe esaltare luminosità e odori. Non sempre, però, riuscì a dare vitalità e profondità di contenuto al suo canto, che anzi spesso si appagò di canorità o armoniosità puramente verbali.
Amareggiato, negli ultimi anni, dal pensiero di non essere riuscito a lasciare nella storia letteraria italiana un’impronta della sua opera sufficientemente incisiva, il M. morì a Livorno il 6 febbr. 1922.
Le sue raccolte poetiche furono più volte stampate con correzioni e aggiustamenti tematici anche importanti. Oltre a quelle citate, si segnalano: Alcuni versi, Livorno 1870; Ricordi lirici, Roma 1884 (poi, in ed. largamente rivista, Milano 1893, con proemio di E. Panzacchi); Poesie, Torino 1887; Nuovi canti, Milano 1891; Ballate moderne, Roma 1895; Poesie, nuovamente raccolte e ordinate, Firenze 1902; e, infine, Poesie (ibid. 1923), ed. postuma che riunisce quasi tutta la sua produzione poetica.
Fonti e Bibl.: G. Menasci, G. M., in Nuova Antologia, 1° giugno 1902, pp. 513-528; P. Micheli, Saggi critici, Città di Castello 1906, pp. 79-99; G. Marchesini, G. M. e le sue liriche, Spoleto 1908; F. Palleschi, L’arte di G. M., Parma 1922; M. Zimolo, G. M.: commemorazione tenuta a Firenze il 25 febbr. 1923…, Firenze 1923; G. Checchia, G. M., l’uomo e il poeta, in Nuova Antologia, 16 sett. 1923, pp. 151-168; G. Bellincioni, Poche cose di un poeta toscano. Impressioni e divagazioni sull’opera di G. M., La Spezia 1938; L. Fontana, G. M., Roma 1941; P. Bava, G. M. (1852-1922), Torino 1942; P. Pancrazi, Ricordo del M. (1922), in Id., Scrittori d’oggi, I, Bari 1946, pp. 236 s.; T. Lisa, Il verso non è tutto, Firenze 2001; D. Cinti, Diz. degli scrittori italiani, Milano 1939, s.v.; Poeti minori dell’Ottocento, I, a cura di L. Baldacci, Milano-Napoli 1958, pp. 1057-1059; Diz. encicl. della letteratura italiana, III, Bari 1967, p. 523; Storia della civiltà letteraria italiana, V, Il secondo Ottocento e il Novecento, Torino 1994, pp. 89 s.; Storia della letteratura italiana, VIII, Tra l’Otto e il Novecento, a cura di E. Malato, Roma 1999, pp. 610 s.; Diz. della letteratura italiana, a cura di S. Blazina, Milano 2005, s.v.; Diz. Bompiani degli autori di tutti i tempi…, IV, Milano 2006, sub voce.