MASSARI, Giovanni
MASSARI (Massaro), Giovanni. – Nacque presumibilmente nel 1398 a Catania, forse nella contrada della Fiera, dove abitava il padre Blasco, nobile catanese.
In una casa della stessa contrada, concessa in enfiteusi nel marzo 1387 dal vescovo Simone Del Pozzo, visse un miles omonimo del M., forse il padre di Blasco, e in case limitrofe suo fratello Antonio e un altro parente, il miles Nicolò. Un altro miles omonimo, la cui presenza è documentata a Catania tra il 1335 e il 1355, in stretto rapporto con Blasco d’Alagona, forse lo stesso che nel 1341 fu giudice a Paternò, abitava nella contrada del castello Ursino ed era già morto nel febbraio 1369 e la vedova Eleonora de Sosa nell’ottobre 1380 ne vendette le case ad Artale Alagona, vicario del Regno, che le acquistò tramite il suo maggiordomo, altro omonimo del M., di cui probabilmente era avo paterno. La posizione raggiunta a Catania dalla famiglia, denominata all’inizio del XIV secolo «de domino Massaro», risentì della sconfitta degli Alagona. Nel 1395 le furono sequestrati da Martino I d’Aragona gli immobili della Fiera, per la partecipazione alla ribellione alagonese. Dopo una prima composizione col vescovo Del Pozzo, nel gennaio 1398 Blasco ottenne anche da Bonifacio IX, tramite l’arcivescovo di Messina Filippo Crispo, la restituzione delle case concesse ai suoi progenitori, devolute alla mensa episcopale per il mancato pagamento dei canoni enfiteutici.
Come monaco benedettino nel monastero della cattedrale di Catania il M. ottenne, il 18 ag. 1418 dalla città di Catania, un sussidio di 36 onze, da pagarsi a partire dal 1° settembre per i sei anni successivi, in rate di 6 onze l’anno, perché potesse in decretis studere, a Padova, Bologna o in qualunque altra università.
Il 15 ott. 1418 i giurati cittadini avevano inoltre chiesto al vescovo di concedere un sussidio annuo sia a lui, sia a Nicolò Massari, anch’egli confratello nel monastero (i due si ripromettevano di studiare diritto canonico) in aggiunta alle 10 onze della loro provvisione annua come monaci della cattedrale. Il 4 apr. 1419 i giurati ripeterono la richiesta al vescovo, solo a suo favore. Tra la fine dell’anno e l’inizio del 1420 chiesero anche al re Alfonso V di fornirgli un sostegno economico, sulle entrate del Regno siciliano, perché «scientiam canonum adipiscat», al cui studio il M. era «aptus ac bene dispositus», giacché il padre Blasco non aveva i mezzi per sostenerlo pienamente. Il 24 ott. 1420, quando il vicario episcopale catanese dispose il pagamento delle 10 onze di salarium consuetum, il M. era studente in iure canonico a Padova, dove col sussidio della città siciliana studiava negli stessi anni un altro benedettino catanese, Giovanni De Primis. Andò quindi a Siena, dove ancora un benedettino catanese, Nicolò Tudisco, insegnava. Si ritiene perciò che il M. sia stato suo allievo, ma non ne fu, come si è creduto, il diretto successore nell’insegnamento del diritto canonico.
A Siena rimase a lungo, dedicandosi anche allo studio delle lettere. Nel 1425 fu nominato dal vescovo Stefano Aliotti vicario generale in spiritualibus et temporalibus della diocesi di Volterra, incarico che mantenne almeno fino al 1428. Per potere andare a ricevere il dottorato, il 22 ott. 1426 dovette chiedere il salvacondotto ai Senesi, i quali erano in contrasto col vescovo di Volterra per questioni di giurisdizione e avevano vietato l’accesso in città anche ai suoi familiares. Con l’occasione fu pure incaricato da Aliotti di adoperarsi per una riconciliazione con Siena.
Divenuto nel 1426 decretorum doctor, fu inutilmente raccomandato il 7 genn. 1430 dalla città di Catania a papa Martino V, perché lo nominasse nella diocesi abate del monastero benedettino di S. Filippo d’Argirò, congiunto al monastero messinese di S. Maria La Latina. Non avendo ottenuto l’importante abbazia, nel novembre 1432 ebbe nello Studio senese l’incarico annuale di lettore «Sexti et Clementinarum». Nel 1433 il M. sembra essere tornato a Catania, dove condivise col fratello Antonio l’incarico di sacrista della cattedrale (il 25 maggio di quell’anno ricevette in restituzione cinque libri dal prete Nicolò Rizari, ma potrebbe trattarsi invece del suo nipote omonimo).
Utilizzando probabilmente informazioni attinte alla Curia – della quale fece parte Aliotti e presso la quale egli stesso potrebbe essersi trovato, prima del 26 giugno 1434 – tramite Luca de Grifo cui scrisse, informò i suoi concittadini che il re Alfonso V aveva ottenuto da Eugenio IV l’istituzione del primo Studio generale in Sicilia. Il 12 febbr. 1435 il M. fu nominato, per qualche mese, rettore della casa della Sapienza di Siena, incarico che già il 1° novembre non ricopriva più. Probabilmente aveva lasciato Siena, dove non insegnò negli anni successivi.
Il 24 nov. 1435 è documentata la sua presenza a Catania come sacrista della cattedrale. Il ritorno nella sua città, dove il 1° giugno 1443 gli fu affidato dal viceré un giudizio d’appello, sembra in rapporto con il precedente interessamento per l’istituzione dello Studio, nel quale fu il primo chiamato a insegnare diritto canonico, per nomina del viceré López Ximen de Urrea il 30 ag. 1445.
Ancora a Catania il 20 apr. 1448, quando ricevette 3 onze dal tesoriere, non era più in Sicilia a fine giugno, essendo stato inviato ambasciatore dai giurati catanesi al re Alfonso, al nuovo papa Niccolò V e al Collegio cardinalizio, insieme con il popolano Angelo Campochiaro, per trattare le questioni sorte dalla rimozione del vescovo Giovanni Pesce e dall’affidamento della diocesi al cardinale Giovanni De Primis. Era latore di un memoriale ostile al primo e con il quale la città chiedeva la rapida immissione del cardinale nel possesso dell’episcopato, ma anche la soluzione di un problema che interessava lo Studio catanese: l’utilizzazione per il suo finanziamento dei proventi della dogana. Il 23 nov. 1449 era di nuovo a Catania, presente nel palazzo episcopale al conferimento della prima laurea, come uno dei quattro testimoni convocati per la stesura dell’atto notarile.
Il 19 nov. 1452 l’ambasciatore catanese Maciotta Cortisi chiese al re Alfonso che ordinasse al vescovo Guglielmo Bellomo di riaccogliere il M. nel monastero della cattedrale di S. Agata, in quanto «anticu monacu et povirissimu» di quella chiesa, dalla quale era «statu di fora longu tempu» per «studiari e legiri in li Studii generali», e di dargli il «salariu» come agli altri monaci della cattedrale. Poiché si trattava di un dottore «notabili» in diritto canonico, ormai vecchio, la città chiedeva inoltre, con il placet regio, che ottenesse «lu iudicatu dila appellacioni dili causi episcopali» (Sabbadini, 1898, p. 77). Forse il M. era stato ulteriormente coinvolto nei contrasti per l’episcopato, che durarono anche dopo la morte, nel gennaio 1449, del De Primis.
Il 19 giugno 1455 si decretò che fosse uno dei sei dottori, ai quali fu limitato l’insegnamento nello Studio catanese per il 1455-56, affiancato da Nicola Pinna come lettore di diritto canonico con un salario di 12 onze, incarico rinnovato il 14 ag. 1456 per un anno. Il 16 sett. 1460 era ammalato e in miseria, tanto che la città di Catania chiese a re Giovanni d’Aragona la concessione al M. di 50 fiorini l’anno sulle entrate dello Studio, anche nel caso che non potesse più insegnare, in considerazione che si trattava di un «famosus doctor», il quale insegnava «continue» nello Studio catanese e aveva insegnato anche negli altri Studi generali d’Italia.
Nell’aprile 1476 il M. era già morto e molti anni prima aveva donato il suo «studiu furnitu di singulari libri» (ibid., p. 101) a un nipote omonimo, anch’egli ecclesiastico e povero, figlio di un fratello, al quale non è possibile stabilire se debbano essere riferite alcune delle vicende attribuitegli.
Fonti e Bibl.: A. Giuffrida, Il cartulario della famiglia Alagona di Sicilia, Palermo 1978, pp. 45-47, 49, 78, 100; Il tabulario del monastero S. Benedetto di Catania, a cura di M.L. Gangemi, Palermo 1999, pp. 176, 200 s., 214, 429; R. Sabbadini, Storia documentata della R. Università di Catania, Catania 1898, pp. 9, 15, 31, 39, 52-56, 58, 60, 68, 71-77, 80 s., 101; Id., Spigolature di letteratura siciliana nel sec. XV. Studenti e professori, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, IV (1907), pp. 116 s.; M. Catalano Tirrito, Storia documentata della R. Università di Catania. L’Università di Catania nel secolo XV. Appendice, Catania 1913, pp. 21, 32 s., 57-61, 67 s.; Storia della Università di Catania…, Catania 1934, pp. 7, 10, 40, 43, 65 s., 93; L. Genuardi, Canonisti siciliani del sec. XV, in Studi in onore di F. Scaduto, I, Firenze 1936, p. 430; F. Marletta, Notizie di dottori siciliani: G. M., in Boll. stor. catanese, VI-VII (1942-43), pp. 140-152; A. Romano, «Legum doctores» e cultura giuridica nella Sicilia aragonese, Milano 1984, pp. 66, 91, 184-186, 193; P. Sardina, Classi sociali e resistenza anticatalana a Catania alla fine del XIV secolo, in Mediterraneo medievale. Scritti in onore di F. Giunta, III, Soveria Mannelli 1989, p. 1129; A. Longhitano, Pietro Geremia riformatore. La società, le istituzioni e lo Studium nella Catania del ’400, in La memoria ritrovata. Pietro Geremia e le carte della storia, a cura di F. Migliorino - L. Giordano, Catania 2006, p. 219.