COCCONATO, Giovanni Matteo
Di antica e potente famiglia, ramo separato dei Radicati di Brozolo, nacque presso Cocconato intorno all'anno 1520 da Giovanni Battista. Entrato al servizio di Carlo III di Savoia a Vercelli, di qui egli venne inviato a Crescentino come commissario di guerra: dello svolgimento di tale sua attività ci sono rimaste numerose lettere per gli anni dal 1552 al 1558. Nel 1553 il C., ritornato a Vercelli, colse la sua prima occasione di mettersi in luce presso il nuovo duca Emanuele Filiberto, recandosi durante l'occupazione francese della città, insieme con il presidente Dal Pozzo, a Casale presso don Ferrante Gonzaga, per sollecitare l'invio di soccorsi. La buona opinione del nuovo duca sul C. venne del resto confermata poco dopo, quando durante il soggiorno a Londra, tra la fine del 1554 e l'inizio del 1555, lo nominò residente straordinario presso la corte inglese, nel febbraio del 1555, per prendere accordi con il nuovo alleato sulla difesa della Valle d'Aosta, minacciata dall'esercito francese. Lo stesso duca ne elogiò l'operato poco tempo dopo, in una lettera del 26 apr. 1555 al suo luogotenente generale in Piemonte, il conte Amedeo Valperga di Masino, presso il quale il C. si recava per riprendere il suo ufficio di commissario di guerra. E l'anno dopo infatti lo ritroviamo deputato dallo stesso conte di Masino a prendere possesso del castello di Arborio, espugnato il 3 febbr. 1556 dal governatore di Novara Gerolamo Sacco. Il castello venne occupato il 19 dello stesso mese dal C. che vi nominò governatore Antonio di Caresana, dopo aver preso possesso anche dei vicini castelli di Ghislarengo, Gattinara e Leuta. Due mesi dopo il C. è a Vercelli, occupata dalle milizie imperiali e piemontesi, ma minacciata da vicino dall'esercito francese.
Già nel corso degli anni precedenti erano stati numerosi i tentativi francesi per impadronirsi della città con la forza o tramite congiure interne. Nella primavera del 1556, si ebbe il tentativo più serio, culminato nella congiura organizzata dalla famiglia dei Gallier di Bressieu, tesa a favorire la caduta della città in mano francese. Ma nel maggio dello stesso anno alcuni informatori piemontesi riferirono la trama principale della congiura al C. il quale a sua volta, convocato d'urgenza un consiglio di guerra, ne informò il conte di Masino, il marchese di Pescara e il presidente Dal Pozzo. Una volta repressa la congiura, il merito della sua scoperta venne attribuito interamente al C. nelle lettere del conte di Masino ad Emanuele Filiberto, il quale a sua volta scrisse direttamente al C. il suo apprezzamento, ordinando che gli venisse attribuita parte del patrimonio confiscato alla famiglia dei Gallier di Brissieu.
Nei due anni seguenti il C. continuò nel suo ufficio di commissario di guerra, operando in varie province del Piemonte, ma risiedendo ora a Vercelli, ora a Biella, ora a Crescentino. Scriveva regolarmente al duca di Savoia "capitano generale di S. M. Cesarea in Fiandra", informandolo minutamente di tutte le posizioni francesi e imperiali nel paese, dello stato delle piazzeforti e dei presidi, delle necessità dei viveri e delle munizioni delle truppe piemontesi nei vari castelli ancora occupati. La sua perfetta conoscenza della situazione militare in Piemonte fu quindi alla base della sua chiamata presso Emanuele Filiberto, nel gennaio del 1559, in Fiandra e poi a Parigi. Nominato commissario generale di guerra per il Piemonte, il 31 maggio 1559, il C. riceveva da Bruxelles le prime istruzioni autografe del duca per sovraintendere all'esecuzione dei capitoli della pace concernenti lo sgombero delle truppe francesi dal paese.
La restituzione delle piazzeforti occupate dai Francesi in tutto il territorio soggetto al duca di Savoia fu uno dei capitoli più controversi della pace di Cateau-Cambrésis, e la sua esecuzione subì continui rinvii e ritardi per la cattiva volontà dimostrata non tanto dalla corte di Francia, quanto dai suoi governatori e luogotenenti generali in Piemonte: il maresciallo di Brissac, il governatore Bordillon e il Birago. In realtà i capitoli della pace erano molto chiari e prevedevano sia la restituzione delle piazze di Asti e Santhià tenute dagli Spagnoli, sia quelle di Torino, Chivasso, Villanova d'Asti, Chieri e Pinerolo tenute dai Francesi, con la conservazione delle opere di fortificazione e della artiglieria. Sin dall'inizio della sua missione il C., incaricato di impedire la demolizione delle fortezze, di accelerarne il previsto sgombero e di impedire la riscossione di ogni ulteriore imposta da parte del governatore francese, si trovò di fronte il deciso atteggiamento del maresciallo di Brissac. Questi dapprima sostenne di dover attendere che fosse consumato il previsto matrimonio di Emanuele Filiberto con Margherita di Francia, secondo i capitoli di pace. Quindi affermò che, fino a quando fosse durata l'occupazione dei Francesi, bisognava provvedere al loro mantenimento procurando ogni sei mesi "viveri e provviste a giusto prezzo, permettendone il transito secondo i pedaggi e i diritti consueti". Chiese inoltre che insieme con le città occupate venisse compreso anche il loro mandamento, sicché con Torino, ad esempio, intendeva comprendere anche le Comunità di Verrua, Gassino, Moncalieri, Carignano e Vigone. Questa ultima richiesta venne facilmente respinta dal C., forte di una lettera dello stesso re di Francia, recatagli dal maggiordomo di Emanuele Filiberto, Giovan Battista Cambiano di Ruffia, nella quale il territorio delle piazze occupate era limitato ad un miglio dalle mura.
Nel luglio del 1559 il C., dopo essere stato nominato mastro auditore camerale, si recò, interrottesi le trattative, a Ginevra per lasciarvi alcuni osservatori fidati. Passò quindi a Vercelli dove, nei primi mesi del 1560, ebbe un nuovo incarico di fiducia da Emanuele Filiberto, insieme con il conte di Masino. Il duca infatti, appena tornato in patria, bisognoso di nuovi fondi per le scarse finanze statali, decise di imporre un aumento della gabella del sale, ricorrendo alla convocazione dell'antica Assemblea generale degli stati. Ma, prudentemente, pensò bene di prendere accordi in precedenza con le singole Comunità, nominando due commissari generali, il C. e il conte di Masino, i quali, operando tramite appositi delegati, concordarono un aumento superiore a quello richiesto inizialmente. Sicché nella Assemblea generale degli stati, tenutasi nel giugno dello stesso anno e che fu l'ultima convocata dai duchi di Savoia in Piemonte, tale aumento venne approvato a larga maggioranza. L'incarico tenne tuttavia occupato il C. solo saltuariamente, perché nell'autunno del 1560, pur trattando ancora fino a novembre la ratifica delle decisioni assembleari delle varie città, ricevette nuove istruzioni dal duca per la ripresa delle trattative con la Francia per la restituzione delle città occupate. Il 3 sett. 1560 inoltre venne nominato procuratore generale e speciale, insieme con il conte Ottaviano d'Ozasco, e inviato a Torino.
Le trattative, iniziate con una convenzione stipulata al castello del Valentino fra il governatore Bordillon e gli inviati ducali, furono nuovamente rinviate per la morte di Francesco II, sostenendo la reggente Caterina de' Medici di dover attendere il parere degli Stati generali, pur essendo personalmente favorevole ad una immediata restituzione. Sicché il 26 marzo 1561, il C., ricevute ancora una volta nuove istruzioni particolari da Emanuele Filiberto, partì alla volta di Parigi per sollecitare presso la corte e il Consiglio reale l'immediata restituzione, con la promessa che le piazze sarebbero state tenute da genti fedeli alla Francia. Doveva inoltre trattare la stipulazione di un'alleanza contro Ginevra e quindi trasferirsi a Madrid per richiedere che anche la Spagna restituisse al duca di Savoia le due città ancora occupate. Ma a Parigi il C. ottenne ad entrambe le richieste risposte negative motivate dalla minor età del re e da una ipotetica mediazione del concilio di Trento richiesta per le trattative con i protestanti. E a Madrid la restituzione delle due città venne subordinata alla restituzione di quelle occupate dai Francesi, come previsto del resto dal trattato di pace.
Al suo ritorno in Piemonte il C. trovò la situazione finalmente sbloccata da due importanti avvenimenti: la nascita del principe ereditario Carlo Emanuele, avvenuta il 12 genn. 1562, e l'insurrezione degli ugonotti in Francia, nella primavera dello stesso anno, culminata nella presa di varie province e della città di Lione. Così nell'agosto, a Blois, venne convenuto il definitivo abbandono delle città occupate, che, ritardato ancora una volta dal Bordillon e dal Birago, nonostante l'intervento diretto del cardinale di Lorena a Torino, avvenne solo dietro il pagamento da parte del duca di Savoia di 100.000 scudi d'oro del sole. Dopo un'ultima protesta del C. al Birago, nel dicembre del 1562 veniva infine restituita la stessa cittadella di Torino, ultima piazza ancora occupata. L'anno seguente, in ricompensa dei suoi servizi, il C., che il residente veneto Sigismondo Cavalli affermava essere "uomo dal quale il duca si promette assai, e a ragione, perché è fedele e buon ministro nel suo esercizio", venne nominato "veedore generale di milizia e genti di guerra".
Tale carica, insieme con quella di "contadore generale", rappresentava il vertice dell'amministrazione militare finanziaria. In pratica il "veedore", ufficio di origine spagnola, esercitava le medesime funzioni di un controllore generale delle finanze, limitando tuttavia la sua azione di controllo alle materie militari, in particolare agli uffici del "contadore generale" e del "tesoriere generale di milizia", dei quali esaminava e sindacava gli atti. Era inoltre competente, come si legge nelle stesse istruzioni di Emanuele Filiberto al C. del 1563, a tenere i ruoli degli assenti delle guarnigioni e dei reggimenti; organizzava le riviste e le "mostre", mediante le quali controllava e aggiornava periodicamente tali ruoli; compilava e teneva i bilanci militari annuali. Per tale ufficio era quindi richiesta una specifica preparazione, e una competenza tecnica che il C. aveva acquisito non solo quale commissario di guerra e mastro auditore camerale nella Camera dei conti ma quale coadiutore del "tesoriere generale di Piemonte" e generale delle finanze, il genovese Negrone di Negro, nominato il 20 nov. 1559 da Emanuele Filiberto, il quale aveva voluto mettergli al fianco il C. con funzioni di controllo.
Tuttavia tale importante ufficio venne mantenuto solo per pochi anni. Incerta la data della morte del C.; essa dovette tuttavia avvenire tra il marzo del 1566, data dell'ultima lettera inviatagli da Emanuele Filiberto, e il 20 febbr. 1567, quando Gerolamo Della Rovere venne nominato nuovo "veedore generale", in sostituzione "del fue compianto signor di Cocconato". Lasciò come unico erede, figlio del fratello Giovanni Rietro, il nipote Bonifacio di Cocconato, al quale legò le terre e le proprietà che aveva in Crescentino, compreso il palazzo fattovi costruire nel 1554.
Fonti e Bibl.: Per gli importanti uffici ricoperti e le missioni diplom. svolte numerose sono le fonti dirette che si conservano relative al C., in partic. presso l'Arch. di Stato di Torino. Assai ricca la corrispondenza sia con il duca Emanuele Filiberto sia con i più importanti personaggi dello Stato, dal conte di Masino al Valperga di Rivara, al Provana di Leiny, ai presidenti Dal Pozzo, Ozasco, Favre. Si veda quindi, per i rapporti diretti con Emanuele Filiberto, Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte,Casa Reale,Lettere duchi e sovrani,Emanuele Filiberto, 8 (1555-1566) e Minute lettere Emanuele Filiberto (1555); per le istruzioni del duca al C., Negoziaz. Francia, nn. 2, nn. 2, 3, 5, 7; Negoziaz. Spagna, m. 1, n. 4 e Lettere ministri,Spagna, m. 3 (1561-62). Le lettere del C. al duca e ad altri personaggi del tempo in Lettere particolari, C, m. 87 (1552-1565), in Arch. di Corte,Materie militari,Ufficio generale del soldo, m. 1, nn. 1, 3, le istruzioni del duca al C. quale "veedore Generale". Altre importanti serie, nella Sez. Camerale, art. 981 bis, Scritture per la remissione delle piazze e dello Stato fatta dal re di Francia al duca di Savoia, nn. 9, 12, 13; e art. 669, Lettere missive alla Camera dei Conti, C, sub voce, per l'attività del C. quale mastro auditore camerale. Nell'inventario 595, relativo all'art. 669 bis, appare inoltre un "mazzo di lettere missive al signor Giovanni Matteo dei conti di Cocconato, veedore generale di militia di S. A.", che figura tuttavia mancante. Nella stessa sezione inoltre vedi Patenti Controllo Finanze, 1561, 2º, ff. 3, 30, 37, 38, 48, 88, per alcuni pagamenti di stipendi e, per gli stessi, anche l'art. 168, Tesoreria Generale di Milizia, 1561-1566, con rubriche annuali. Infine nella Sezione Guerra e Marina,Ordini misti, m. 1, Veedoria generale e contadoria generale per la milizia e genti di guerra, con vari ordini del duca al C. durante lo svolgimento di questa sua carica. Brevissimi cenni biografici del C. nel manoscritto V. Del Corno, Tavole genealogiche stor. ... famiglia dei conti Radicati [ms. sec. XIX], conservato presso l'Arch. Radicati di Brozolo, a Brozolo (Torino). Sulla figura e l'opera del C. non esistono studi particolari, ma molte utili indicaz. si possono trarre, specie in riferimento alla sua attività di inviato e negoziatore del duca di Savoia, da opere più generali. In particolare, per il periodo precedente il 1560, alcune notizie importanti in G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo e la prima restaurazione della casa di Savoia, Torino 1884, pp. 34, 154, 161, 230, 232-236, 288, 388-389; Id., Il duca di Savoia Emanuele Filiberto e la corte di Londra negli anni 1554-1555, Genova 1892, pp. 35-40, 64; Id., Il genovese Negrone di Negro ministro di finanze di Emanuele Filiberto duca di Savoia, Firenze 1882, dove si riporta il giudizio del Cavalli, pp. 13, 79-81, 98. Per il periodo seguente vedi E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, II, Firenze 1869, pp. 99-103, 200-215; e R. Quazza, Preponderanza spagnola(1559-1700), Milano 1950, p. 308; Vedi inoltre G. Ottolenghi, Appunti e documenti sulla riforma militare di Emanuele Filiberto, Casale 1892, pp. 30-36; A. Tallone, Parlamento sabaudo, I, Patria cismontana, I, Bologna 1928, pp. CCLXXIII s.; Emanuele Filiberto. Miscellanea, in Bibl. della Soc. stor. subalpina, n. s., XVI (1928), 1, pp. 256 s.; [G. Galli Della Loggia], Cariche del Piemonete e Paesi uniti…, Torino 1798, III, App. VI, p. 38.