MICHELAZZI, Giovanni
– Figlio di Amelia Tincolini, nacque a Roma l’11 luglio 1879. Si trasferì in seguito con la famiglia a Lucca e poi a Firenze, dove nel luglio 1901 conseguì il diploma in architettura seguendo le orme dello zio Pietro Tincolini (Cresti, 1978, p. 265).
Inizialmente collaborò con l’architetto Giovanni Paciarelli per il progetto di un teatro al Cairo. Proseguì la sua attività a Firenze, dove volse il proprio interesse alla costruzione di villini unifamiliari per la media e alta borghesia.
Il primo intervento consistette in aggiunte quantitativamente modeste a un villino fine Ottocento in viale del Poggio imperiale 38 (1902-03). Vi addossò di lato una veranda, cui
fa riscontro un’esedra con fontana, e aggiunse sull’ingresso una pensilina in ferro e vetro, che ridisegna il balcone soprastante. Le eleganti addizioni mostrano il M. aggiornato sulla produzione art nouveau europea; vi si trovano molti dei caratteri distintivi dell’autore, come l’integrazione fluente di ferro, vetro e pietra artificiale, la cura costruttiva, la cornice a tenda delle aperture, i raccordi a «membrana» e altre soluzioni biomorfe. Vi appare infine come reggilampada un drago, sua firma ricorrente. I ferri, di disegno ancora naturalistico, furono realizzati dalle Officine Michelucci di Pistoia, come in molte opere del Michelazzi. Così lo ricorda G. Michelucci: «un gentiluomo con grandi baffi biondi: una persona che aveva viaggiato e letto molto» (Giovanni Michelucci, a cura di F. Borsi, Firenze 1966, p. 29).
Nel 1904 ultimò il villino di viale Michelangiolo 59, demolito nel 1962 per ragioni speculative. La facciata era scandita da tre campate uguali con a destra una quarta, più plastica, estroflessa al piano terra con un’ampia apertura mistilinea, la cui cornice simulava una tenda raccolta ai lati. Nelle sale terrene vi erano dipinti a tempera di Galileo Chini, che collaborò spesso con il Michelazzi.
Nel 1905 iniziò la costruzione della grande villa Ventilari in viale Mazzini, distrutta intorno al 1956, in cui elementi liberty, evidenti nei ferri battuti delle ringhiere e nel trattamento dei soprapporte e finestre, richiamavano l’opera di Ernesto Basile. Sullo scalone interno si apriva una galleria con stucchi dello scultore Angiolo Vannetti, altro assiduo collaboratore del Michelazzi.
Intorno al 1906 iniziò per Ettore Ravazzini il villino in via S. Ammirato 101. La facciata, tripartita da lesene tra le quali archi ribassati accolgono le aperture del piano terra, è animata dalle cornici delle aperture e da fasce di maiolica disegnate dal M. e realizzate da Chini; i pannelli sotto le finestre ripropongono in ceramica il motivo che a viale Michelangiolo era in pietra artificiale. Richiami più diretti all’art nouveau franco-belga, in particolare alla scuola di Nancy, erano presenti nelle soluzioni a membrana della facciata dello scomparso villino Del Beccaro (o «La Prora»), terminato nel 1907 in via Guerrazzi.
Tra il 1907 e il 1909 realizzò due villini limitrofi in via G. Della Bella 9 e 13, rispettivamente per Adolfo e Giulio Lampredi, fratelli costruttori edili. Mentre nel primo villino il M. parte da un disegno tradizionale per poi metterlo in movimento, nel secondo scompaiono quasi del tutto gli elementi costitutivi ordinari e la facciata è percorsa da onde generate dal disegno circolare delle finestre del primo piano, evidenziato da una fascia in ceramica di Chini, che trova riscontro nelle ringhiere dei balconi laterali e, agli angoli del centrale, da ali di draghi su colonne.
Nel 1908-09 il M. avrebbe realizzato l’arredo del caffè Doney in via Tornabuoni (Cresti, 1972, p. 20 n. 3), di cui non si ha documentazione.
Nel 1909 sposò Laura Fieni, di circa dieci anni più giovane: dall’unione nacquero Graziella e Luigi.
Intorno al 1910 progettò le sue opere maggiori, il villino Broggi (poi Caraceni) e la casa-emporio di Borgo Ognissanti.
Il permesso di costruire per conto di Enrico Broggi in via S. Ammirato 99, a sinistra del villino Ravazzini, fu rilasciato il 14 maggio 1910; la costruzione fu terminata nel 1911, come attesta la targa col nome del progettista. «È questo l’unico villino fiorentino, di connotazione liberty, in cui la ricerca compositiva non si risolve soltanto nelle decorazioni esterne, ma si spinge anche alla modellazione spaziale dell’interno» (Cresti, 1998, p. 204). Il primo impatto di quest’architettura, che vive di vedute angolari, è sorprendente, ma si avverte presto il rigore della ricerca che rende ogni parte fluidamente connessa. La pianta è un quadrangolo in cui, nell’angolo sinistro su strada, si innesta una gotica torretta ottagona, che si apre su un percorso diagonale fino alla scala elicoidale centrale, elemento generatore dell’edificio. L’angolo destro invece, smussato al piano terra, si protende al primo in un balcone. Tra i due episodi angolari vi sono linee più distese: il marcapiano sollevato dalla finestra terrena si gonfia in un balconcino, i cui laterali salgono a tripartire un’apertura bordata in ceramica verde a mo’ di tenda raccolta, tra le cose più eleganti del M., e terminano in draghi reggigronda. L’edificio fu disegnato dal M. in ogni dettaglio anche all’interno, dove si conserva parte del mobilio originale. Il felice concorso di competenze artigianali ed artistiche che caratterizza le sue opere trovò qui uno dei momenti più alti: Chini realizzò gli affreschi interni e le ceramiche, la bottega De Matteis le vetrate policrome, Vannetti gli stucchi, le Officine Michelucci i ferri battuti.
La casa-emporio di Borgo Ognissanti 26 fu iniziata nel 1910 per lo scultore fiorentino Ferdinando Vichi (Hanke): probabilmente sull’esempio delle case d’artista di Bruxelles, e si sviluppa su uno stretto lotto per cinque piani. Nella facciata, in pietra artificiale con inserti in ferro, il settore più basso, che comprende piano terra e primo, doveva essere destinato dallo scultore all’esposizione e vendita. Vi si concentrano, anche con funzione di richiamo, gli elementi plastici, ed è concluso da un fregio con mascheroni urlanti dal quale spiccano due mostri reggilampada, tra le ali dei quali sembra colare al centro la cornice che segna il passaggio alla parte superiore, residenziale, ove il M. abitò intorno al 1913. Questa, attraversata da un segmento parabolico elasticamente curvato verso il basso, si conclude in una grande finestra circolare tripartita con cornice a tenda, tra lesene da cui balzano draghi oltre la gronda. L’edificio «segna il punto di maggior livello stilistico della intera opera michelazziana» (Cresti, 1995, p. 194) e vi si ritrovano tutti i motivi caratteristici dell’architetto in una composizione matura, piena di dinamica tensione, come percorsa da cupi presentimenti.
Terminati il villino Broggi e la casa-emporio nel 1911, il M. avvertì l’avvenuto declino della poetica liberty, che nelle opere successive non informa più di sé la composizione e si limita a dettagli decorativi.
Il villino Marzi in viale Michelangiolo 46 (1912-13) ha forme cinquecentesche, e solo nell’abbondante decorazione ceramica e in alcuni dettagli riconduce al liberty; quasi puramente manierista è la palazzina Bini in viale Maconi 25. Immediatamente precedenti la guerra sono la semplice palazzina di via G. Prati 13 (1915) e il villino Galeotti Flori (poi Toccafondi) in via XX Settembre 72, iniziato nel 1914, nella cui facciata il neoromanico convive con decori ancora memori dell’art nouveau.
Dopo aver interrotto l’attività per partecipare alla prima guerra mondiale, al termine della quale fu congedato con il grado di tenente del genio e decorato con la croce di guerra, tornò a lavorare in proprio e presso lo studio dell’ing. Ugo Giovannozzi.
Nel 1919 iniziò il villino Baroncelli in via Duprè 75, con severe linee quattrocentesche ravvivate da inserti ceramici di Chini, e alta torre con loggia e tetto sporgente; la decorazione, conservata anche all’interno e fondata su motivi a spirale, è come rarefatta. La costruzione, firmata e datata 1920, fu fedelmente completata dopo la morte di Michelazzi.
Dopo il rientro dal fronte, i suoi rapporti con la moglie si erano deteriorati e, lasciata la casa coniugale, chiese al tribunale la separazione e l’assegnazione dei figli. Ma nell’udienza del 21 ag. 1920 le sue ragioni non vennero riconosciute: i figli furono affidati alla moglie, e nella notte tra il 21 e il 22 ag. 1920 di quell’anno il M. si uccise sul piazzale del Collegio della Badia Fiesolana, dove intendeva iscrivere il figlio; in tasca gli fu trovata una lettera in cui accusava la moglie di infedeltà.
Quest’ultima, in un lungo scritto pubblicato su Il Nuovo Giornale del 26 agosto, volle allontanare il sospetto di essere stata la causa del tragico gesto, spiegando che il marito «erasi di un tratto totalmente cambiato».
Riconosciuto ormai come il maggiore architetto del liberty fiorentino, la riscoperta e rivalutazione critica della figura del M. è cominciata dagli anni Sessanta del Novecento con l’inizio degli studi sul liberty: mentre ancora era consentita la distruzione di sue opere, si tentava infatti una prima ricostruzione della sua attività (Sanpaolesi; Koenig, 1961). Cresti (1970, 1972, 1978) ha poi approfondito la ricerca riconoscendogli, in base a stringenti confronti stilistici e alla testimonianza della sorella del M. Margherita, la paternità della casa-emporio, pochi anni prima pubblicata come anonima (Meeks; Portoghesi). Ricerche più recenti (Quattrocchi, 1993) hanno aggiunto opere immediatamente precedenti la guerra, quando il M. ripiegò su forme del repertorio eclettico.
Fonti e Bibl.: P. Sanpaolesi, Il «liberty» a Firenze, in Ingegneri architetti, 1961, n. 4, pp. 10-12; G. Orsoni - G. Raimondi - C. Salomoni, Un architetto «liberty» a Firenze, ibid., pp. 15-20; G.K. Koenig, Note su G. M., ibid., nn. 6-7, pp. 26-41; C.L.V. Meeks, Italian architecture 1750-1914, New Haven 1966, p. 416; P. Portoghesi, L’eclettismo a Roma 1870-1922, Roma s.d. [ma 1968], p. 115; G.K. Koenig, Architettura in Toscana 1931-1968, Torino 1968, pp. 8-11, 81; R. Bossaglia, Il liberty in Italia, Milano 1968, pp. 89, 128; C. Cresti, Liberty a Firenze, in Antichità viva, IX (1970), 5, pp. 22-38; M. Bucci, Palazzi di Firenze, Firenze 1971, pp. 37, 126; C. Cresti, Un edificio liberty a Firenze, in Boll. degli ingegneri (Firenze), n. 11, Firenze 1972, pp. 11-20; G. Fanelli, Firenze architettura e città, Firenze 1973, ad ind.; C. Cresti, Firenze 1896-1915: la stagione del liberty, Firenze 1978, pp. 132-136, 142-144, 146-148, 199-202, 276-309 e passim; M. Nicoletti, L’architettura liberty in Italia, Roma-Bari 1978, ad ind.; L. Vinca Masini - G. Cruciani Fabozzi, Firenze, Roma 1981, ad ind.; L. Quattrocchi, L’architettura intima di G. M., in Eupalino, 1985, n. 4, pp. 30-33; G. Gobbi, Itinerari di Firenze moderna, Firenze 1987, ad ind.; C. Cresti, Toscana, in Archivi del liberty italiano: architettura, a cura di R. Bossaglia, Milano 1987, pp. 292-300, 582; M. Bartoletti, Edifici eclettici e liberty a Firenze, Napoli 1988, pp. 39-44; L. Quattrocchi, I luoghi del liberty, Trento 1990, pp. 66-69; L. Vinca Masini, Art nouveau, Firenze 1991, pp. 330-333, 342, 374, 394; L. Quattrocchi, G. M. 1879-1920, Modena 1993; M. Cozzi - G. Carapelli, Edilizia in Toscana nel primo Novecento, Firenze 1993, ad ind.; C. Cresti, Firenze, capitale mancata, Milano 1995, pp. 156-158, 162, 180-197, 207 nn. 55, 73, 86, 210, 213, 228, 302 n. 3; Le età del liberty in Toscana. Atti del Convegno, Viareggio … 1995, a cura di M.A. Giusti, Firenze 1996; G. Fanelli, Riflessione sul liberty tra Toscana ed Europa, ibid., pp. 27-31; M. Cozzi, Firenze e l’arte nuova, ibid., pp. 90-98; M. Dezzi Bardeschi, L’industria artistica del ferro: le Officine Michelucci, ibid., pp. 207, 209-211; L. Capellini - D. Cardini - C. Cresti, Firenze (guide di architettura), Torino 1998, ad ind.; E. Bairati - D. Riva, Il liberty in Italia, Roma-Bari 2001, ad ind.; S. Hanke, Art Nouveau in Florenz: die Casa-Emporio und das Villino Broggi-Caraceni von G. M., in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLVI (2002), pp. 439-489; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, p. 40; Diz. dell’architettura del XX sec., a cura di C. Olmo, IV, Torino-London 2000, pp. 297 s.
M. Petrecca