MINIO, Giovanni (Giovanni da Morrovalle). – Nacque, dopo la metà del secolo XIII, a Morrovalle (attuale provincia di Macerata)
, appartenente alla diocesi metropolita di Fermo e alla custodia francescana di Camerino.
Il suo cognome «Minius», con cui è conosciuto, pare doversi considerare deformazione di un «Minor» aggiunto al nome di battesimo per palesare la scelta religiosa; si ipotizza un suo precoce ingresso non supportato da documenti («a pueritia regulam S. Francisci […] professus», Chacón, II, col. 333) nel romitorio in località Coppo o Fonte dell’Angelo, l’antico insediamento presso Morrovalle, cui rimase sempre legato.
Nulla si sa della sua prima formazione nella scuola conventuale o custodiale e poi presso lo Studium provinciale, ma dovette senza dubbio far mostra di brillanti capacità tanto da venire inviato allo Studium generale di Parigi, dove seguì il curriculum per il baccellierato. Nel 1283 (prima data certa che lo riguarda), insignito del titolo accademico di baccalaureus (senza specificazioni se biblicus o sententiarius, ma i fatti in cui fu implicato lasciano intendere questo secondo grado più elevato), lo si trova tra gli esperti della commissione incaricata di esaminare gli scritti del confratello provenzale Pietro di Giovanni Olivi, caduti in sospetto di eterodossia. La storia personale del M. cominciò allora a intrecciarsi con le più grandi vicende dell’Ordine e con la crisi interna, degenerazione di una lite fra lettori, che ebbe in Olivi sostenitore dell’uso povero dei beni il suo maggiore fautore e nel fenomeno dei beghini e nei fraticelli de paupere vita il suo risvolto esistenziale.
La commissione nominata dal generale Bonagrazia da San Giovanni in Persiceto si componeva di sette teologi dello Studium parigino: quattro magistri (Droco, ministro provinciale di Francia, Giovanni del Galles, Simone di Lens e Arlotto da Prato, futuro ministro generale) e tre baccalaurii (oltre al M., Riccardo di Middleton ed Egidio di Bensa). Il lavoro d’indagine dottrinale, di cui si ha traccia in tre codici (Biblioteca apost. Vaticana, Borgh., 46, 322, 358; cfr. Burr, p. 50), portò nell’ottobre 1283 alla redazione di due documenti: un rotulus, perduto, che raccoglieva estratti oliviani giudicati falsi o eretici o dubbi nel contenuto di fede o pericolosi per la stabilità dell’Ordine o affermati con presunzione o semplicemente rigettati con una croce, e la cosiddetta Lettera dei sette sigilli, poiché gli esaminatori vi apposero ognuno il proprio, con la confutazione di ventidue errori riscontrati (ed. in G. Fussenegger, in Archivum Franciscanum historicum, XLVII [1954], pp. 45-53). Copie di entrambi i documenti furono diffuse capillarmente nei conventi provenzali e gli scritti di Olivi furono confiscati.
L’indagine cui fu sottoposto condusse Olivi, incorso nella censura, a sottomettersi nello stesso 1283 ai contenuti dottrinali della Lettera dei sette sigilli; nel frattempo il M. proseguì a Parigi il curriculum studiorum per addottorarsi in teologia.
Fonti di ambiente dissidente, come il Chronicon di Angelo Clareno (ma cfr. anche Burr, p. 106) riferiscono di un incontro tra i due risalente proprio al 1285: convocato a Parigi dal generale Arlotto da Prato che intendeva udire da lui la sua dottrina sulla natura divina, Olivi con la sua sapienza ispirata avrebbe lasciato senza argomenti di confutazione sia Riccardo di Middleton sia il Minio.
Nel 1288 il M. conseguì la licenza in teologia; dietro pressioni insistenti da parte di papa Niccolò IV (fra Gerolamo d’Ascoli, suo conterraneo) tra il gennaio e il 10 apr. 1289 gli fu infine concessa la licentia regendi in theologica facultate. Le tre sollecitazioni papali datate Rieti, 16 giugno e S. Maria Maggiore, 1° e 31 dic. 1288 (Les registres …, II, nn. 7058, 7195, 7213), oltre alle lodi per la «probitas, l’elegantia morum, il donum scientiae et virtutum» del M., fanno trapelare l’intenzione di affidargli l’insegnamento teologico presso la Curia, cosa che di fatto si verificò. Dopo aver retto a Parigi la cattedra francescana di teologia per l’anno accademico 1289-90 e forse, come ipotizza Glorieux, anche per l’anno successivo, egli fu infatti chiamato da Niccolò IV a ricoprire le funzioni di lector Sacri Palatii, incarico che con tutta probabilità il M. ricoprì continuativamente dal 1291 al 1296, anni durante i quali morì Niccolò IV e dopo la vacanza del soglio pontificio, l’elezione e il «gran rifiuto» di Celestino V, ci fu la contestata ascesa di Bonifacio VIII e si avvicendarono visioni profondamente differenti in merito alla Chiesa e al potere papale. Durante il pontificato di Bonifacio VIII, il M. ottenne la direzione dell’Ordine ed ebbe inizio la sua carriera ecclesiastica. Ostile alle posizioni dei rigoristi, il papa era pesantemente intervenuto sui vertici dell’Ordine minoritico rimuovendo dal generalato Raimondo Gaufridi sostenitore degli zelanti (29 ott. 1295). La sua ingerenza si fece sentire anche al capitolo generale riunito ad Anagni nella pentecoste dell’anno successivo, capitolo da lui presieduto e dal quale con voti unanimi uscì come generale il M., gradito al pontefice. Dal maggio 1296 e per tutto l’anno 1302, il M. fu dunque il quattordicesimo generale dei minori. Ricevuta la porpora cardinalizia alla metà di dicembre 1302, mantenne per volere del pontefice la guida dell’Ordine in qualità di vicario generale fino all’elezione del nuovo ministro Gonsalvo di Spagna, avvenuta al capitolo di Assisi nel 1304.
Nel corso del suo generalato il M. impresse una svolta marcata alla questione oliviana, ancora irrisolta, e alla lacerante frattura in seno ai minori e proprio il M. è indicato dalla storiografia come il diretto responsabile della persecuzione decennale che colpì gli spirituali dal 1299.
In quella data il capitolo generale di Lione condannò gli insegnamenti del defunto Olivi; il M. mandò visitatori in Provenza e ordinò, in una serie di lettere (Ehrle) testimoni dell’inasprimento dei suoi provvedimenti, che il gruppo di Olivi venisse sciolto e i suoi adepti espulsi dalla provincia, che gli scritti del teologo provenzale fossero dapprima sequestrati, pena la scomunica, e poi dati alle fiamme, e che gli ostinati subissero la prigionia. Ai procuratori di Provenza e d’Aragona e a Vital Du Four affidò l’incarico di raccogliere gli atti di sottomissione, rilasciati secondo una codificata formula di abiura.
La dura linea di condotta contro il fronte degli zelanti non significò giustificare la comunità francescana per il lassismo invalso, tantomeno esserne il campione. Al contrario, la storiografia antica espresse il seguente giudizio sul suo generalato: «studuit quam maxime religiosum suum ordinem ad antiquam severiorem disciplinam revocare» (Chacón, II, col. 333), giudizio che è possibile confermare e che ha nella lettera enciclica Inter coelestium insignia, l’ultima del suo generalato indirizzata dal capitolo generale di Genova del 1302, il suo manifesto (Glassberger, pp. 109-111).
Nella lettera vi si legge l’esortazione a recuperare il significato originario della povertà come specifico francescano, con la schietta e rigorosa ingiunzione di abbandonare le abusate pratiche a essa contrarie e perniciose, come la ricerca dei diritti di sepoltura, di rendite sicure e di possessi, pena la scomunica.
La radicale presa di posizione qui espressa fu mitigata due anni più tardi per decisione del capitolo generale. Le due linee direttive del suo generalato, la prima rivolta a ricomporre l’unità, con l’assorbimento o l’eliminazione della frangia estremistica, l’altra interessata al ripristino di una minorità vissuta e non solo professata con un inasprimento della disciplina e misure di riforma, compongono dunque il quadro del suo intento: vivere la povertà di Francesco, ma all’interno dell’Ordine.
Del suo generalato è sempre ricordato con enfasi il fatto che fu lui, nel 1296, ad accogliere nell’Ordine Ludovico d’Angiò, secondogenito di Carlo II re di Napoli, designato dal pontefice alla guida della Chiesa di Tolosa.
In seguito a un voto professato nel corso della prigionia inflittagli dal re Alfonso III d’Aragona, Ludovico aveva deciso che non avrebbe assunto alcuna dignità ecclesiale se non fosse prima entrato nell’Ordine di S. Francesco; fu quindi il M. a raccogliere la sua professione della regola nel convento romano di S. Maria in Aracoeli la vigilia di Natale del 1296 e solo dopo il pontefice, presente alla cerimonia, lo avrebbe investito della dignità episcopale.
Meno attendibile è la notizia che vorrebbe il nome del M. legato a quello di Giotto di Bondone. Secondo Vasari sarebbe stato infatti il M. a chiamare Giotto ad Assisi nel 1296 e a commissionargli il ciclo di affreschi con Storie di s. Francesco che orna la basilica superiore. Ma la datazione del ciclo pittorico non è certa e non c’è unanimità tra gli esperti, e se la presenza di Giotto ad Assisi veniva prima circoscritta al biennio 1296-97, interpretazioni più recenti retrodatano il ciclo al pontificato di Niccolò IV e lo dicono già terminato al 1296: la notizia di Vasari rimarrebbe così infondata.
Nel corso degli anni della sua presenza ai vertici dell’Ordine, il M. svolse anche delicate missioni diplomatiche per conto di Bonifacio VIII. Fra queste si ricorda quella compiuta sul finire del 1297 quando, insieme con il maestro generale dei predicatori, Niccolò di Boccassio (futuro papa con il nome di Benedetto XI), fu inviato a Gand, per sanzionare la pace tra la Francia e l’Inghilterra, alleata quest’ultima con il conte di Fiandra Guido di Dampierre. A causa di un’alleanza matrimoniale malvista da Filippo IV il Bello, la contesa aveva condotto all’incarcerazione del conte Guido e alla guerra fra il sovrano inglese Edoardo I e quello francese; grazie alla mediazione pontificia i delegati dei due sovrani sottoscrissero a Tournai, il 31 genn. 1298, una tregua biennale e affidarono la questione al giudizio della S. Sede. Il felice esito della mediazione, insieme probabilmente con l’impegno profuso contro i rigoristi francescani, gli valse la riconoscenza di Bonifacio VIII che lo elevò al cardinalato nella quinta sessione di promozioni (concistoro del 15 dic. 1302), in seguito alla quale, come si è già detto, il M. mantenne la vicaria dell’Ordine. Sesto porporato minorita, fu nominato cardinale vescovo e assegnato alla diocesi suburbicaria di Porto e Santa Rufina succedendo anche in questa veste a Matteo d’Acquasparta titolare di quella chiesa dal 1291. Nel 1303 partecipò al conclave che elesse Benedetto XI, ottenendo egli stesso ben dieci voti; nel 1304-05 fu membro del collegio di diciannove cardinali che, a Perugia, faticosamente elesse Clemente V; lo stesso M., su proposta di Napoleone Orsini, fu tra i papabili, ma nella seduta del Natale 1304 non si trovò accordo sulla sua candidatura.
Nel settembre 1307, alla fine del capitolo generale di Tolosa, il ministro generale Gonsalvo chiese al pontefice un nuovo protettore e la scelta di Clemente V ricadde sul M., che da allora fece parte della cerchia papale avignonese. In Curia, con tale ruolo, continuò ad avere influenza sulla direzione dell’Ordine e ad avversare gli zelanti, impedendo che le loro richieste e mozioni giungessero al papa. Partecipò all’importante concilio di Vienne del 1311-12, prendendo forse parte alla redazione della bolla Exivi de paradiso, che contiene l’interpretazione autentica della regola, o alla costituzione Fidei Catholicae fundamento in cui si trova la definitiva condanna degli scritti oliviani (entrambe emanate il 6 maggio 1312).
Nel corso del concilio si registrarono numerose proteste alla veemente istanza di Filippo IV di radiare dalla serie dei pontefici il defunto Bonifacio VIII, in quanto illegittimo ed eretico. Tra le voci a sostegno di quest’ultimo si levò anche quella del M., fedele alla memoria di colui cui doveva la sua carriera (cfr. J. Coste).
Il M. morì ad Avignone nel 1312 e fu sepolto nella locale chiesa francescana.
Opere. Oltre alla citata e preziosa epistola enciclica sulla povertà Inter coelestium insignia (1302), del M. rimane, perlopiù manoscritta, un’abbondante produzione teologica, risalente soprattutto al periodo parigino: dodici quaestiones disputatae, di cui tre edite (Longpré, pp. 486-492) e un quodlibet. Longpré ritiene opera del M. un commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo contenuto in un manoscritto parigino (Parigi, Bibliothèque nationale, Manuscrits latins, 16407, attribuzione non accolta da Lottin e Doucet). Una Oratio de potestate Romani pontificis pro Bonifacio VIII defensione (1307), che si inserisce nel fortunato genere de potestate papae, è ricordata da Sbaraglia (p. 104).
Una tela che lo ritrae è attualmente conservata nel Museo pinacoteca di palazzo Lazzarini a Morrovalle.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, I, Firenze 1550, p. 141; A. Clareno, Chronicon seu Historia septem tribulationum …, a cura di F. Ehrle, in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte, II (1886), pp. 295 s.; F. Ehrle, Des Ordensprocurators Raymund von Fronsac Actensammlung zur Geschichte der Spiritualen, ibid., III (1887), pp. 15-17; N. Glassberger, Chronica, Ad Claras Aquas 1887, pp. 101, 104, 107, 109-113, 120; Les registres de Nicolas IV …, a cura di M.E. Langlois, II, 5, Paris 1892, pp. 952, 975 s.; II, 8, ibid. 1893, p. 980; Chronica XXIV generalium Ordinis minorum, Ad Claras Aquas 1897, pp. 432 s., 452-454; Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, I, Ad Claras Aquas, 1906, pp. 235, 313, 338, 345, 512 s.; Mariano da Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Archivum Franciscanum historicum, II (1909), pp. 467, 472, 635; Nicolaus Minorita: Cronica …, a cura di G. Gál - D. Flood, New York 1996, pp. 48-51, 81; A. Chacón, Vitae, et res gestae pontificum Romanorum et S. R. E. cardinalium …, II, Romae 1630, coll. 333 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 139 n. 47; E. Marchetti, Il card. G. M., in L’Italia francescana, I (1926), pp. 102-104; L. Wadding, Annales minorum, Ad Claras Aquas 1931, V, 1276-1300, pp. 134, 156, 176, 391 s., 446; VI, 1301-1322, pp. 44, 100, 220, 224; P. Glorieux, D’Alexandre de Hales à Pierre Auriol. La suite des maîtres franciscains de Paris au XIIIe siècle, in Archivum Franciscanum historicum, XXVI (1933), pp. 266, 277, 281; E. Longpré, L’oeuvre scolastique du cardinal Jean de Murro, O.F.M. († 1312), in Mélanges Auguste Pelzer, Louvain 1947, pp. 467-492; A. Talamonti, Cronistoria dei frati minori della provincia lauretana delle Marche. Monografie dei conventi, IV, Sassoferrato 1948, p. 286; O. Lottin, Le commentaire sur les Sentences de Jean de Murro est-il trouvé?, in Revue d’histoire ecclésiastique, XLIV (1949), pp. 153-172; V. Doucet, Commentaires sur les Sentences. Supplément au répertoire de m. Frédéric Stegmüller, in Archivum Franciscanum historicum, XLVII (1954), pp. 136-139; G. Fornaseri, Il conclave perugino del 1304-1305, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X (1956), pp. 321 n., 329 s., 332; U. Betti, I cardinali dell’Ordine dei frati minori, Roma 1963, pp. 31 s.; R. Ritzler, I cardinali e i papi dei frati minori conventuali, in Miscellanea francescana, LXXI (1971), pp. 20-22; Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l’évolution des frères mineurs au XIIIe siècle, Roma 1982, pp. 353, 365, 375 s., 382, 403, 428, 430, 445, 452-454, 534, 557, 634, 639; D. Burr, Olivi e la povertà francescana. Le origini della controversia sull’usus pauper, Milano 1992, pp. 89, 106, 113, 117, 120, 123, 126-130, 138, 141 n., 142, 158; M.D. Lambert, Povertà francescana, Milano 1995, pp. 164-166, 170 s., 173, 189 s.; Boniface VIII en procès, a cura di J. Coste, Roma 1995, pp. 204, 763, 770; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1906, p. 145; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum s. Francisci, II, Romae 1921, p. 104; Hierarchia catholica, I, pp. 13, 36; Dizionario storico-biografico dei Marchigiani, a cura di G.M. Claudi - L. Catri, I, Ancona 1992, p. 294.
A. Emili