MINOTTO, Giovanni
– Nacque a Venezia il 13 ott. 1803, da Pietro e da Laura Papafava.
Il ramo paterno della famiglia apparteneva al patriziato veneziano prima ancora della serrata del Maggior Consiglio. All’anzianità del lignaggio non corrispondeva una situazione economica adeguata sia per la generale crisi che all’epoca aveva investito la maggior parte delle famiglie veneziane sia per l’infausto esito di alcune iniziative economiche del padre.
Dopo una breve esperienza scolastica nelle scuole pubbliche, dove effettuò prevalentemente studi umanistici, il M. si dedicò privatamente, da autodidatta, agli studi di fisica e di meccanica applicata. I primi risultati di questo suo impegno furono alcuni brevetti: nel 1826 ottenne un privilegio per l’utilizzo dei vapori prodotti dalla distillazione dell’acquavite come forza motrice. Tale dispositivo trovò qualche impiego nella triturazione di vegetali usati per conciare le pelli e nella macinazione del gesso. L’approfondimento di tali studi lo condusse, nel 1829, a chiedere un altro brevetto per otto diverse invenzioni che migliorassero le prestazioni della macchina a vapore, confermato anche in seguito dai brevetti ottenuti nel 1838 (con un dispositivo ritenuto capace di riutilizzare tutto il calore somministrato alla macchina a vapore), e nel 1844, per un nuovo propulsore per le navi, rimasto peraltro coperto dal segreto.
La competenza man mano acquisita consentì al M., nel 1830, di trovare un impiego stabile nella edizione del Nuovo Dizionario universale tecnologico promossa dall’editore veneziano G. Antonelli, mediante la traduzione del Dictionnaire pubblicato da L.-S. Lenormand (I-LVI, Venezia 1830-56), escludendo dal proprio impegno le voci relative alla chimica e alla matematica. A questo periodo appartiene anche la sua cooptazione nell’Accademia di Arezzo.
Il rapporto quotidiano con i trattati di tecnologia fece maturare nel M. l’interesse per l’attività pubblicistica: nel 1833, per conto dell’editore P. Lampato, assunse la responsabilità di redigere un periodico, il Giornale di belle arti e tecnologia, con l’obiettivo di mostrare i vantaggi e i progressi delle arti applicate e combattere i pregiudizi nocivi al progresso dell’industria.
Il Giornale ospita sintesi di memorie apparse in altri periodici e un notiziario di invenzioni, scoperte e varietà, con sporadici interventi di altri collaboratori, fra cui F. Gera e G. Giulj. La maggior parte degli articoli era tuttavia diretta a illustrare proposte di modifica o di perfezionamento di procedure o dispositivi esistenti immaginati dal M.: tra questi viene spesso ricordato il suo tentativo di dotare il teatro La Fenice di Venezia di un sistema di illuminazione a gas che, sperimentato probabilmente durante un viaggio d’istruzione a Parigi e provato il 26 dic. 1833, non ebbe esito positivo.
Nel 1838 venne cooptato come socio corrispondente nell’Ateneo veneto, dove poi fu, per quattro anni, segretario per le scienze. Nello stesso anno, dopo un lungo periodo di abbandono, veniva rifondata l’altra istituzione culturale veneziana, l’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e il M. – fin dalla fase istruttoria inserito tra i possibili candidati – ne divenne dapprima socio corrispondente, quindi membro effettivo con pensione nella terza tornata di nomine (3 giugno 1843). Fin dall’inizio fece parte delle commissioni per la biblioteca e per il gabinetto tecnologico, adempiendo poi con regolarità al compito di esaminare e selezionare gli oggetti d’industria che concorrevano ai premi assegnati, con cadenza biennale, in occasione del genetliaco dell’imperatore. Tra i mandati conferiti ai membri era anche quello di redigere periodicamente saggi da leggersi nelle adunanze o da inserirsi negli Atti dell’Istituto, impegno che assolse quasi ogni anno sin dal primo volume.
Oltre alle numerose note su questioni di ingegneria, meritano rilievo quelle dedicate alla fotografia, cui, non appena si diffusero, tramite Fr. Arago, i risultati di L. Daguerre, aveva dedicato una importante voce nel Supplimento del 1839 al Dizionario di G. Antonelli. Oltre a procedere ad alcune sperimentazioni, la sua opera divulgativa si realizzò con interventi nella Gazzetta di Venezia e con articoli relativi all’utilizzo di metodi fotografici, nonché mediante considerazioni sulla costruzione di un dispositivo per la riproduzione manuale di immagini: la camera lucida.
Risale a questo periodo anche un importante contributo al dibattito sul rifornimento idrico di Venezia. Fino ad allora la città si era avvalsa di pozzi alimentati dall’acqua piovana e da trasporto di acqua dolce dalla Terraferma. La mancata manutenzione di tali cisterne, l’aumento demografico e un’epidemia di colera verificatasi nel 1835-36 avevano indotto le autorità a cercare altre soluzioni o nella costruzione di un acquedotto che convogliasse le acque del Sile o nella perforazione di pozzi artesiani, una tecnologia relativamente recente. La presentazione del progetto dell’acquedotto da parte dell’ingegnere francese G. Grimaud de Caux fu per il M. l’occasione di condurre un’istruttoria approfondita in cinque ampi e dettagliati interventi che trovarono spazio nel quotidiano veneziano (gennaio-febbraio 1844). Le sue obiezioni all’iniziativa furono molteplici: la valutazione delle necessità era ritenuta errata per eccesso; il progetto gli appariva tecnicamente difettoso e troppo costoso; l’investimento necessario infine era ad alto rischio. Temeva inoltre che tale intervento avrebbe indotto a trascurare le tradizionali cisterne, esponendo la città a gravi rischi in caso di blocco militare. Rispetto poi alla soluzione avanzata da Grimaud, una conduttura da farsi interrata in laguna, riteneva preferibile avvalersi del ponte ferroviario appena costruito. In ogni caso la soluzione più vantaggiosa era nei pozzi artesiani. Tale posizione, che vedeva consenzienti altri colleghi dell’Istituto veneto, in particolare L. Pasini e G. Meneghini, oltre alle autorità militari, concorse indubbiamente alla scelta in tal senso dell’amministrazione municipale, nonostante la presenza di pareri contrari, specie da parte di chimici.
Il M. partecipò ad alcuni congressi degli scienziati italiani e fu vicepresidente della sezione di fisica al IX congresso, che si tenne a Venezia nel 1847.
L’adesione agli ideali risorgimentali, alimentata anche dall’amicizia con D. Manin fin dai tempi della giovinezza ed espressa più volte in forma esplicita nei suoi scritti, condusse il M. all’impegno politico diretto nelle agitazioni del 1848. Eletto rappresentante all’Assemblea permanente, ne divenne vicepresidente ricoprendo più volte il ruolo di presidente. In tale veste toccò a lui proporre il celebre ordine del giorno del 2 apr. 1849 che impegnava Venezia alla resistenza «ad ogni costo», nonostante la sconfitta subita dalle truppe piemontesi a Novara, e il 6 agosto fu ancora lui a proporre i pieni poteri a Manin per la trattativa di resa con le truppe austriache. Oltre agli impegni più direttamente politici, il M. venne investito di diversi incarichi tecnici: l’ispettorato sopra la Manifattura dei tabacchi, la gestione, insieme con il farmacista E. Dal Ceré, degli improvvisati impianti per la produzione di nitrato potassico (componente della polvere da sparo), l’elaborazione di proposte per il rifornimento di legname e per la riduzione del consumo; fu lui infine, quando ormai l’assedio austriaco aveva ridotto alla fame la popolazione veneziana, a redigere la relazione sulla situazione alimentare della città, letta all’Assemblea il 3 luglio, un mese e mezzo prima della capitolazione. Dopo la resa della Repubblica (28 ag. 1949) le autorità austriache lo inserirono nell’elenco dei 40 veneziani proscritti dai territori dell’Impero, cosicché il M. si vide costretto a trasferirsi con la famiglia a Torino.
Durante i primi tempi dell’esilio provvide ai bisogni della vita quotidiana mantenendo il rapporto con l’editore Antonelli, iniziando la collaborazione all’Enciclopedia popolare di G. Pomba e poi a quella di G. Boccardo e scrivendo con scadenza mensile articoli per la Gazzetta uffiziale.
A Torino, dove fu presidente anche di una società scientifica, aveva l’appoggio di P. Paleocapa, ministro dei Lavori pubblici dal 1849 al 1852 con i governi D’Azeglio e Cavour, e soprattutto di G. Bonelli, inventore di dispositivi elettromagnetici e molto attivo nell’assistenza agli esiliati provenienti dalle località della penisola dove si erano verificati i moti risorgimentali. Era quella l’epoca in cui gli Stati italiani sviluppavano, spesso in parallelo alla struttura ferroviaria, il servizio telegrafico di Stato cosicché, quando Bonelli ne fu nominato direttore nel 1853, il M. ne divenne il vice. Ciò lo indusse a rinunciare alla collaborazione con l’editore veneziano, sebbene ne ricavasse un compenso superiore alla retribuzione dell’impiego statale; si trattava però di un lavoro più sicuro e con favorevoli prospettive future.
La migliorata situazione economica gli consentì di riprendere i suoi studi: appartengono al periodo torinese infatti i suoi maggiori risultati scientifici, relativi a un particolare tipo di ingranaggio e a un perfezionamento della pila Daniell.
Nel primo caso, alle ruote dentate tradizionali il M. sostituì un accoppiamento a maschio e femmina: il bordo di una ruota sagomato a forma di cuneo troncato veniva inserito in una cavità di forma corrispondente ricavata nel bordo dell’altra ruota, e l’attrito sviluppato tra le due superfici a contatto era sufficiente, data la rigidità del montaggio, a trasmettere con efficacia il movimento. Rispetto alle ruote dentate l’ingranaggio a cuneo presentava diversi vantaggi: una maggiore semplicità e velocità di fabbricazione; un minor peso delle ruote; una migliore uniformità di movimento e tolleranza ai cambiamenti di velocità, a scosse e blocchi improvvisi e una superiore facilità di innesto e disinnesto. Se inizialmente la sperimentazione condotta a Parigi non fu confortante, tale ingranaggio acquistò poi «sicurezza e ampiezza di applicazione, grazie ai reiterati esperimenti condotti in Inghilterra, Francia e Italia».
Un successo maggiore incontrò l’altro suo perfezionamento. Il ruolo nell’amministrazione dei Telegrafi mise il M. a confronto con le esigenze di una tecnologia di recente introduzione. A monte dei problemi della produzione, trasmissione e ricezione del segnale vi era l’esigenza di disporre di una pila a corrente costante, stabile a circuito chiuso e aperto, durevole nel tempo, priva di vapori nocivi, il più possibile semplice ed economica. Di tali caratteristiche era dotata la pila Daniell a rame e zinco, introdotta nel 1836 e largamente impiegata in telegrafia. Nella prima versione essa era costituita da un bicchiere con al fondo un disco di rame, immerso in una soluzione del relativo solfato e collegato all’esterno mediante un filo isolato. Nel bicchiere era introdotto un vaso di maiolica poroso, contenente acqua nella quale pescava l’elettrodo di zinco. La modifica proposta dal M. prevedeva di coprire il disco di rame sul fondo del bicchiere con solfato di rame accuratamente polverizzato, dello spessore di circa 1 cm. Il montaggio proseguiva coprendo il sale con un disco di tela e con uno strato di sabbia – silicea o quarzosa, priva di sostanze attaccabili dall’acido solforico e in particolare di ferro e calce – su cui appoggiava un disco di zinco anch’esso collegato all’esterno con un filo isolato.
In una prima fase la pila venne adottata su larga scala in Italia (con oltre 3000 esemplari nel Meridione), in tutto il Portogallo, con meno diffusi impieghi in Spagna, Francia e Belgio, dove era ancora in uso nel 1872.
Per tale efficace risultato il M. ottenne numerosi riconoscimenti: nel 1860 fu nominato direttore di divisione al ministero dei Lavori pubblici, venendo altresì accolto nel Regio Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e decorato dell’Ordine leopoldino dal governo belga; nel 1865 venne delegato a rappresentare l’Italia nella riunione internazionale telegrafica di Parigi e per breve tempo sostituì C. Matteucci nel ruolo di consigliere scientifico dell’amministrazione. Dopo l’unificazione del Veneto con l’Italia e il suo ritorno a Venezia, il M. ricoprì il ruolo di ispettore capo dirigente del compartimento telegrafico, venendo altresì eletto nel Consiglio provinciale.
Nel 1866 fu infine riammesso nell’Istituto veneto, dove riprese la sua attività scientifica, recuperando altresì il ruolo di socio effettivo dell’Ateneo veneto di cui, nel 1868, fu eletto presidente.
Il M. morì a Venezia l’8 febbr. 1869.
In considerazione della prolungata e intensa attività pubblicistica del M., non è possibile in questa sede dare un esauriente elenco delle sue opere; per una prima rassegna si rinvia alla rispettiva voce in Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (CLIO) e a S.R. Minich, Commemorazione funebre di G. M., in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, XXVII (1869), pp. 1610-1625. Numerosi gli articoli, contrassegnati G**M, nel Giornale di tecnologia, Venezia 1833-34. Tra i frequenti interventi apparsi nella Gazzetta privilegiata di Venezia si vedano almeno: Prospettive e ritratti fotografici del professore Giacinto Toblini, 12 nov. 1840; Scoperte ed invenzioni. Modo di avere varie copie di una pittura, 20 febbr. 1841; Facile est inventis addere, 27 marzo 1841; Tecnologia, 8 apr. 1841; Scienze fisiche. Di alcune modificazioni al metodo fotografico daguerriano, 31 giugno 1842; Scoperte ed invenzioni. Pittura a stampa, 24 ag. 1842. Si vedano inoltre le Considerazioni sull’approvigionamento d’acqua di Venezia e sul progetto del signor Grimaud de Caux, in Gazzetta di Venezia, rispettivamente 3, 12 e 19 genn. 1844, 19 e 21 febbr. 1844.
Fonti e Bibl.: Il citato testo di S.R. Minich ha costituito spesso l’unica fonte per le ricostruzioni biografiche successive. Per altre notizie si rinvia a: Arch. di Stato di Venezia, Governo, Seconda dominazione, b. LIV, f. 1/1 (6562); Governo provvisorio, 1848-49, bb. 100, prot. 9145; 101, prot. 9340; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss., Manin Pellegrini, b. 25 (lettere del 25 sett. 1849, 18 marzo 1851, 18 febbr. 1853); Collezione delle leggi, istruzioni e disposizioni di massima pubblicate o diramate nelle provincie venete in oggetti di amministrazione politica, camerale e giudiciaria, XVI (1827), p. 164; XX (1829), pp. 88 s.; XXIX (1838), p. 263; XXXV (1844), p. 222; Raccolta per ordine cronologico di tutti gli atti, decreti, nomine ecc. del governo provvisorio di Venezia, nonché scritti, avvisi, desideri ecc. di cittadini, I, Venezia 1848, parte 1ª, pp. 40-52 e passim; Nuovo Dizionario universale tecnologico o d’arti e mestieri, a cura di L.-S. Lenormand, I-LVI, Venezia 1830-56 (e relativo Supplimento); A. Naccari, Delle coppie elettriche e delle principali loro applicazioni, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, XXXI (1872-73), pp. 75-167, 193-290, 537-593; G. Boccardo, Nuova Enciclopedia italiana, I-XXXI, Torino 1875-96, ad voces: Cuneo (ingranaggio a); M., G.; Pile elettriche; D. Minotto, Chronik der Familie Minotto. Beiträge zur Staats- und Kulturgeschichte Venedig, I-III, Berlin 1901-06, I, p. 351; G. Gullino, L’Istituto veneto di scienze lettere ed arti. Dalla rifondazione alla seconda guerra mondiale (1838-1946), Venezia 1996, ad ind.; G. Paoloni, Telegrafi e telecomunicazioni dagli Stati preunitari al Regno d’Italia, in Le Poste in Italia, I, Alle origini del servizio pubblico 1861-1889, a cura di G. Paoloni, Roma-Bari 2005, pp. 100, 120; M. Scomazzon, La storia della fotografia attraverso gli «Atti» dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti tra il 1840 e il 1880, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CLXV (2006-07), pp. 107-135; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Torino 2007, pp. 139, 357 s., 375, 405.
A. Bassani