MORIGGIA, Giovanni
MORIGGIA, Giovanni. – Nacque a Caravaggio il 29 febbraio 1796, da Giacomo e da Margherita Cattaneo.
Frequentò il ginnasio a Bergamo e successivamente fu allievo di Giuseppe Diotti all’Accademia di belle arti Carrara, dove è attestata la sua presenza a partire dal 1813. In questa sede visse col suo maestro fino al 1821 e fu anche insignito nel 1816 del primo premio di pittura (Tirloni, 1996, pp. 9-11). Rivelò già nel 1817 buone doti di ritrattista, a giudicare dal ritratto diGiuseppe Sigismondo Ala Ponzone (disegno; Cremona, Museo civico Ala Ponzone) e dall’Autoritratto del 1821 (olio; Caravaggio, collezione privata, ripr. in Tirloni, 1996, p. 39). Nella prima metà degli anni Venti soggiornò a Roma dove godette della protezione del cardinale bergamasco Angelo Mai e studiò all’Accademia di S. Luca.
Ritornò successivamente a Caravaggio (Tirloni, 1996, pp. 13, 18; Lissoni, 2007, p. 146) e nel 1829 realizzò il ritratto diGiulietta Fusi Manusardi (Caravaggio, palazzo del Comune) in cui riesce a rendere magistralmente l’effetto di trasparenza del tulle bianco che, in forte contrasto con il vestito, i capelli e lo sfondo, aumenta la luminosità del volto della donna.
Anche a Cremona, dove soggiornò a partire dalla seconda metà degli anni Venti e fino al 1834 (Valagussa, 2007, p. 144), eseguì vari lavori: per il principe Giovanni Vidoni, per il marchese Giuseppe Sigismondo Ala Ponzone e per altre famiglie della città. In questi anni si recò anche a Parma e a Parigi (Tirloni, 1996, pp. 13- 16). Ai primi anni Trenta è databile il ritratto di Fanny Ferrari (ripr. ibid., p. 59).
In questo quadro l’influenza del neoclassicismo ingresiano, probabilmente già osservato in opere romane o francesi, si manifesta nella predilezione per le linee nette del disegno e per una tavolozza priva di forti stacchi cromatici a eccezione del vestito. L’attenzione dell’artista è tutta concentrata sulla rappresentazione idillica dell’adolescente, intenta ad accarezzare il pelo morbido del piccolo camoscio che tiene in grembo, sapientemente reso vaporoso attraverso delicate sfumature cromatiche e sottili pennellate chiare su scuro.
Intorno al 1830 realizzò il Martirio dei ss. Fermo e Rustico (ripr. ibid., pp. 48 s.) per la parrocchiale di Caravaggio.
È un’opera in cui il pittore sembra maggiormente attento alla ricostruzione storica dell’evento, trascurandone l’aspetto drammatico (Tirloni, 1996, p. 119 s.); principali fonti d’ispirazione appaiono gli affreschi raffaelleschi delle Logge vaticane e la statuaria classica per la disposizione spaziale e per le pose delle figure (Lissoni, 2007, pp. 151, 153). Abitudine di Moriggia era quella di riprodurre le fisionomie dei suoi amici nei volti dei personaggi storici rappresentati: in quest’opera ritrasse se stesso dietro alla sua fidanzata, scomparsa prematuramente negli anni del suo soggiorno a Roma.
Nel 1831 realizzò S. Agostino che disputa con gli eretici (ripr. in Tirloni, 1996, pp. 50 s.), per la chiesa di S. Giovanni di Caravaggio.
Affiliato a una cellula della Giovine Italia di Mazzini dal 1832, mentre era impegnato ad affrescare i pennacchi della cupola della parrocchiale di S. Agata a Cremona (raffiguranti i profeti Daniele e Ezechiele), nel 1834 venne accusato di cospirazione e fu costretto a espatriare in Svizzera per evitare la prigione (Tadini, 1998, pp. 68-71). La sua presenza a Basilea è attestata con certezza dal 1835. Qui riuscì a creare una scuola di disegno e pittura, ma, in seguito all’amnistia concessa ai profughi politici da Ferdinando I d’Austria nel 1838, ricevette il permesso di rientrare in Italia, sottoposto però a garanzie e a misure di sorveglianza (ibid., pp. 71-73). Dimorò soprattutto a Milano, ma si recava frequentemente nella sua città natale per varie commissioni, mantenendo anche la sua attività a Basilea, città in cui risulta presente fino al 1840 (ibid., pp. 71-73) e dove si conservano varie opere in collezioni pubbliche e private (Tirloni, 1996, pp. 123-127).
Nel 1843 partecipò all’Esposizione dell’Accademia di Brera a Milano, dove, l’anno seguente, presentò Susanna e i vecchioni (ripr. ibid., p. 82); anche in quest’opera punto fondamentale di riferimento appare la pittura di Ingres. Trova inoltre riscontro, in questa tela, la consuetudine, diffusa in Accademia, dell’uso di una lacca rossa, stesa nella fase finale, per dare maggiore brillantezza al dipinto (Pacia, 1998, pp. 52 s.).
Fra il 1845 e il 1847 si dedicò agli affreschi per i pennacchi della cupola nel santuario di S. Maria del Fonte di Caravaggio raffiguranti Ruth (la Temperanza), Abigail (la Prudenza), Ester (la Giustizia) e Giuditta (la Fortezza).
Nel 1848 partecipò alle Cinque giornate di Milano: elargì per la causa nazionale una notevole somma di denaro e dipinse Il sacrifizio della patria è consumato (Caravaggio, palazzo del Comune), databile intorno al 1850 e dedicato alla sconfitta lombarda (Lissoni, 2007, p. 155). A differenza di quanto sostiene parte della critica (Pacia, 1998, p. 58), in questo lavoro appare ancora ben apprezzabile, con l’eccezione di poche zone pittoriche, la preminenza dei valori disegnativi su quelli cromatici sulla scia della scuola ingresiana aggiornata attraverso la pittura contemporanea dell’Accademia.
Nel 1851, per motivi politici, fu rinchiuso alcuni giorni nel carcere di S. Margherita a Milano. Era sospettoso verso la politica di alleanze di Casa Savoia e di Cavour, condividendone però lo scopo finale (Tadini, 1998, p. 74). Negli anni Cinquanta continuò ad affrescare il santuario di Caravaggio. Le vicende preparatorie di queste pitture sono documentate da una serie di cartoni e disegni (Caravaggio, Comune; Treviglio, collezione Bedolini), che, pur in precarie condizioni, rivelano sicurezza disegnativa, la predilezione per le linee rette e un uso del tratteggio parallelo o incrociato per definire ombre e chiaro-scuri, senza ricorrere allo sfumino come si vede invece in molti lavori del suo maestro Diotti (Pacia, 1998, p. 31).
Nel 1862, anno in cui terminò gli affreschi con episodi della Vita della Vergine nei lunettoni della navata maggiore del santuario di S. Maria del Fonte, dipinse il ritratto di Carlo Annibale Anelli (Milano, Raccolte dell’Ospedale maggiore), dove il soggetto, ben caratterizzato nella sua fisionomia, appare in posa un po’ rigida accanto ai volumi dei suoi autori preferiti, Dante e Gioberti (Bacuzzi). Negli anni Sessanta, è ipotizzabile che la sua produzione fosse notevolmente diminuita, anche a causa di un calo della vista. Dal 1871 trascorse la vita a Caravaggio, vittima di una paralisi progressiva.
Morì a Caravaggio il 21 giugno 1878.
Fonti e Bibl.: L. Anelli, G. M., Treviglio 1879; Cronistoria del santuario della B. V. della Fontana di Caravaggio dalle origini fino ai nostri giorni, Treviglio 1908, pp. 35-38; P. Tirloni, G. M. pittore, Bergamo 1996 (con bibl. e documenti); G. M. L’uomo e l’artista. Atti della Giornata di studi…, Caravaggio… 1996, Calvenzano 1998; A. Pacia, G. M. Cartoni e dipinti nelle collezioni del comune di Caravaggio, ibid., pp. 27-66; F. Tadini, G. M. uomo del Risorgimento, ibid., pp. 67-78; F. Rovati, G. M., scheda OA, numero catal. generale (NCT) assente, Sistema informativo dei beni culturali della Regione Lombardia (SIRBeC), 2001 (aggiornamento 2010): ‹http://www. lombardiabeniculturali. it/opere-arte/schede-complete/ P0120-00205/› (con bibl.); P. Bacuzzi, G. M., scheda OA, NCT 03/01940496, SIRBeC, 2005 (aggiornamento 2010): ‹http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede-complete/3n070-00107/›; G. Valagussa, Itinerari della pittura dell’Ottocento, in Pittura a Caravaggio. Avvenimenti figurativi in una terra di confine, a cura di S. Muzzin - A. Civai, Caravaggio 2007, pp. 140-145; A. Pacia, G. M., ibid., pp. 147-149; E. Lissoni, G. M., ibid., pp. 146 s., 149-155 (con bibl.); A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori…, IV, p. 2138.