MORO, Giovanni
– Del ramo detto di S. Ternita, nacque a Venezia il 23 marzo 1542, secondogenito di Domenico di Gabriele (26 agosto 1513 - 1° agosto 1576) e Dandola Barbarigo di Marco Antonio.
L’avo paterno, Gabriele, capitano di Vicenza, aveva sposato Lucia di Girolamo Donà, celebre umanista, duca di Candia, senatore e più volte consigliere di Venezia, ambasciatore a papa Giulio II per il formale ritiro della scomunica inflitta alla Repubblica al tempo della Lega di Cambrai. Tale importante parentela e una discreta situazione patrimoniale, avevano facilitato il cursus honorum del padre di Moro, trasferitosi nella più centrale parrocchia di S. Maria Formosa, facendogli ottenere la veste senatoria e gli incarichi di consigliere di Venezia e savio del Consiglio. Ai suoi tre figli diede un’istruzione verosimilmente accurata, alla femmina anche una conveniente dote. Il primogenito Antonio (13 febbraio 1541 - 29 ottobre 1606) sposò Marina Bernardo di Francesco (7 giugno 1565) ed ebbe discendenza, si occupò della gestione del patrimonio familiare e riuscì più volte senatore, consigliere di Venezia e savio del Consiglio. Lucia fu accasata con Alvise Bernardo di Sebastiano (6 novembre 1559) e, in seconde nozze (14 luglio 1561), con Almorò Tiepolo di Stefano, al quale partorì numerosa prole.
Provata la sua età (23 novembre 1562), Moro concorse alla balla d’oro, ma non venne mai estratto. Dovette quindi attendere di essere maggiorenne per esercitare il saviato agli Ordini (18 settembre 1568 e 17 settembre 1569), inizio di una carriera politica orientata, compiuta la podestaria di Vicenza (30 settembre 1571 - 2 gennaio 1573), alla diplomazia. Tre volte savio di Terraferma (29 giugno 1576, 22 giugno 1577, 30 giugno 1578), fece esperienza in Collegio, l’organo deputato alle udienze degli ambasciatori esteri a Venezia. Negli stessi anni gli nacque un figlio naturale, Giovanni Domenico, da lui formalmente riconosciuto e anzi cresciuto in famiglia – viste le sue perduranti assenze – dal fratello Antonio: tale pubblico riconoscimento consentì al nipote, Giovanni Francesco, di ottenere la cittadinanza originaria, necessaria per entrare nella burocrazia statale (22 dicembre 1629).
Impratichitosi dei maneggi della politica veneziana con due altri saviati di Terraferma (29 giugno 1580 e 29 settembre 1581), fu designato ambasciatore ordinario in Francia (8 novembre 1581), in luogo di Lorenzo Priuli di Giovanni, ormai a fine mandato. Testò il 18 febbraio 1582 (disponendo un legato annuo vitalizio di 400 ducati a Giovanni Domenico) non appena il Senato gli decretò la commissione (10 febbraio 1582). Gli si ordinava di riconfermare l’alleanza, in funzione antispagnola, con Enrico III, il quale, sotto l’influenza della regina madre Caterina de’ Medici, regnava su un paese dove la pace era molto fragile e le tensioni tra ugonotti e cattolici appena sopite. Allo stesso tempo gli si imponeva di tenere informato di ogni cosa il nunzio pontificio, soprattutto di non concedere «che potesse obligar la signoria nostra ad alcuna cosa» (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreta, reg. 93, c. 55v). Partì ai primi di marzo del 1582 e giunto, via Milano e Lione, a Parigi, dovette negoziare (1° giugno 1582), con Priuli, la restituzione del prestito di 100.000 scudi concesso dalla Repubblica al precedessore di Enrico III, Carlo IX. In realtà né Moro, né i successori riuscirono ad avere il pagamento dei due terzi che rimanevano della somma, ma dilazioni e rateizzazioni vennero gestite dal Senato come strumento di pressione diplomatica su Enrico III, a seconda delle occorrenze politiche. Moro tenne informati Collegio e Pregadi su quanto avveniva alla corte, sulla difficile situazione del paese, sugli sviluppi della guerra nelle Fiandre, sui fatti di Inghilterra, sulle questioni della Chiesa gallicana. Andò spesso in udienza dalla regina madre, con la quale ebbe buona sintonia. I frequenti dispacci – ne scriveva fino a quattro nello stesso giorno – poterono essere letti in Collegio come avvisi, oltre a essere informative di un ambasciatore. Il Senato lo elogiò più volte per tale suo operato e lo stesso re ne apprezzò le capacità e anzi informò direttamente il nuovo ambasciatore, Giovanni Dolfin di Giuseppe, del titolo di cavaliere appena conferito al Moro (24 novembre 1584).
Tale nomina lo raggiunse ormai a Venezia dove, in sua assenza, gli era stato «riservato il loco» come savio di Terraferma (30 giugno 1584, ma entrò il 31 dicembre) e senatore della Zonta (30 settembre 1584). Fu quindi senatore ordinario (29 agosto 1585) e, di nuovo, savio di Terraferma (31 dicembre 1586). Designato bailo a Costantinopoli il 30 marzo 1587, ricevette la commissione il 28 agosto. Questi cinque mesi risultarono utili per meglio coordinare l’azione diplomatica di Moro con quella militare del provveditore d’Armata appena eletto (29 giugno 1587), Nicolò Surian di Agostino, e rendere così più efficaci i rimedi per arginare le scorrerie degli uscocchi che, spesso con la connivenza dei sangiacchi turchi, danneggiavano sensibilmente il commercio marittimo veneziano. Raggiunta Ragusa (23 settembre 1587), prese la strada di terra per Costantinopoli dove fu ricevuto dal bailo in carica Lorenzo Bernardo di Sebastiano (9 novembre 1587). Evitò la grave crisi causata dal sequestro del galeone Santorini, il cui equipaggio era stato trucidato dai turchi poco oltre Cattaro, con la diplomazia e l’invio in loco del suo esperto dragomanno, Giovanni Brutti (19 gennaio 1588). Tenne al corrente il Senato sull’evoluzione della campagna militare turca contro i persiani, nonché del riarmo e dei movimenti della flotta. Trattò per la questione dei confini tra gli ottomani e i veneziani nei pressi di Sebenico e Traù, facendo desistere i primi dalla costruzione di nuove fortezze vicino a Macarsca (Makarska) e Novigrad. Difese, quasi sempre con successo, gli interessi dei mercanti veneziani violati dagli uscocchi.
Passate le consegne al successore, Girolamo Lippomano di Giovanni, e letta la relazione in Senato, riprese il saviato di Terraferma (30 dicembre 1589 e 29 settembre 1590) e fu senatore (24 agosto 1590), poco prima di essere designato ambasciatore alla corte di Roma (20 novembre 1590). Avuta la commissione (4 maggio 1591), giunse a Roma, ricevuto dall’ambasciatore uscente, Alberto Badoer di Angelo (11 giugno 1591). Presentatosi a Gregorio XIV (22 giugno 1591), affrontò la delicata questione della detenzione dei rei che sfuggivano agli arresti rifugiandosi nelle chiese (16 agosto 1591), e perorò, come raccomandatogli dal Senato, le ragioni delle proprietà dei veneziani nelle terre di Romagna. Dopo la morte di Gregorio XIV, e durante i pontificati di Innocenzo IX e Clemente VIII, molto dovette agli uffici dei due cardinali veneziani, Agostino Valier e Giovanni Francesco Morosini. Gestì i contrasti – si era arrivati alla scomunica – tra il conte di Sebenico, Giovanni Battista Michiel di Pietro Antonio, e il vescovo di quel luogo, Vincenzo Bassi; si mosse con abilità nella spinosa questione dei fuorusciti, i condannati nelle terre pontificie poi arruolati nelle milizie veneziane per combattere gli uscocchi; fu utile mediatore, servendosi delle sue entrature nella diplomazia francese, nelle dispute tra papato e Chiesa gallicana. La salute non lo sorresse. Costretto a letto da una febbre continua e molesta che gli impediva di scrivere, delegò gli affari al segretario Giovanni Francesco Marchesini (22 aprile 1592).
Morì a Roma il 26 aprile 1592, avuti gli oli santi dal cardinale Valier, regista delle solenni esequie (16 maggio 1592) e accreditato autore dell’iscrizione posta sulla tomba nella chiesa di S. Marco in Roma.
Le relazioni di Moro sono edite in Relazioni degli ambasciatori veneti..., a cura di L. Firpo, V, Francia, Torino 1978, p. XVII; XIII, Costantinopoli, ibid. 1984, pp. 1-58 (trascrizione parziale).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cittadinanze originarie, b. 370/85, passim; Libro d’oro, Nascite, reg. 52, c. 201r; Capi Consiglio di dieci, Lettere ambasciatori, Costantinopoli, b. 6/95-107; Francia, b. 11/161; Roma, b. 27/133-135; Lettere ai rettori, Vicenza, b. 224/168-170, 170 bis, 171 bis, 172; Inquisitori di Stato, b. 148/4; Miscellanea Codici, I, Storia veneta, 21: M.A. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, V, c. 278; Notarile, Atti, regg. 11888, c. 392v; 11889, cc. 384rv; Testamenti, b. 1191/377; Segretario alle voci, Pregadi, regg. 4, cc. 12, 14 s., 27; 5, cc. 9-13, 55, 109; 6, cc. 3, 9 s., 59; Maggior Consiglio, reg. 5, c. 147; Senato, Costantinopoli, Deliberazioni, regg. 7, cc. 62v, 63r, 72rv, 80rv, 81r, 83v, 85r, 87rv, 96r, 102rv, 106r, 108rv, 111r, 114rv, 121rv, cc. 124rv, 131rv, 133rv, 139rv, 142r, 145r, 160r, 162r, 167v, 175v, 182rv, 191rv, 204rv, 208r, 210v; 8, cc. 9r, 29v, 31v; Dispacci, Ambasciatore Costantinopoli, f. 26, cc. 62rv, 114rv, 161rv, 192rv, 251rv, 290rv, 311rv, 412v, 413rv; Dispacci, Ambasciatore Francia, ff. 12 (escluso dalla consultazione); 13, nn. 1-83, 86 s., 89-91; Dispacci, Ambasciatore Roma, ff. 27, nn. 36-38, 43, 49-55, 57, 72, 74-96; 28, nn. 1-12, 15-18, 22-24, 27, 29-32; 29, nn. 1-30; Roma Ordinaria, Deliberazioni, regg. 8, cc. 114r, 117rv, 131v, 134v, 138rv, 141rv, 144rv, 146v, 151rv, 153r, 159v, 161v, 171v; 9, cc. 1rv; Secreti, Deliberazioni, regg. 83, cc. 55rv, 121rv, 129v, 132rv, 135rv; 84, cc. 3rv, 21rv, 40v, 49v, 58rv, 62rv, 67rv, 75r, 81rv, 129v; 85, c. 10r; Venezia, Bibl. del civico Museo Correr, Mss. Cicogna, 2502: M. Barbaro, Discendenze patrizie, V, cc. 171rv; Mss. P.D., Malvezzi, 42: Relazioni di vari ambasciatori, cc. 1rv: G. Moro, Relazione della Porta Ottomana... [inedita da c. 39v]; Mss. P.D., Venier: Consegli..., 62, c. 39r; 63, sub 29 giugno 1576, 22 giugno 1577, 30 giugno 1578, 29 giugno 1580; 64, sub 29 settembre, 9 novembre 1581, 30 giugno, 30 settembre, 31 dicembre 1584, 29 agosto 1585; 65, sub 31 dicembre 1586, 30 marzo 1587, 30 dicembre 1589, 24 agosto, 29 settembre, 20 novembre 1590; 66, sub 28 giugno 1591; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII.17 (= 8306): G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, III, cc. 138r, 140r; cl. VII.830 (= 8909): Consegli..., c. 69r; F. Sansovino, Venetia città nobilissima..., a cura di G. Stringa, Venezia 1603, p. 150v; A. Morosini, Historia veneta, in Degl’istorici delle cose veneziane..., VI, Venezia 1719, p. 675; VII, ibid. 1720, pp. 142, 150; G. Giurato, Memorie venete nei monumenti di Roma - Basilica di S. Marco, in Archivio veneto, XXV (1883), pp. 134 s.; A. Rossi, Di una controversia fra la Repubblica di Venezia e Clemente VIII, ibid., n.s., XXXVII (1889), 1, pp. 260, 272 s., 275 s., 286; Calendar of State Papers..., a cura di H.F. Brown, VIII, London 1894, ad ind.; IX, ibid. 1897, pp. 10-12; P. Dengel, Geschichte des palazzo di S. Marco, in Der Palazzo di Venezia in Rom..., Wien 1909, pp. 111 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, X, Roma 1928, p. 557; Dispacci degli ambasciatori veneti..., a cura di R. Morozzo Della Rocca, Roma 1959, p. 57; L. Valensi, Venezia e la Sublime Porta, Bologna 1989, p. 96; I «documenti turchi» dell’Archivio di Stato di Venezia, Roma 1994, pp. 246 s., 252, 256 s.