MORUZZI, Giovanni
– Nacque a Parma il 19 novembre 1904 da Luigi e da Lavinia Ricci.
Si laureò il 15 febbraio 1927 in chimica pura presso la Regia Università di Parma. Nello stesso ateneo il 13 luglio 1928 conseguì la laurea in farmacia e il 12 luglio 1939 quella in medicina e chirurgia, con lode.
Il 1° novembre 1929 ottenne la qualifica di assistente effettivo presso l’Istituto di fisiologia umana dell’Università di Parma, divenendo aiuto il 16 marzo 1932. Il 21 gennaio 1935 fu abilitato alla libera docenza in chimica biologica dalla commissione giudicatrice istituita presso il ministero dell’Educazione nazionale. Dal 1935 al 1937 ebbe l’incarico d’insegnamento di chimica biologica all’Università di Parma.
Il periodo più esaltante dei suoi primi anni di attività scientifica fu quello trascorso nel laboratorio di Richard Kuhn, presso il Kaiser Wilhelm Institute di Heidelberg. Nel proseguo della sua carriera, Moruzzi spesso avrebbe affermato di essere debitore di una vera mentalità scientifica all’organizzazione dello studio e delle ricerche svolte in Germania. Lì, grazie a una borsa di studio della Rockefeller Foundation ottenuta nel 1935, partecipò per un anno alle ricerche sulle lattoflavine, portandovi un contributo assai importante, come testimoniano i lavori cofirmati con Kuhn (fra cui Über die Dissoziationskonstanten der Flavine; pH-Abhängigkeit der Fluorescenz, in Berichte der deutschen chemischen Gesellschaft, 1934, vol. 67, pp. 888-891). In queste ricerche furono definiti i potenziali ossido-riduttivi, gli spettri di assorbimento e altre proprietà molecolari della riboflavina, nella quale Kuhn, che nel 1938 per questi studi fu insignito del premio Nobel, identificò la vitamina B2.
Nel 1936 si trasferì presso la Regia Università di Bologna, nella cui facoltà di medicina e chirurgia, dal 1937 al 1939, fu incaricato dell’insegnamento di chimica biologica.
Il preside della facoltà il 20 maggio 1939 certificò che Moruzzi aveva adempiuto con diligenza e assiduità i suoi doveri didattici e scientifici, con piena soddisfazione della facoltà medica e degli studenti, avendo intrapreso numerose ricerche scientifiche e avendo adeguatamente aiutato e indirizzato in questi studi i diversi allievi. Alla stessa data anche la facoltà medica dell’Università di Parma attestò che Moruzzi aveva dimostrato eminenti qualità didattiche, associate a una solida cultura scientifica, acquistandosi la stima dei colleghi e l’apprezzamento e la simpatia degli studenti: l’efficacia dell’insegnamento risultava dalle numerose iscrizioni al corso e dall’assidua frequenza degli allievi alle sue lezioni. Il 24 maggio 1940 il direttore dell’Istituto di fisiologia della Regia Università di Bologna, Giulio Cesare Pupilli, certificò che Moruzzi, aiuto presso quell’Istituto, aveva proseguito con successo le ricerche da tempo intraprese intorno all’azione del bromo sulla funzione sessuale, sullo sviluppo dell’organismo animale e sul metabolismo basale.
Nel 1940 partecipò al concorso a professore straordinario per ricoprire la cattedra di fisiologia umana dell’Università di Ferrara. Nel 1942 vinse il primo concorso a cattedra bandito in Italia per la chimica biologica e fu chiamato dalla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna. L’Istituto di chimica biologica, che Moruzzi fondò e diresse per 32 anni, appare citato per la prima volta nell’Annuario dell’Università di Bologna del 1942-43, con sede in via San Donato 3. Prese avvio proprio nei momenti più drammatici per l’ateneo bolognese, che aveva subito gravi devastazioni belliche. Tuttavia, con spirito di sacrificio e coraggioso entusiasmo, Moruzzi mantenne viva l’attività scientifica spronando i suoi collaboratori a perseverare nei programmi di studio e di ricerca. Nell’anno accademico 1946-47 l’Istituto fu trasferito nell’edificio di via Irnerio 48, dove è tuttora attivo il Dipartimento di biochimica, intestato a Moruzzi.
Agli inizi degli anni Cinquanta l’interesse scientifico di Moruzzi si polarizzò sulla problematica dei Fattori proteici animali (FPA). Era stato osservato che mantenendo dei ratti a una dieta completa, contenente però come fonte proteica caseina purificata anziché grezza, si aveva un indice di mortalità di circa il 70% dei neonati della prima generazione, che raggiungeva il 100% nella seconda generazione, con la comparsa di necrosi del tessuto epatico e neoplasie. Moruzzi, intuendo che dalla caseina grezza veniva allontanato un fattore diverso da quelli fino allora noti e indicati genericamente come FPA, indirizzò la ricerca verso una sostanza, l’acido orotico, presente nel latte e constatò che l’integrazione della caseina grezza con piccole quantità di questo composto erano sufficienti a impedire la mortalità nei neonati della prima generazione e contestualmente la comparsa delle gravi lesioni epatiche e dei tumori. Alla luce di queste brillanti osservazioni fu quindi possibile definire l’acido orotico quale fattore essenziale per la sopravvivenza, l’accrescimento e la riproduzione degli organismi superiori.
Negli anni successivi avviò nuovi indirizzi di ricerca nel campo della biochimica della nutrizione, studiando in particolare il metabolismo proteico e lipidico con la collaborazione di Romano Viviani, Edoardo Turchetto e Anna Maria Sechi. In questo campo furono riportati risultati assai significativi nello studio della malnutrizione proteica nota come kwashiorkor, dimostrando che la supplementazione della dieta con piccole quantità di acido orotico (1 mg per 100 g di dieta) aveva effetti non solo sull’accrescimento corporeo, ma soprattutto sulla scomparsa della steatosi periportale.
Altri importanti studi, svolti in collaborazione con Mario Marchetti e Viviani, riguardarono l’ormone ipofisario corticotropo (ACTH) e fornirono un contributo assai rilevante alla sua purificazione, alla valutazione della sua attività biologica e alla dimostrazione che la frazione attiva della proteina è un peptide di 24 aminoacidi di peso molecolare 21.000 dalton.
Ma le ricerche che più entusiasmarono e coinvolsero Moruzzi furono quelle sulle poliamine alifatiche naturali, quali la spermina, la spermidina e la putrescina, presenti in tutte le cellule ma di cui non si conosceva il ruolo biologico. Moruzzi, convinto che esse dovessero svolgere un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare, soprattutto nella crescita e nel differenziamento, nel 1960 ne affidò lo studio a Claudio Marcello Caldarera dell’Università di Parma. L’unico liquido biologico nel quale era stata individuata la presenza di poliamine era lo sperma. Gli studi di Caldarera sotto la guida di Moruzzi portarono all’isolamento e alla determinazione delle poliamine nel germe di grano e in alcuni semi di graminacee, dimostrando la presenza di un’elevata quantità di questi composti negli embrioni vegetali. Queste primi risultati consentirono di ottenere un cospicuo finanziamento dal Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti per proseguire nelle ricerche. Nel 1963 un grande risultato fu la dimostrazione che la spermina stimolava la crescita cellulare in espianti di topinambur (Helianthus tuberosus). Moruzzi indirizzò quindi le successive ricerche allo studio dell’embrione di pollo, dimostrando che le fasi iniziali del processo del differenziamento embriogenetico erano caratterizzate da una positiva correlazione nella biosintesi e da accumulo di poliamine e di acidi nucleici DNA ed RNA (Polyamines and nucleic acids during development of the chick embryo, in BiochemicalJournal, 97 [1965], 1, pp. 84-88]. Seguirono numerose e differenziate ricerche a cui collaborò anche Bruno Barbiroli e che riscossero consensi a livello internazionale e furono una delle principali motivazioni dell’assegnazione a Moruzzi del premio Feltrinelli per la Medicina da parte dell’Accademia dei Lincei nel 1969.
Lo studio delle poliamine, cui Moruzzi dedicò gli ultimi venti anni della sua attività scientifica, è tuttora al centro dell’interesse di numerosi suoi allievi. Oggi è noto che queste sostanze, essendo ubiquitarie, possono svolgere differenti ruoli biologici riconducibili non solo alla stimolazione della crescita cellulare, ma anche ad altri processi tra cui, per esempio, il superavvolgimento delle catene del DNA, la modulazione dei canali ionici e, nelle piante, alcune funzioni di tipo ormonale (fitormoni) che ne condizionano lo stato di senescenza.
Nel corso della sua lunga carriera accademica Moruzzi promosse molte collaborazioni con illustri studiosi e ricercatori stranieri, fra i quali Howard Guy Williams-Ashman del Ben May laboratory for cancer research dell’Università di Chicago, James Norman Davidson del Biochemistry department dell’Università di Glasgow, Uriel Bachrach del Biochemistry department of molecular biology della Hadassah Medical school di Gerusalemme, David E. Griffiths del Department of molecular sciences della Warwick University di Coventry, David E. Green dell’Institute for enzyme research di Madison (Wisconsin). Numerose sono state anche le benemerenze scientifiche ricevute, fra cui la nomina ad accademico italiano residente dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna (1951) e il titolo di socio corrispondente dell’Accademia medica di Roma (1972).
Moruzzi riuscì a costruire con grande impegno e dedizione una scuola di allievi che continuano la sua tradizione. Ben venti di loro hanno ottenuto la cattedra di biochimica in diverse università (Urbino, Pisa, Parma, Modena, Università cattolica di Roma, Ancona). Gli si deve anche l’istituzione, nel 1968 nell’Ateneo di Bologna, della prima cattedra italiana di biochimica in una facoltà di medicina veterinaria, che fu tenuta da Romano Viviani.
Morì a Bologna il 10 aprile 1990.
Fonti e Bibl.: Commemorazione di G. M., Bologna 1991; Ricordi degli allievi di G. M. nel Centenario della nascita, 1904-2004, Bologna 2004 (con elenco dei lavori scientifici più rilevanti).