NARDI, Giovanni
– Nacque a Montepulciano attorno al 1585, da Bernardino, di professione medico.
Frequentò la facoltà di arti e medicina dell’Università di Pisa dimorando presso il collegio Ricci. Ebbe tra i suoi maestri Girolamo Mercuriale e Francesco Buonamici (Noctes geniales, 1655, p. 309) e ottenne i gradi il 3 maggio 1607. Esercitò quindi con successo la professione a Firenze e nel 1620 divenne medico di corte.
Scelto dal granduca Ferdinando II come medico personale, con questa funzione lo seguì in numerosi spostamenti, tra cui il viaggio in terra tedesca del 1628 (De igne, 1641, p. 96). Con il suo signore, che all’epoca si prodigava in un’opera di rinnovamento degli studi medici e filosofico-naturali, condivise non solo l’interesse per le scienze, ma anche quello per le antichità. Nella sua dimora presso via dell’Alloro a Firenze allestì, infatti, una collezione antiquaria. La sua attività di medico in ambito cittadino fu intensa, come testimoniano i numerosi resoconti di cure personalmente effettuate che punteggiano le sue opere. Nel giugno 1630 fu chiamato dall’Ufficio di sanità fiorentino per certificare l’incorruttibilità del corpo di Domenica da Paradiso.
La sua produzione fisico-medica fu cospicua. La prima opera, dedicata a Ferdinando II, fu il trattato sul latte e i suoi derivati Lactis physica analisys (Firenze 1634), aspramente criticato da Fortunio Liceti, al quale Nardi rispose con il pungente Apologeticon in Fortunii Liceti Mulctram, vel De duplici calore (ibid. 1638). Nel 1641 pubblicò, sempre a Firenze, il De igne subterraneo physica prolusio, opera di stampo peripatetico che rivela, tuttavia, un interesse per la nuova filosofia naturale e in particolare per la riflessione atomistica. Il trattato, nel quale l’origine dei principali fenomeni geologici è spiegata con un fuoco sotterraneo derivante da varie cause, tra cui il moto degli atomi, suscitò una certa curiosità da parte dell’ormai anziano Galilei (Opere, XVIII, Firenze 1968, p. 316), nonostante le critiche che Nardi gli rivolgeva attorno al tema dell’antiperistasi (De igne, cap. 22, pp. 61-66). L’anno successivo, ancora a Firenze, diede alle stampe il De rore disquisitio physica, dedicato a Vittoria Della Rovere, un erudito trattato su natura, composizione, qualità e funzioni della rugiada, del miele, della manna e di altri alimenti. Del 1640 è invece un’epistola latina sull’opobalsamo indirizzata all’archiatra pontificio Baldo Baldi, che la pubblicò nelle sue Opobalsami orientalis in conficienda theriaca Romae adhibiti medicae propugnationes (Roma 1640; una traduzione della lettera fu edita nello stesso luogo e anno a cura di Francesco Panuzzi). All’uso terapeutico delle piante doveva poi essere dedicato l’inedito manoscritto Erbolaio menzionato da alcuni biografi.
Un posto di rilievo all’interno dell’opera di Nardi è occupato dalla Paraphrastica explanatio del De rerum natura di Lucrezio (Firenze 1647), indirizzata a Massimiliano I elettore di Baviera, in cui al commento del poema lucreziano è affiancata una digressione sulle usanze funerarie del popolo egizio illustrata con immagini di reperti provenienti dalla collezione medicea e da quella di Nardi stesso. L’interesse per Lucrezio, già manifesto nelle precedenti opere e che qui trova la sua massima espressione, e i commenti del testo, che rinviano ai vivaci dibattiti in corso nell’ambiente filosofico-naturale contemporaneo, mostrano come non si possa considerare Nardi un dogmatico aristotelico. Le sue posizioni rinviano piuttosto a quel sincretismo scientifico in cui le concezioni aristoteliche lasciavano spazio alle influenze della nuova filosofia naturale, e dell’atomismo in particolare, che contraddistingueva anche il pensiero di altri medici contemporanei quali Vincenzo Alsario della Croce e Estevão Rodrigues de Castro. All’interno del lungo commento al VI libro, in cui si attarda sulla peste fiorentina del 1630, Nardi dimostra per esempio di conoscere l’interpretazione del concetto lucreziano di semen del medico atomista tedesco Daniel Sennert, che consentiva di superare la spiegazione galenica dell’insorgere e del diffondersi delle malattie contagiose. Anche se il Lucrezio nardiano fu ricordato prevalentemente per le sue tavole in rame, all’epoca della sua pubblicazione ebbe un certo impatto negli ambienti scientifico-filosofici, in particolare nella cerchia degli allievi di Galilei. Si trattava, infatti, della prima edizione integrale del poema di Lucrezio pubblicata in Italia dopo quella aldina del 1515 e i provvedimenti ecclesiastici che, a partire dal sinodo fiorentino del 1517, si erano succeduti con lo scopo di limitarne la diffusione. Dell’interesse suscitato dall’opera di Nardi testimonia un’epistola del 27 aprile 1647, nella quale Evangelista Torricelli informa Vincenzo Renieri della sua pubblicazione, asserendo di aver addirittura assistito alla sua fase finale.
L’ultima fatica di Nardi furono le Noctes geniales, pubblicate postume dal figlio Filippo (Bologna 1655) e dedicate a Carlo de’ Medici. All’interno di quest’opera eterogenea, che inscena dieci riunioni di medici tenute nelle veglie carnevalesche in casa di un tale Eudemo, durante le quali vengono discusse questioni di medicina, chirurgia e fisica, si mescolano teorie di autorità della medicina classica, invettive polemiche contro i contemporanei ed esperienze riconducibili alla pratica medica dell’autore. Molti argomenti rinviano a nozioni su composizione, qualità e uso di alimenti e rimedi su cui Nardi si era già soffermato nelle precedenti opere. Particolarmente significativa è la terza notte, dedicata a un’Apologia de gangraena, nel corso della quale Nardi confuta le teorie sull’argomento di Giuliano Signi e Giovanni Castellini. La quarta notte contiene tra l’altro la dissertazione De rebus nonnullis noviter repertis, in cui si vuole dimostrare come alcune tra le più recenti scoperte della medicina e della fisica fossero in realtà già note agli antichi, e quella Cur glacies levitet in aqua nel corso della quale viene derisa l’opera sui galleggianti di Galileo. La nona notte è invece un sagace dialogo satirico contro il Methodus in pulverem di Marco Cornacchini. Nella decima e ultima sezione dell’opera, interamente consacrata al cuore e alla circolazione del sangue, Nardi confuta le teorie di Thomas Harvey, che afferma di aver incontrato durante un viaggio effettuato a Londra nel 1629. I due medici restarono in contatto fino all’anno della morte di Nardi: tre lettere di Harvey al collega toscano testimoniano uno scambio epistolare intenso e un reciproco interesse per le rispettive opere.
Morì a Firenze nel 1654. Con la moglie Nera e il figlio Ippolito (che, insieme con il fratello Filippo, era divenuto medico) è ritratto nella cappella maggiore della chiesa fiorentina di S. Cecilia, al cui restauro aveva contribuito.
Suscitò giudizi contrastanti tanto tra i suoi contemporanei quanto tra i posteri. Da un lato fu stimato da celebri nomi dell’ambiente scientifico del tempo, come testimoniano i ricchi paratesti delle sue opere e gli epistolari (per esempio con Cassiano Dal Pozzo ed Estevão Rodrigues). Dall’altro lato, fu spesso tacciato di essere un peripatetico pedante e conservatore. Tra i vari detrattori, particolarmente duri furono Tanneguy LeFèvre e Thomas Creech. Infine, le posizioni antigalileiane e le obiezioni mosse al sistema della circolazione sanguigna di Harvey gli valsero le aspre critiche dei posteri.
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