NEVIZZANO, Giovanni
– Nacque a Buttigliera d’Asti alla fine del XV secolo. S’ignora il nome dei genitori; il padre fu giusdicente (Lessona, 1886, p. 20) e la madre era figlia di Goffredo di Montafia («avus maternus», Sylva nuptialis, IV, 111).
Compì studi giuridici nelle Università di Pavia e Padova e fu probabilmente durante tali soggiorni che ebbe occasione di portarsi a Venezia, a Ferrara e a Roma (ibid., V, 59 e IV, 19). Si addottorò in utroque iure a Torino l’8 ottobre 1511. Fu allievo di Francesco Corti il giovane, Giason del Maino e Filippo Decio, autori che egli stesso, riportandone l’opinione nella Sylva (Lessona, 1886, p. 21; Cavina, 1988, passim) e nei Consilia, indica come suoi maestri, e di Tomaso Parpaglia, futuro presidente del Consiglio ducale (Aimerito, 1994, p. 332). In particolare, dedica parole di elogio a Decio, «quem inter omnes jurisconsultos viventes puto primum locum obtinere» (Consilia, 1559, 68, p. 569; per del Maino, p. 32).
Risiedette a Torino, di cui si dice incola (Sylva nuptialis, V in fine), dedito all’insegnamento presso il locale ateneo, nel quale tenne la lettura ordinaria di diritto civile de mane (Consilia, 1559, 1 in fine, p. 9) in data imprecisata e comunque non più almeno dal 1532 (non risulta, infatti, a quella data tra i docenti di cui il Consiglio ducale Thaurini residens stabilisce gli emolumenti annui; T. Vallauri, Storia delle Università del Piemonte, Torino 1845, pp. 135, 137 e Raccolta per ordine di materia delle leggi…, a cura di F.A. Duboin, Torino 1847, XIV, 16, pp. 488-490).
A cavallo tra gli anni Dieci e Venti, s’impegnò nella redazione delle sue opere giuridiche. La più nota, la Sylva nuptialis, è un trattato in forma di quaestio, edito nel 1518 in quattro libri (Asti, F. Silva; Parigi, J. Kerver, 1521; con dedica a Manaud de Martory de Sainte-Colombe, un prelato francese all’epoca segretario di Odet de Foix, visconte di Lautrec e luogotenente di Francesco I nel Milanese). Una seconda redazione, in sei libri, fu elaborata entro la fine del 1522 o i primi mesi del 1523 (Lione, J. Moylin, 1524 e 1526, poi ristampata in numerose edizioni; con dedica a Gabriele Villani da Lodi, dal 1521 cancelliere di Carlo II di Savoia, indirizzata su suggerimento di Achille Allioni, allora eletto al Senato piemontese). Il tema trattato è l’utilità o meno del matrimonio, con una rassegna esaustiva dei fundamenta che sconsigliano di contrarre il vincolo nuziale (libro I), in particolare a determinate categorie di persone (II), o che invece incoraggiano a farlo (III-IV).
L’opera costituisce uno dei principali contributi di matrice giuridica alla querelle des sexes rinascimentale sia per l'argomento sia per il repertorio dei luoghi comuni della misoginia classica e medievale che, insieme con le più aggiornate trattazioni in tema di matrimonio, Nevizzano allega per confermare la 'naturale' inferiorità delle donne e dunque la loro auspicabile subalternità agli uomini, secondo il modello aristotelico di famiglia e di relazione tra i sessi. Infatti, conclude sì a favore del matrimonio, ma consiglia il connubio solo a coloro che, per le loro condizioni personali e di status, possono garantire una corretta gerarchia di rapporti tra gli sposi e soddisfare le esigenze 'pubbliche' di riproduzione della comunità familiare e sociale. Attorno alla quaestio «an sit utile nubere» si raccoglie, comunque, un mosaico ricco e articolato di temi, solo in parte prospettati dall’autore nell’esordio (I, 21): dalla disamina di ambiti significativi della materia giuridica quali per esempio l’adulterio, e le sue conseguenze sul piano sia dei rapporti patrimoniali tra i coniugi sia dello statuto degli eventuali figli, e la dote, alla trattazione sui monitori (libro III), alla riflessione sulle discordie tra fazioni cittadine (partialitates, cfr. IV, 121-126, 152, 174-177).
La Sylva, tuttavia, si presenta anche come un’analisi approfondita dei problemi squisitamente giurisprudenziali della interpretazione. La riflessione prende avvio già in coda al primo libro con una lunga digressione intorno alla definizione e al «modum arguendi in iure» per poi occupare l’intero libro quinto e il sesto (non a caso riediti nel Syntagma communium opinionum sive receptarum u.i. sententiarum, Lione 1608, pp. 99-146 sotto il titolo di De communi opinione). Qui Nevizzano affronta come «debeat se iudex continere in iudicando» e ravvisa il criterio di orientamento e il contenuto stesso del giudizio nella communis opinio (libro V), prospettando la complessità della questione che discende sia dalle diverse fonti in cui la scientia iuris è divulgata sia dal rapporto con la legislazione. L’attenzione per la messa a punto di un sistema di communis opinio si volge quindi verso lo strumentario di cui il giurista deve dotarsi, tanto più se intende esercitare l’attività pratica. Nevizzano dà prova di una notevolissima erudizione, manifestata dalla massa di riferimenti a opere del pensiero classico, della miglior tradizione giuridica e delle correnti più attuali, della letteratura italiana e internazionale. L’attenta repertorizzazione delle fonti lascia ancora aperto il problema di una più puntuale valutazione sia delle scelte effettuate sia della biblioteca cui avrebbe attinto, «curiosa bibliotheca» (cit. in Mombello, 1993, p. 991 n. 5), sua personale ma anche di famiglia come lascerebbe intendere il riferimento ad almeno un’opera letta nell’esemplare posseduto dal padre (Sylva, I, 131).
Nel secondo Cinquecento la Sylva incorse nel vaglio dei censori e fu inclusa nell’Indice preparato da Giovanni Di Dio (De Dei) nel 1576, fu condannata dal maestro del S. Palazzo nel 1584 e annoverata tra le opere da espurgare nell’Indice clementino del 1596. Le ragioni risiedono sia nelle citazioni di autori come Martin Lutero (di cui Nevizzano menziona però solo i sermoni de virtute excommunicationis e de matrimonio, la Compendiosa decem praeceptorum explanatio; il trattato «de modo confitendi» da intendere come la Confitendi ratio del 1520, oltre alle confutazioni antiluterane del domenicano Silvestro Mazzolini) sia nelle critiche ai costumi corrotti del clero e alle ipocrisie della gerarchia ecclesiastica.
L’interesse per la letteratura religiosa è attestato anche dalle Postillae maiores totius anni, che curò in quel torno di anni (s.l. 1517; Lione, J. Moylin alias de Cambray, 1518): si tratta di un repertorio di epistole e vangeli ordinato secondo le ricorrenze dell’anno liturgico e glossato da autori tra i quali Nicolò di Lira, di cui esistevano diverse edizioni anche anonime.
Da giurista, consapevole della difficoltà di padroneggiare le fonti della communis opinio, Nevizzano è attento alla misura e alla consistenza del sapere dottrinale opportuno soprattutto a chi esercita la pratica forense. Oltre alla riflessione condotta nella Sylva, fornì allora uno strumento fondamentale per circoscrivere e selezionare la bibliografia di diritto comune attraverso l’Inventarium librorum in utroque iure hactenus impressorum (1522, accresciuto da Luis Gómez già nel 1525 ed edito come Index librorum omnium qui in utroque iure hinc inde eduntur, Venezia, G. De Gregori; rimaneggiato poi ancora da Johann Fichard e Giovanni Battista Ziletti). Contemporaneamente stese due «quaestiones» esplicative: An oportet habere plures libros e Quomodo posset resecari tanta librorum multitudo (in Elenchus omnium auctorum sive scriptorum qui in iure tam civili quam canonico…, Francoforte sul Meno, P. Schmidt e S. Feyerabend, 1585, rispettivamente pp. 98-101 e 101-103, ma edite nel 1522 in coda all’Inventarium). Nevizzano consiglia, da un lato, di graduare l’accesso alle fonti della communis opinio secondo la maturità e la esperienza del giurista, auspicando giusperiti colti in grado di padroneggiare letture effettivamente compiute, dall’altro presenta una proposta operativa notevolissima. Il sovrano dovrebbe affidare i cinque libri del Corpus iuris civile a dieci dottori che, in quattro anni e per un compenso annuo di 300 scudi ciascuno, apportino tutte le opportune modifiche, correzioni e abrogazioni dell’antico diritto.
Nello stesso torno di anni, elaborò il Summarium decretorum Sabaudie ordinem iudiciarium concernentium… (Asti, G.A. e B. Silva, 1522), nel quale appunto il diritto processuale «è assunto … a criterio di repertorizzazione di provvedimenti legislativi ducali» (Aimerito, 2004, p. 197). Va rimarcato, comunque, che allo stato attuale delle conoscenze Nevizzano non risulta avesse parte nelle iniziative legislative dei sovrani sabaudi, in particolare in quel progetto di una vasta riforma che Carlo II varò nel 1533 e la cui paternità materiale spetterebbe a Gian Francesco Porporato (cfr. Patriarca, 1988). Infine, risalgono al medesimo arco di tempo, le additiones alla Summa di Rolando de’ Passeggeri (Rolandina cum Nevizano…, Torino, A. Ranoto, 1523).
Svolse anche attività consulente. I Consilia sive responsa (editi postumi, Lione, S. Honorati, 1559) raccolgono cento pronunciamenti formulati pro parte o a titolo decisivo, in cui, con stile sobrio e un apparato asciutto di riferimenti dottrinali (così come aveva suggerito nelle due quaestiones sui libri), interviene su vicende generalmente posteriori alla pubblicazione sia della Sylva (ricordata per es. nel cons. 25, n. 19, p. 229) sia delle annotazioni alla Summa rolandina (ibid., cons. 28) e riguardanti controversie di materia feudale, successoria ecc., che riguardano famiglie dell’area dell’Astigiano come gli eredi di Benvenuto Biandrate di S. Giorgio (morto nel 1527). La contea di Asti era stata posta sotto la diretta giurisdizione del parlamento del Delfinato e questo spiega la familiarità di Nevizzano con le decisioni di quella corte (ma nella Sylva sono riportati spesso pure i pronunciamenti del parlamento di Tolosa). Singoli consilia furono pubblicati anche in raccolte collettive sia mentre l’autore era in vita (per es. le Copiosae allegationes in quaestione an princeps possit infeudare oppidum invitis oppidanis…, in A. Bruno, Volumen consiliorum… in materia feudali, Asti, F. Silva, 1518, cc. 19r-27r e ibid. 1540, p. 25), sia successivamente alla morte (per es. i Consilia feudalia, in Consilia de eodem argumento variorum, Lione, eredi di G. Giunti, 1553, p. 13 e poi Venezia, G. Scoto, 1572, n. 34). Curò inoltre il volume di consigli Quod doctores et medici non teneantur ad collectas (Torino, M. Cravotto e F. Robi, 1535).
Si autodefinisce regius consiliarius (Sylva nuptialis, IV, in fine; Lessona, 1886, p. 28), indicazione da intendere probabilmente come l'appartenenza al consiglio regio (o senato regio) di Asti, istituito nel 1503 e composto da un presidente e quattro consiglieri, ma mancano informazioni dettagliate al riguardo. Diversamente da molti giuristi suoi contemporanei e colleghi dell’ateneo piemontese, non risulta che fosse coinvolto negli organici dei supremi consigli e tribunali del ducato sabaudo (G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti…, Torino 1798).
Celibe, ebbe da una concubina – tal Iacobeta – il figlio Francesco, giurista, poeta e soprattutto traduttore.
Morì, forse a Torino, nel 1540 − secondo quanto riferisce Panciroli (1637, p. 332: «ut ex testibus coram me examinatis constat») − e istituì erede il congiunto Giorgio, conte di Montafia e signore di Tiliole (ibid.; Lessona, 1886, p. 24).
Fonti e Bibl.: G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor…, Venezia 1637, p. 332; C. Lessona, La Sylva nuptialis di G. N. giureconsulto astigiano del secolo XVI. Contributo alla storia del diritto italiano, Torino 1886; F. Calasso, Il problema storico del diritto comune, in Introduzione al diritto comune, Milano 1951, p. 85; A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, I, Milano 1982, p. 244; G. Astuti, Legislazione e riforme in Piemonte nei secoli XVI-XVIII (1951), in Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, II, Napoli 1984, pp. 593 s.; P.G. Patriarca, La riforma legislativa di Carlo II di Savoia. Un tentativo di consolidazione agli arbori dello stato moderno. 1533, Torino 1988, ad ind.; M. Cavina, Dottrine giuridiche e strutture sociali padane nella prima età moderna. Carolus Ruinus (1456-1530)…, Milano 1988, ad ind.; C. De Benedetti, Sulla crisi della giustizia sabauda nel secolo XVI. Le proposte di Melchiorre Scaravelli, in Rivista di storia del diritto italiano, LXIII (1990), p. 391; F. Aimerito, Ricerche su Tomaso Parpaglia. Un giurista piemontese agli inizi dell'età moderna, in Rivista di storia del diritto italiano, LXVII (1994), p. 332; Index de livres interdits, a cura di de Bujanda, IX, Index de Rome, 1590, 1593, 1596, Sherbrooke 1994, pp. 616 s., 710; G. Mombello, Reflets de la culture française en langue latine dans l'œuvre d'un juriste astesan: la «Sylva nuptialis» de G. N., in Et c'est la fin pour quoi sommes ensemble. Hommage à Jean Dufournet professeur à la Sorbonne Nouvelle, III, Paris 1993, pp. 991-1008; D. Quaglioni, La cultura giuridico-politica fra Quattro e Cinquecento, in Storia di Torino Einaudi, II, a cura di R. Comba, Torino 1997, p. 636; I. Soffietti - C. Montanari, Il diritto negli stati sabaudi (secc. XV-XIX), Torino 2001, p. 27; I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino 2002, pp. 236, 269 s., 275; G. Marchetto, Il matrimonio tra politica e diritto: la «Sylva nuptialis» di G. N. d’Asti (1518), in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, XXIX (2003), pp. 33-70; Id., Luoghi letterari e argomentazione giuridica nella Sylva nuptialis di G. N. d’Asti (1518), in Laboratoire italien, n. 5, Droit et littérature (2004), p. 85-104; Id., “Sine matrimonio respublica stare non potest”. L’utilità politica delle nozze nella Sylva Nuptialis di G. N. d'Asti (1518), in La tradizione politica aristotelica nel Rinascimento europeo. Tra familia e civitas, a cura di G. Rossi, Torino 2004, pp. 109-161; F. Aimerito, L’insegnamento del diritto, in Alma felix Universitas studii taurinensis. Lo studio generale dalle origini al primo Cinquecento, a cura di I. Naso, Torino 2004, pp. 202 s., 205; G. Rossi, «... partialitas in civitate est tanquam vermis in caseo...»: il giudizio (negativo) sulle fazioni politiche in G. N. (1490 ca.-1540), in Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma 2005, pp. 79-108, R. Savelli,Censori e giuristi. Storie di libri, di idee e di costumi (secoli XVI-XVII), Milano 2011, ad indicem.