Nicotera, Giovanni
Patriota e uomo politico (Sambiase, Catanzaro, 1828 - Vico Equense, Napoli, 1894). Allievo di Luigi Settembrini nel collegio di Catanzaro, aderì ai Figliuoli della Giovine Italia, la società segreta fondata dallo zio materno Benedetto Musolino. Dopo le barricate a Napoli del 15 maggio 1848, fu tra gli insorti calabresi sconfitti nella battaglia dell’Angitola dalle truppe borboniche. Condannato, fu costretto a espatriare prima a Malta e successivamente a Corfù. Tornato in Italia e ferito a Roma durante la difesa della Repubblica, rimase in città fino al dicembre 1849 e andò poi in esilio a Torino dove fu impiegato diversi anni come copista nello studio di Pasquale Stanislao Mancini. Entrato in rapporti con Mazzini, partecipò nel 1857 alla spedizione di Sapri nella quale rimase ferito. Arrestato, fu condannato a morte (luglio 1858) e poi graziato e rinchiuso nel Forte di Santa Caterina a Favignana. Liberato alla caduta dei Borbone (maggio 1860), scelse di combattere a fianco di Garibaldi e gli fu affidato l’incarico di comandare un corpo di volontari che avrebbe dovuto invadere lo Stato pontificio. Cambiati i piani, raggiunse Garibaldi a Napoli. Nel giugno 1861 fu eletto deputato al Parlamento italiano per il collegio di Salerno. L’anno successivo seguì Garibaldi in Sicilia e nella spedizione in Calabria, ma non fu presente in Aspromonte perché incaricato dallo stesso Garibaldi di preparare l’insurrezione di Cosenza e Catanzaro. Nel dibattito alla Camera sui fatti di Aspromonte, fu tra i più duri nell’accusare il capo del governo Rattazzi, costretto poi a dimettersi. Fu nuovamente tra i volontari garibaldini nella guerra del 1866 e un’ultima volta l’anno successivo, quando la sfortunata spedizione romana di Garibaldi fu fermata a Mentana. Nel corso degli anni Settanta abbandonò le idee repubblicane e, dedicatosi all’attività parlamentare, divenne uno dei principali esponenti della Sinistra. Nel marzo 1876, alla caduta della Destra, fu chiamato a ricoprire l’incarico di ministro dell’Interno nel governo Depretis (1876-77) e, in tale veste, fu tra gli artefici del successo elettorale della Sinistra nelle elezioni del novembre 1876. Negli anni Ottanta assunse posizioni critiche nei confronti del trasformismo di Depretis e nel 1883, con Crispi, Cairoli, Zanardelli e Baccarini diede vita alla pentarchia. Tornò al ministero dell’Interno nel gabinetto Rudinì (1891-92). Durante il suo primo incarico si era impegnato con particolare fermezza nella lotta alla mafia e alla camorra, ma si segnalò altresì per la repressione, oggetto di numerose critiche, delle forze repubblicane e internazionaliste. Fu costretto alle dimissioni nel 1877 per aver violato il segreto epistolare riguardo il contenuto di un telegramma. Durante il secondo mandato, attraverso l’azione dei prefetti, pose sotto stretta sorveglianza l’attività politica delle forze di opposizione (ordinando anche schedature degli avversari politici), giustificando la sua stretta repressiva con la necessità di reprimere eventuali fermenti anarchici e rivoluzionari.