ODAZZI, Giovanni
ODAZZI, Giovanni (Giacomo Ottaviano). – Nacque il 25 marzo 1663 a Roma, in via Laurina, da Giacomo ‘bicchieraio’ d’origine milanese, e da Palma Francesca De Patriciis, romana.
Il cognome subì nel tempo diverse trasformazioni: nello Stato d’anime di S. Maria del Popolo, dove la famiglia risulta censita dal 1660, è registrato come Aldatij o Aldacij; all’Accademia di S. Luca (1706) come Odatj e Odazij; nel testamento si firmò Odatij. Odasi è la forma utilizzata da Leone Pascoli, mentre Odazzi è la versione moderna consolidatasi fin dal Settecento. Ebbe quattro fratelli: Pietro (pittore di paesaggi e marine del quale mancano dati biografici), Domenico Antonio (n. 1662), Anna Felicia (n. 1655) e Cassandra Maria Caterina (n. 1666).
A fornire indicazioni dettagliate sulle sue origini è la biografia redatta da Pascoli (1730-36 [1992]), storico a lui contemporaneo e suo grande estimatore, del quale realizzò, nel 1707, un ritratto ad olio (Perugia, Biblioteca comunale Augusta).
Apprese i primi rudimenti dell’arte presso l’intagliatore Corneliis Bloemaert e poi nella bottega di Ciro Ferri. Qui acquisì scioltezza nel disegno e imparò alla perfezione le formule compositive di stretta derivazione cortoniana in voga all’epoca (Trimarchi, 1979, pp. 5, 18 n. 5, 64 s.). Con le maestranze di Ferri, nel 1689, realizzò alcuni affreschi nella villa della famiglia Chigi-Zondadari a Cetinale, presso Siena (Roettgen, 1994). Nello stesso anno, alla morte di Ferri, entrò nella bottega di Giovan Battista Gaulli (il Baciccio).
Di entrambi i maestri poteva ammirare e confrontare le opere eseguite nella chiesa di S. Agnese in Agone (1667-71). Mise a frutto la meditazione su quelle esperienze pittoriche nella prima commissione eseguita autonomamente: i tre pannelli raffiguranti Re Davide, Fuga in Egitto e Adorazione dei magi affrescati in S. Maria in Aracoeli tra il 1681 e il 1689 per ordine di padre Vincenzo da Bassiano. Eseguì poi diverse opere applicando alla perfezione lo stile di Gaulli, tanto che Pascoli riteneva difficile riconoscere la mano dell’allievo da quella del maestro. Indicativi di questa fase pittorica sono il Sogno di s. Giuseppe e la Gloria di s. Giuseppe in S. Maria della Scala, dipinti che, in base all’analisi stilistica, risalgono probabilmente agli ultimi decenni del Seicento e rimandano agli affreschi di Gaulli della chiesa del Gesù: il Concerto angelico nella cupola e la Gloria di s. Ignazio nella volta del transetto sinistro. Tuttavia Odazzi non fu mai pedissequo imitatore di Gaulli, ma assimilò con naturalezza l’eredità artistica del secolo precedente, alimentandola con le esperienze dei maestri contemporanei (Trimarchi, 1979, pp. 9, 15, 25 s., 19 n. 12; Engass, 1964, figg. 56, 97).
Ormai maturo, all’aprirsi del nuovo secolo dipinse l’affresco L’Apparizione della Madonna a s. Bruno in S. Maria degli Angeli (1699-1700), vero nodo di congiunzione tra i modi acquisiti da Ferri e Gaulli e lo stile classico di Carlo Maratta. L’opera costituisce l’origine di un percorso artistico, dallo stile non sempre coerente, nel quale vengono rielaborate e accostate con varietà le esperienze passate alle nuove tonalità settecentesche: luminose, trasparenti e avvolgenti, in cui l’elemento umano, monumentale, risulta trasfigurato.
Nel 1706 divenne accademico di S. Luca presentando un S. Giovanni Battista con due discepoli (Roma, Galleria dell’Accademia nazionale di S. Luca, depositi). Tra il 1706 e il 1709 dipinse, con calde cromie, la tela con S. Bernardo abbracciato da Gesù Crocifisso per il cardinal Giovanni Maria Gabrielli nella chiesa di S. Bernardo alle Terme; sempre nella stessa chiesa, verso la fine della sua vita (1730 circa), realizzò il dipinto con la Madonna, s. Roberto e altri santi, opera lodata da Pascoli e ispirata a una composizione analoga di Gaulli in S. Maria Maddalena (Trimarchi, 1979, pp. 29-31).
A proposito del ciclo di affreschi eseguiti in S. Salvatore in Thermis, distrutto nel corso dei lavori di ampliamento di palazzo Madama che comportarono la soppressione della chiesa, le varie fonti citano S. Gregorio papa e S. Luigi re di Francia (ibid., p. 65). Dopo gli studi condotti studi su alcuni frammenti con la Sacra Famiglia e la figura del S. Gregorio Magno ne è stata posticipata la datazione agli anni 1708-09 rispetto a quella desumibile dalla biografia di Pascoli (Di Bella, 2012).
Sempre al primo decennio del Settecento sono ascrivibili gli ovali con S. Ildefonso che riceve la pianeta e l’Estasi di s. Teresa (palesemente ispirata alla scultura berniniana in S. Maria della Vittoria a Roma) nella cattedrale di Palestrina. I dipinti sono stati attribuiti a Odazzi in fase di restauro, in base ai confronti con le opere in S. Maria degli Angeli e in S. Bernardo alle Terme (Trimarchi, 1979, pp. 32 s.).
Tra le imprese pittoriche di più grande impegno e dimensioni è la decorazione della cupola della cappella D’Elci nella chiesa romana di S. Sabina con il Trionfo di s. Caterina da Siena e quattro episodi della vita della santa nei pennacchi (1709-14); in questi affreschi convergono soluzioni compositive derivate da Gaulli e si anticipano le soluzioni pittoriche applicate nel 1716 nella realizzazione delle Nozze mistiche di s. Caterina d’Alessandria in S. Maria in via Lata (Trimarchi, 1979, pp. 36 s.; 42 s.). Tra il 1714 e il 1716, seguendo la cronologia di Pascoli, Odazzi realizzò la decorazione della tribuna della chiesa dei Ss. Apostoli, commissionata da monsignor Crespi di Ravenna, con la Caduta degli Angeli ribelli (ibid., pp. 38 s.).
Gaulli, che nel 1706 aveva dipinto la volta con il Trionfo dell’Ordine francescano, fu il punto di riferimento naturale per Odazzi che rielabora, con spiccata personalità, in base allo spazio ridotto, il tema della ‘caduta’ affrontato dal maestro nella zona inferiore della volta della chiesa del Gesù. Si tratta dell’opera più famosa di Odazzi, della quale si trova nota in diverse guide dell’epoca.
La fama dell’artista si consolidò rapidamente: la famiglia Guarneri di Porto Maurizio (Imperia), dopo la morte di Gaulli, che aveva decorato con l’Annunziata la cappella di famiglia nella chiesa della Ss. Annunziata dei Padri minori osservanti, affidò a Odazzi le due tele laterali con S. Pasquale Baylon e S. Diego che guarisce il cieco con l’olio della lampada dell’altare (1712 circa; oggi presso il santuario di S. Croce; ibid., pp. 32 s.).
Quasi tutto il repertorio di Odazzi è orientato a temi sacri; la nota dei quadri, redatta in sede testamentaria, riporta solo vari ritratti di papi e cardinali, alcuni paesaggi e tempeste marine e pochissimi temi mitologici, probabilmente realizzati sull’eco di modelli gaulliani. L’esiguità dei temi profani indica che l’opera dell’artista è da inquadrare nell’ambito della pittura romana sviluppatasi sull’onda della Controriforma tendente alla glorificazione dei santi attraverso immagini di stampo devozionale e mistico (ibid., p. 19 n. 15). Odazzi, infatti, ricevette molte commissioni da ordini monastici che, attenendosi strettamente alle loro regole d’istituto, ispirate a una vita idealmente pura e rigorosamente contemplativa come i cistercensi, ma anche le carmelitane, le teresiane e i certosini, richiedevano opere improntate alla meditazione e alla preghiera; tra le tele più significative in questo contesto è la Sacra Famiglia con i ss. Anna, Gioacchino ed Elisabetta, quasi una visione fantastica realizzata su ordine della badessa del monastero di S. Teresa alla Kalsa di Palermo (ibid., p. 44; Barbera, 2004, p. 391).
Nell’ambito dei grandiosi lavori di rinnovamento promossi da papa Clemente XI Albani nella chiesa di S. Clemente a Roma, fece parte dell’équipe composta dai migliori protagonisti della scena artistica romana dell’epoca (quali Tommaso Chiari, Sebastiano Conca, Antonio Creccolini, Pier Leone Ghezzi, Giovanni Domenico Piastrini, Pietro de’ Pietri, e Pietro Rasina), incaricata di decorare a fresco la navata centrale con Episodi della vita di s. Clemente. Odazzi dipinse ilTrasporto del corpo del santo (Trimarchi, 1979, pp. 45 s.).
La composizione, aprendosi alle ricchezze e alla grazia compositiva rococò con tonalità luminose e morbide, presenta personaggi dalla gestualità teatrale attentamente studiata che, seppur formalmente idealizzati nei volti, esprimono varie attitudini psicologiche di stupore e devozione.
Odazzi, che godette di stima e notorietà in vita, realizzò moltissime opere con un linguaggio tendente al decorativo ma riequilibrato dalla misura classica; a egual distanza dall’arte del Baciccio e di Maratta, la sua arte stabilisce un trait d’union importante tra il «tardo barocco e il protoneoclassicismo» (Casale, 1984, p. 145). Ma proprio per tali caratteristiche perse presto d’importanza. Già nella seconda metà del Settecento il mutamento del gusto determinò per l’arte ideali differenti e, nel XIX secolo, diversi critici, tra cui Luigi Lanzi, lo ricordano come il pittore meno abile tra quelli che, nell’ambito del progetto di abbellimento della navata centrale di S. Giovanni in Laterano promosso da Clemente XI (1717-18), dipinsero la serie dei Profeti (Trimarchi, 1979, pp. 7, 19 n. 9): oltre a Odazzi, Chiari, Conca e Ghezzi, Marco Benefial, Luigi Garzi, Giovanni Paolo Melchiorri, Giuseppe Nicola Nasini, Andrea Procaccini e Francesco Trevisani. Odazzi dipinse il Profeta Osea contornato da alcuni puttini con i simboli della Passione, dal Cristo con il vessillo crociato e da un cavaliere, ma l’insieme risulta debolmente concepito e il ricorso a colori chiari e evanescenti rende la composizione artificiosa. Intensa invece, per brillantezza e contrappunti tonali, è la tela con S. Bernardoallattato dalla Vergine (1720 circa; Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria, ibid., pp. 15, 53 s.).
Intorno al 1722 a Roma ricevette diverse commissioni per decorare palazzi nobili. Una felice e personale fusione tra le tonalità rococò, quasi di porcellana, e la solidità armonica barocca, risulta nella decorazione di palazzo Albani-Del Drago (1722 circa) dove, al primo piano, dipinse i soffitti di tre stanze attigue con figure allegoriche attorniate da puttini: La Pace e la Giustizia, La Carità e la Prudenza con quattro medaglioni monocromi raffiguranti putti alati con i simboli dei quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) e infine La Fede e la Speranza. Degli affreschi per il palazzo del duca di Poli, fratello del papa Innocenzo XIII, è stata identificata la scena allegorica con Apollo che indica la Verginità e la Sicurezza sovrastate da Mercurio mentre, in basso, la Carità collega questo gruppo con le Allegorie della Speranza e della Prudenza.
Data l’importanza della committenza, l’artista, senza ricorrere a cartoni già utilizzati in passato, ma basandosi su moduli consolidati, studiò e propose nuovi modelli fisionomici realizzati con accuratezza, variandone la gestualità esaltata dalla ricchezza dei panneggi.
Sempre a questo periodo (1722: data documentata da una lettera dello scultore Camillo Rusconi, ibid., p. 52 s.) risalgono le tele che decorano i soffitti di due stanze in palazzo De Carolis a via del Corso, con La Primavera e gli Zeffiri mentre scacciano l’Inverno, in cui l’organizzazione spaziale e la varietà delle figure raggiungono la qualità più alta nell’ambito della produzione artistica del pittore.
Databile al 1728 circa è il dipinto restituito a Odazzi da Eric Schleier (1978): la Fuga in Egitto nella chiesa di S. Maria degli Angeli, composizione meno innovativa, che rispecchia l’attitudine devota di Odazzi orientata a suscitare sentimenti di pietà e glorificazione della religione cristiana, ma dove comunque le figure si liberano dalle obbligatorie pose estatiche attraverso il fasto, la leggiadria e il gusto per la meraviglia.
Tra le opere perdute è il grandioso affresco del Trionfo della Chiesa con i ss. protettori dipinto per la cattedrale di Velletri (1724-25), distrutto durante la seconda guerra mondiale e del quale non rimane alcuna documentazione fotografica (Trimarchi, 1979, p. 66).
Agli anni 1724-27 risalgono gli affreschi nelle chiese romane di S. Antonio abate all’Esquilino e delle Ss. Stimmate di s. Francesco (ibid., pp. 56 s.) e quello con S. Vincenzo Ferrer sull’altare maggiore della chiesa omonima a Cantalupo Bardella (oggi Mandela; identificato da Schleier, 2008, p. 50). Nel 1730, coadiuvato da Carl’Antonio Coronati, dipinse l’affresco con la Gloria di s. Barbara nel duomo di Rieti. Sempre agli ultimi anni della vita risale la tela con Francesco di Paola, s. Felice da Cantalice e s. Pasquale Baylon nella chiesa dei Cappuccini a Taggia, opera che certamente gli fu commissionata dal cardinal Nicola Maria Lercari, di cui eseguì anche il ritratto nel 1726, quando fu insignito della carica cardinalizia (Taggia, sacrestia della chiesa parrocchiale dei Ss. Giacomo e Filippo; Trimarchi, 1979, pp. 58, 61 s.; Schleier, 2008, p. 51). Sempre per lo stesso committente dipinse L’Assunta con i ss. Giacomo e Filippo (Sanremo, santuario della Madonna della Costa).
Al 1731 risale L’Assunta con i ss. Domenico e Filippo Neri in S. Giovanni in Laterano a Roma, ultima opera di Odazzi che la lasciò incompiuta a causa della malattia che lo portò alla morte, e fu completata da Ignazio Stern.
Il 1° maggio fece testamento, lasciando sua erede universale la sorella Caterina (il testamento e l’inventario dei beni, conservati all’Archivio di Stato di Roma sono stati interamente trascritti in Trimarchi, 1979, pp. 91-110).
Morì a Roma il 6 giugno 1731 e fu sepolto nella chiesa di S. Angelo Custode (distrutta nel XIX secolo durante i lavori di ampliamento di via del Tritone).
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