PAGLIARESI, Giovanni
PAGLIARESI, Giovanni. – Nacque probabilmente sul finire del primo decennio del XIV secolo a Siena dal giureconsulto Neri, figlio del giudice Jacopo.
La famiglia Pagliaresi, appartenente al ceto magnatizio, aveva fornito alla città magistrati e amministratori di sicura fede ghibellina sino al 1277, anno nel quale gli aristocratici dovettero cedere il potere ai mercanti di parte guelfa.
Nel clima politico ostile, che si instaurò a Siena tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, mentre i Pagliaresi subivano assalti e distruzioni patrimoniali da parte dei loro nemici, Neri dovette rassegnarsi a esercitare la professione legale e Giovanni non solo si vide precluso l’accesso alle principali cariche pubbliche, ma essendo gravemente decadute le scuole giuridiche senesi, dove il padre aveva insegnato, per mancanza del privilegio di conferire la «licentia docendi», fu costretto a trasferirsi a Bologna e vi studiò diritto civile negli anni intorno al 1333.
Nell’autunno del 1339 lasciò di nuovo Siena, dove nel 1337 era stata sepolta la moglie Nadda, e con il titolo di «doctor iuris civilis» venne chiamato a insegnare nello studio generale di Perugia. Il governo senese, però, non concesse il nulla osta, dato che nel febbraio dello stesso anno era stato deliberato di proibire ai cittadini di tenere l’insegnamento in un ateneo diverso da quello patrio, pena il pagamento di mille fiorini d’oro, e gli comminò la sanzione prevista, offrendogli comunque la possibilità di sottrarsi alla condanna qualora avesse fatto ritorno a Siena entro il 1° maggio 1340. In tale circostanza Giovanni dette mandato al padre di rassicurare le autorità circa il suo rientro in patria a partire dall’anno accademico 1340-41, al fine di evitare il pagamento della multa, ma poi non rispettò l’impegno ed accettò la condotta «ad legendum in Studio perusino ad extraordinariam sedem super Infortiato» con il compenso di duecento fiorini d’oro, che incassò in due rate, nel febbraio e nel maggio del 1341. Negli anni successivi continuò a insegnare a Perugia, dove verso il 1345 ebbe per allievo Baldo degli Ubaldi, che lo ricordò come suo primo maestro, e raggiunse una certa fama, tanto che nel giugno 1353 venne contattato per insegnare presso l’Università di Bologna, ma non risulta che la trattativa fosse andata a buon fine, probabilmente a causa delle sue eccessive pretese economiche.
Nel frattempo, pur senza rivestire cariche politiche di rilievo, non troncò i molteplici rapporti che lo univano alla sua città: infatti, durante il semestre gennaio-giugno 1346 fu console dell’arte dei giudici e notai e nel dicembre dell’anno seguente venne incluso tra i rappresentanti del terziere di S. Martino nel Consiglio generale del Comune; qualche tempo dopo, nel giugno 1355 fu ancora console della stessa arte e contribuì in tale veste a riformarne lo statuto, finché tra il 1357 e il 1358 venne di nuovo chiamato a fare parte del Consiglio generale in rappresentanza del medesimo terziere. Anche gli affetti familiari e gli interessi patrimoniali lo tenevano legato a Siena: nel 1343, dopo la morte del padre, si accordò per la successione con i fratelli Naddo e Landoccio e l’anno seguente sposò Bice, figlia di Giovanni di Ghezzo Foscherani, autorevole esponente della fazione novesca al potere; in seguito, tra il 1349 e il 1358, effettuò diverse operazioni finanziarie presso il banco dell’ospedale di S. Maria della Scala, prima lucrando su cospicui depositi di denaro e poi acquistando dallo stesso ente una vasta tenuta a Salteano nel contado senese, che gli costò più di duemilaseicento fiorini d’oro. Il suo ritorno definitivo in patria, oltre che dalla saldezza dei vincoli personali, venne reso più agevole dal crollo del regime dei Nove, avvenuto nel 1355, e dalla concessione della qualifica e dei privilegi di Studio generale, rilasciata circa due anni dopo dall’imperatore Carlo IV di Lussemburgo all’Università di Siena. Fu così che quando, nel giugno 1358, Giovanni ricevette l’invito a tenere i suoi corsi nello Studio generale di Firenze con l’offerta di uno stipendio di cinquecento fiorini d’oro, preferì restare nella sua città, nella quale svolgeva una proficua attività professionale e dove insegnò sicuramente a partire dall’anno accademico 1358-59.
Dopo un breve periodo di crisi dell’ateneo senese dal 1360 al 1361, il rinnovato impegno del Comune si tradusse, tra la tarda estate e l’autunno del 1362, nel tentativo, parzialmente riuscito, di reclutare docenti autorevoli nelle discipline giuridiche. Pagliaresi dette il suo contributo a questa politica, affermando in una lettera destinata a un anonimo collega, custodita come «exemplar» tra le imbreviature di un notaio, che il denaro guadagnato a Siena valeva più che altrove, a prescindere dall’importo dello stipendio, «respectu onoris, quia hic est Studium generale et privilegiatum imperiali privilegio et consequenter hic esse debet copia studentium sine qua legentes non possunt onorari» e, deceduto Francesco Tigrini, accettò di succedergli «ad ordinariam et primam legum civilium sedem» dall’anno accademico 1363-64 al 1364-65 ( Nardi, 2012, p. 303 s.). In realtà, il nuovo governo senese, detto dei Dodici, preferì avvalersi della competenza giuridica di Pagliaresi per ottenere prestazioni professionali e diplomatiche e gli attribuì un ruolo di spicco come consulente del Comune e ambasciatore in importanti missioni, costringendolo a limitare la sua attività didattica. Così accadde durante l’anno accademico 1358-59, allorché, tra febbraio e aprile, Giovanni venne inviato più di una volta al legato pontificio cardinale Egidio Albornoz, che dimorava a Cesena, per rimettere al suo arbitrato la soluzione di qualsiasi controversia relativa all’interpretazione del trattato di pace che aveva posto fine alla guerra combattuta nei due anni precedenti tra Siena e Perugia. Alcune conseguenze delle ostilità e degli accordi furono ancora al centro di trattative che Giovanni dovette condurre, tra l’autunno del 1359 e la primavera del 1360, ad Arezzo con i perugini e a Radicofani con gli orvietani. In questo modo Pagliaresi si conquistò la fiducia dei suoi concittadini che richiesero i suoi pareri giuridici in diverse occasioni, annoverandolo tra i «viri excellentissimi» da interpellare su questioni di particolare delicatezza, e tra il 1360 ed il 1366 i Dodici lo inserirono più volte, quale rappresentante delle famiglie aristocratiche, negli organismi di governo misti di nobili e popolari e incaricati di provvedere alla conservazione della pace interna alla città. Anche le missioni diplomatiche continuarono, come quando, nell’agosto 1365, fu inviato a Firenze per rinnovare gli accordi con i fiorentini circa l’utilizzo del porto di Talamone e tra il febbraio e l’aprile 1367 si recò, con Niccolò Tolomei e Benedetto di ser Mino, ad Avignone, presso papa Urbano V. Quest’ultima ambasceria, che segnò il culmine del rapporto di fiducia tra Pagliaresi e il governo senese, fu anche causa di una rottura irreparabile: Giovanni, infatti, al suo ritorno in patria venne accusato dagli altri due ambasciatori di avere diffamato i Dodici durante il soggiorno avignonese e in maggio fu subito condannato al pagamento di duemiladuecento fiorini d’oro e al confino per sei mesi a Massa Marittima. Pagliaresi pagò la pena pecuniaria ed ebbe condonato il confino, ma ben presto lasciò Siena e raggiunse la Curia di Urbano V, che risiedeva a Viterbo, da dove, il 21 settembre, scrisse ai Dodici per lamentarsi del trattamento ricevuto ed esporre le ragioni a sua discolpa, fondate su autorevoli testimonianze. Dopo questa missiva non si hanno più notizie di Giovanni, ma è certo che il 21 novembre 1369 era già morto, perché la moglie Bice in una petizione rivolta in quel giorno al podestà di Siena si qualificò «infortunata vidua».
Della produzione di Pagliaresi sono pervenuti consilia pubblicati nella raccolta, più volte edita, dei Consilia di Federico Petrucci, oppure sparsi in alcuni manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. Lat. 8069, 10726 e 11605), mentre la sua attività esegetica, connessa all’insegnamento del diritto civile, non ha lasciato tracce di rilievo, quantunque non manchino citazioni che ne facciano menzione, specialmente in Baldo degli Ubaldi.
Fonti e Bibl.: P. Nardi, Note per la biografia del giureconsulto G. P. (...1333-1367...), in Studi senesi, CXXIV (2012), pp. 293-313; Id., P. G. (Johannes Palliarensis, de Palliarensibus), in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., Bologna 2013, pp. 1486b-1487a.