PANTALEO, Giovanni
– Nacque a Castelvetrano (Trapani) il 5 agosto 1831 da Vito e da Margherita Amodei.
Suo insegnante privato fu il sacerdote di principi liberali Vito Pappalardo, in seguito coinvolto nei moti del 1848 e perciò costretto al confino fino al 1855. Il 9 dicembre 1849 Pantaleo vestì l’abito dei frati minori riformati prendendo il nome di Giovan Vito. Dopo aver compiuto il probandato e il noviziato nel convento di S. Anna a Giuliana, ricevette la tonsura e gli ordini minori l’8 agosto 1852; il 3 settembre seguente emise la professione religiosa e il 18 settembre ricevette il suddiaconato. Fu poi ordinato diacono il 21 agosto 1853 e, con un anno di dispensa sull’età canonica, sacerdote il 23 settembre 1854, a Mazara del Vallo. Proseguì gli studi filosofici a S. Maria degli Angeli di Salemi, completando quelli di teologia a Trapani e quelli di filosofia a Palermo, dove ebbe come maestri fra Giuseppe (d’Acquaviva) da Resuttano e fra Benedetto (d’Acquisto) da Monreale.
Insegnò per qualche tempo filosofia morale nel seminario di Palermo e nello Studio dell’Ordine a Girgenti. Fu nei conventi di S. Antonino a Palermo, di S. Vito a Chiusa, di S. Vito a Girgenti, di S. Maria dell’Itria a Castelvetrano.
Nel 1859 aderì ai moti antiborbonici di Palermo. Lo sbarco dei Mille in Sicilia determinò la scelta definitiva di Pantaleo. Desideroso di conoscere Garibaldi, il 13 maggio 1860 si allontanò senza preavviso dal convento di Salemi, presso il quale era impegnato in quei giorni per la predicazione, e non vi fece più ritorno. Dall’incontro con Garibaldi, descritto con coloriti dettagli dall’ufficiale d’ordinanza Giuseppe Bandi nel suo volume postumo I mille. Da Genova a Capua (Firenze 1902), nacque un legame profondo e duraturo. Il generale lo accettò nel suo seguito e Pantaleo, ‘mezzo soldato e mezzo cappellano’, si attivò subito nel reclutamento di volontari, a partire da Castelvetrano, dove, accolto festosamente il 14 maggio, raccolse un certo numero di uomini, che però non riuscì a condurre in tempo a Calatafimi, raggiungendo con essi il campo di Vita solo la sera del 16 maggio. Cominciò altresì a diffondere il proclama garibaldino Ai buoni preti, stampato nella tipografia da campo messa a disposizione da Vito Rallo.
Pantaleo assistette i feriti dopo la battaglia di Calatafimi e precedette il generale ad Alcamo, dove, in cotta e stola, lo benedisse sulla soglia della chiesa-madre. A Palermo, il 27 maggio 1860, benedisse gli insorti in nome di s. Rosalia, e a Porta Termini animò con i suoi volontari la difesa delle barricate, su cui aveva fatto apporre alcune croci. Si coprì d’onore, esponendosi spesso in prima linea, crocifisso e armi alla mano, per incitare le truppe; nei pressi di Milazzo fu lievemente ferito. La sua opera fu preziosa anche al di fuori dei campi di battaglia, grazie all’impegno nella predicazione che mirava a legittimare l’impresa garibaldina presso le classi popolari e a favorire la coscrizione di volontari.
Pantaleo precedette Garibaldi a Napoli, dove fu ospite di Liborio Romano. Al momento dell’entrata del generale nella capitale, il 7 settembre 1860, lo accompagnò nella chiesa cattedrale e, in assenza dell’arcivescovo e del clero locale, intonò il Te Deum e diede la benedizione con il Ss. Sacramento. Seguì poi le camicie rosse fino alla battaglia di Capua, occupandosi principalmente dei feriti e dei prigionieri. Dal dittatore fu proposto come vicario del cappellano maggiore per la Sicilia; rifiutò l’ufficio, ma accettò il titolo di abate della Ss.Trinità di Castiglione, che gli garantì un beneficio annuo di circa trecentocinquanta lire.
A Napoli trovò sistemazione insieme alla madre e alla sorella e promosse raccolte di fondi per i feriti di guerra. Si mise, infine, in contatto con i numerosi ecclesiastici filoliberali confluiti in città dalle varie diocesi del Mezzogiorno e provò a coordinarli, provocando la protesta del cardinale Sisto Riario Sforza, che per ritorsione fu mandato in esilio (analoga sorte toccò al cardinale Domenico Carafa di Traetto, arcivescovo di Benevento, all’indomani dell’intervento di Pantaleo nel duomo della città sannita, il 27 settembre 1860). La sua intensa attività di predicatore suscitava, infatti, entusiasmi popolari, ma anche gravi incidenti (fece scalpore la convocazione, nella basilica dello Spirito Santo, di tutti gli ecclesiastici filogaribaldini presenti a Napoli in quei giorni).
Alla fine del 1861, per i meriti acquisiti nel corso della campagna nelle province meridionali, fu fatto cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ma non poté essere inquadrato nell’esercito regolare come cappellano perché sospeso a divinis. Restò in contatto con Garibaldi anche quando il generale si ritirò a Caprera, dove si recò più volte a fargli visita. Pantaleo si fece altresì patrocinatore dei comitati di provvedimento per Roma e Venezia, mobilitandosi nell’Italia settentrionale: visitò i Cairoli a Pavia, predicò sulla scalinata del duomo di Milano e sulle piazze di Monza e Como. Fu due volte a Bologna per commemorare Ugo Bassi, provocando reazioni popolari contrapposte, che allarmarono le autorità di pubblica sicurezza.
Sostenuto da Garibaldi nella lotta contro il papa, continuò a lavorare fra gli ecclesiastici dissidenti. Fu di nuovo in Sicilia per reclutare volontari per l’impresa d’Aspromonte: il 19 luglio 1862 era a Marsala nella chiesa della Madonna della Cava quando Garibaldi lanciò il motto: ‘o Roma o morte!’; ad agosto era a Catania a parlare in piazza. Funse inoltre da tramite con le logge massoniche dell’isola, dopo essersi affiliato, quello stesso anno, insieme ad Alexandre Dumas, alla loggia napoletana Fede italica. Quando poi il generale fu ferito il 29 agosto 1862, Pantaleo, che era a Sant’Eufemia, riparò prima a Messina sotto mentite spoglie e poi a Napoli, dove fu arrestato e tenuto prigioniero per diciotto giorni a Castel dell’Ovo. Appena amnistiato il 7 ottobre successivo, raggiunse Garibaldi a La Spezia, nella fortezza del Valignano, da dove lo accompagnò a Pisa e a Caprera.
Dopo la campagna d’Aspromonte Pantaleo si dedicò prevalentemente a questioni religiose, lavorando a un progetto di rinnovamento della Chiesa cattolica, che vedeva possibile solo attraverso uno scisma e la susseguente creazione di una Chiesa nazionale o di popolo. Per essa cominciò ad adoperarsi a Napoli, in contatto con la Società emancipatrice del sacerdozio cattolico, costituita il 4 aprile 1862, contestando i vaghi tentativi di conciliazione messi in atto dal ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Pisanelli, e diffondendo le sue idee sulla stampa periodica. Citato in giudizio presso il Tribunale di Torino il 10 dicembre 1864 per «attacco alla religione cattolica», decise di rinunziare allo stato sacerdotale.
Nell’estate del 1866 si arruolò per la terza guerra d’indipendenza nel 2° reggimento di volontari guidati da Garibaldi. Con il grado di sergente combatté nel Tirolo e si distinse nella battaglia di Ponte Caffaro e in quella del Monte Nota. Per interessamento di Benedetto Cairoli fu aggregato al quartier generale italiano. A Salò, agli ordini del generale Giuseppe Avezzana, si fece apprezzare per il valore militare, riscuotendo rinnovati segni di stima e amicizia da parte di Garibaldi, che lo propose per una medaglia e una promozione: a Bezzecca divenne sottotenente.
Al termine della guerra sperò in un sicuro impiego da insegnante, che però gli fu negato dal ministro della Pubblica Istruzione Domenico Berti. Tornò allora all’impegno politico, sostenendo gli ideali pacifisti della Falange redenta che, referenziato da Garibaldi, rappresentò nel settembre 1867 al congresso ginevrino della Lega internazionale della pace e della libertà. Le radicali posizioni anticlericali tenute in Svizzera furono preludio a una nuova mobilitazione armata al seguito di Garibaldi, stavolta per la campagna nell’Agro romano in vista della liberazione di Roma e poi delle Venezie. Come ufficiale d’ordinanza del generale, combatté a Monterotondo e a Mentana, dove fu aiutante di campo di Menotti Garibaldi.
Nonostante l’esito infausto dell’esperienza garibaldina del 1867, Pantaleo non rinunciò alla militanza liberale e anticlericale. Su posizioni sempre più radicali, partecipò nel dicembre 1869 all’anticoncilio napoletano di Giuseppe Ricciardi. Coinvolto nelle manifestazioni di piazza milanesi del 24 luglio 1870, dovette riparare precipitosamente all’estero. Fu prima in Germania, dove il 5 agosto fu arrestato come spia transalpina. Passò quindi in Francia, dove, insieme all’anziano Garibaldi, partecipò come capitano alla battaglia di Digione del gennaio 1871.
A Lione, il 22 giugno 1872, Pantaleo sposò Camilla Vahé, con la quale si stabilì poi a Napoli, dove ebbe due figli (Elvezia e Giorgio Imbriani, in onore dell’omonimo amico patriota), mentre una seconda femmina, Clelia, nacque a Roma, dove la famiglia si trasferì nel 1876.
A Roma, Pantaleo condusse una vita di povertà. Nel 1879, minato nel fisico, per interessamento del patriota ligure Baccio Emanuele Maineri, ottenne un modesto sussidio governativo che gli permise di trasferirsi in una casa più salubre.
Morì a Roma il 3 agosto 1879.
Opere. Pantaleo ha lasciato pochi scritti, anche se cercò di vivere, specie all’estero, inviando cronache ai giornali italiani. Alcuni suoi versi, qualche articolo sul generale messicano José María Mata e un abbozzo di memorie furono pubblicati in appendice alla sua biografia più completa, redatta da Baccio Emanuele Maineri, Fra G. P.: memorie, Roma 1883 (II ed. accresciuta, 1891). Si segnalano inoltre: Lettera […] ai fratelli di Napoli, Napoli 1860; Orazione funebre di fra G. P. al capitano Achille De Martino, raccolta da uno stenografo, 1860; Protesta di uno dei Mille. Antonio Fumagalli, 1865.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla carriera ecclesiastica di Pantaleo sono rinvenibili nell’Archivio della provincia dei Frati minori di Palermo e nell’Archivio storico diocesano di Mazara del Vallo. Sue lettere sono conservate nell’Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma, mentre altre missive sono state pubblicate in volumi a stampa, fra i quali Albo a Giorgio Imbriani, Napoli 1871. Le avventure di Pantaleo al seguito di Garibaldi sono documentate in varie memorie del tempo, dell’una e dell’altra parte in campo. Fra gli studi a lui specificamente dedicati, oltre alla biografia di Maineri, si ricordano: Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche d’illustri italiani contemporanei, a cura di L. Carpi, III, Milano 1887, pp. 347-365; G. Stiavelli, Letteratura garibaldina. Fra P., Roma 1903; Per fra G. P., Castelvetrano 1909; A. Mellusi, Fra P. a Benevento, in Rivista storica del Sannio, IV (1918), 5, pp. 105 s.; A. Cangiano, Frate G. P. nel Duomo di Benevento, Benevento 1925; C. Corradori, Don Giovanni Verità, fra G. P., don Federigo Riccioli. Profili biografici, Firenze 1929; C. Castiglioni, Fra P., Garibaldi e la democrazia lombarda (documenti inediti), in La Lombardia nel Risorgimento italiano, XVII (1932), 21, pp. 43-58; G. Russo, Il discorso di fra G. P. a Napoli il 13 settembre 1860, in Nuova rivista storica, XLVI (1962), 3-4, pp. 336-343; G. Asaro, Fatterelli di cronaca su fra G. P. da Castelvetrano, Palermo 1963; N. Serra, Sulle tracce di fra P., in Camicia rossa, XIV (1995), 2, pp. 26-30; G. Accardo - A.V. Stallone, Fra P.: un garibaldino vissuto per la libertà, Castelvetrano 2008; A. Fuschetto, Il cappellano di Garibaldi a Benevento. Fra’ G. P. tra i conservatori e i rivoluzionari sanniti, Benevento 2013.