CESARIO, Giovanni Paolo
Nacque nella prima metà del sec. XVI a Castiglione (Cosenza) da Giovanni Antonio. Compiuti i suoi primi studi a Cosenza, egli venne inviato ancora adolescente a Napoli per perfezionarsi nelle discipline umanistiche verso cui aveva rivelato una notevole disposizione. In questa città che sempre predilesse, frequentò i più autorevoli letterati del tempo, divenendo amico di G. Anisio. Ottenne, giovanissimo, "publici doctoris munus" (P. A. Spera, De nobilitate professorum, Neapoli 1641, p. 456) e insegnò per vari anni. In seguito la fama di studioso esperto nelle lingue classiche gli attirò il favore di Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, che condusse il C. con sé quando fu nominato governatore di Milano nel 1538.
In seguito alla sconfitta subita dal d'Avalos a Ceresole Alba nel 1544, il C. rimase senza protezione e decise quindi, dopo una inutile permanenza nella capitale lombarda, di ritornare a Napoli. Durante il suo viaggio di ritorno egli visitò Lucca, Firenze, Siena e Vetulonia, giungendo infine a Roma dove si fermò per ammirare i monumenti della città e rendere omaggio al pontefice Paolo III. Il pontefice, dopo aver conosciuto ed apprezzato la preparazione classica del C., lo nominò professore di retorica nell'Archiginnasio romano. F. M. Renazzi afferma (pp. 112 s.) che il C. vi insegnava nel 1545 con 200 ducati di onorario, e negli anni successivi continuò l'insegnamento meritandosi cospicui aumenti dello stipendio.
Il C. svolse anche una parallela attività letteraria, producendo versi e orazioni che riunì nel volume, Varia poemata et orationes (Venetiis 1562).
Ai componimenti encomiastici che celebrano le massime autorità politiche e religiose dell'epoca si alternano nella raccolta poesie in cui ritorna insistente il motivo di Napoli, l'indimenticabile città, vagheggiata quasi con sensuale trasporto: "nympha magis dilecta oculis, pulcherrima siren" (Ad Parthenopen, pp. 20 s.). I versi dedicati al fratello (Ad Petronium Caesarem fratrem, pp. 11 ss. e l'Oratio de sua peregrinatione et in urbem profectione, pp. 138 ss.) descrivono, invece, la partenza del C. per Milano ed il lungo viaggio che l'ha condotto a Roma.
Nel 1565 il C. pubblicò a Roma Orationum et poematum liber secundus, ed il Commentarius Iohannis Caesarii Consentini in triginta duos Horatii Flacci odas che testimonia l'interesse degli umanisti calabresi per l'opera del poeta venosino, inizialmente commentata dal Parrasio. Dedicando al fratello il Commentarius, il C. espresse il proprio rammarico perché "nullo sim auctus honore et Sisiphi saxum adhuc versem". Vanamente, infatti, aveva sperato di ricevere l'ambito titolo cardinalizio dai pontefici che erano succeduti a Paolo III. A questa delusione si aggiunse il continuo disagio per il comportamento indisciplinato degli allievi.
Il bidello, nella relazione del 1568 (cfr. Marini e Pometti), rilevò che il C. era costretto ad insegnare in meridie perché nell'ora ordinaria era disturbato dagli studenti; l'anno seguente ripeté le medesime considerazioni, e nel 1570 confermò l'incapacità del C. nel mantenere la disciplina. Tutte le relazioni concordarono, tuttavia, nel riconoscere la cultura e la vasta preparazione del C., che espose nei suoi corsi gli argomenti più vari, dal commento al primo libro delle Odi di Orazio al De officiis di Cicerone, alle opere di Platone.
La stima di cui era circondato e la protezione accordatagli dal cardinale Sirleto non risparmiarono al C. le pungenti critiche di N. Franco, "il flagello dei principi", il quale descrisse l'umanista calabrese come un uomo "sempre pedante nell'insegnare, arrogante nel ragionare, furfante nel domandare" (G. Cianflone, Nella scia del Parrasio i due Cesario, in Arch. stor. per le prov. napol., XLI [1961], p. 264). Nel suo impietoso ritratto il Franco ne schernì ferocemente l'ostinazione nel richiedere favori che non furono mai concessi. Il C., perduta ogni speranza di realizzare le proprie ambizioni, progettò più volte di ritornare in Calabria, ma non attuò mai il suo proposito.
Non si conosce la data della sua morte, avvenuta probabilmente a Roma.
Il padre del C., Giovanni Antonio, nato a Castiglione (Cosenza) verso la fine del sec. XV, fu discepolo e amico dell'umanista G. A. Parrasio (G. P. Parrisio), che seguì nei suoi frequenti viaggi. Animatore degli studi classici a Cosenza, il Parrasio riunì intorno a sé un gruppo numeroso di allievi, i quali diffusero il suo insegnamento nelle principali città italiane. Tra costoro Giovanni Antonio fu particolarmente caro al Parrasio, come testimonia la lunga collaborazione fra maestro e discepolo, rinsaldata da vincoli di sincero affetto. Egli accompagnò il Parrasio in varie città dell'Italia settentrionale, aiutandolo a copiare i codici e sostituendolo nelle ripetute crisi del suo male (il Parrasio soffriva di gotta).
Da Milano, nel 1507, il Parrasio si trasferì con il suo discepolo a Vicenza, dove lo aveva invitato il Trissino, desideroso di aumentare il prestigio culturale della propria città. A Vicenza Giovanni Antonio offrì un valido aiuto al maestro, copiando per lui da un codice, nel giugno del 1509, le Satire di Persio. In questo periodo la città, minacciata dagli eserciti della lega che avanzavano rapidamente dopo la sconfitta veneziana ad Agnadello nel maggio 1509, non rappresentava più un asilo sicuro per il Parrasio, il quale decise di rifugiarsi a Padova. Il discepolo seguì il maestro nella nuova sede, ma il Parrasio aveva appena iniziato con l'orazione inaugurale il suo corso, quando fu costretto per motivi di salute a recarsi alle terme di Abano.
Ritornato a Padova, il Parrasio giudicò per le sue migliorate condizioni di salute di poter fare a meno del collaboratore, e sollecitò la partenza di Giovanni Antonio per Roma, fornendolo di una lettera di presentazione indirizzata a T. Fedra Inghirami, prefetto della Biblioteca Vaticana, perché accogliesse benevolmente il suo discepolo. Più tardi egli stesso abbandonò precipitosamente Padova, occupata dalle truppe nemiche, per riparare a Venezia. Ma il viaggio dovette risultare inutile se il Parrasio stabilì di ritornare in Calabria.
Intanto Giovanni Antonio, non avendo ottenuto nulla a Roma, aveva raggiunto la regione natia, e il maestro si congratulò con lui perché incolume aveva potuto riunirsi alla sua famiglia. Il Parrasio, dopo aver soggiornato a Napoli dal dicembre del 1510 al febbraio dell'anno seguente, proseguì il viaggio di ritorno durante il quale fu informato che il figlio era gravemente malato. Da Cosenza, in preda al più cupo sconforto per la malattia del figlio e la morte improvvisa del fratello, scrisse al discepolo nel settembre del 1511. Era sorta, infatti, una disputa letteraria tra Giovanni Antonio e il Giardino, suo condiscepolo. Il Parrasio, interpellato come giudice, assegnò la vittoria a Giovanni Antonio, esortandolo tuttavia a non vantarsene, perché la vittoria era stata conseguita a stento e di stretta misura.
Negli anni successivi il Parrasio insegnò ad Aiello, Taverna e Pietramala finché, su interessamento di T. Fedra Inghirami, Leone X lo chiamò nel 1514 a insegnare nell'Archiginnasio romano. Giunto a Roma, il Parrasio inviò al discepolo lettere piene di promesse, di insistenze e preghiere perché lo raggiungesse al più presto; ma egli, stanco ormai del suo ruolo, preferì rimanere in Calabria. L'insegnamento del Parrasio a Roma durò dal 1514 al 1519, anno in cui cessano le notizie sulle relazioni tra Giovanni Antonio ed il suo maestro.
I vari compilatori di bibliografia calabrese affermano che Giovanni Antonio insegnò a Napoli lingue classiche e scrisse le seguenti opere: Gramaticae institutionis rudimenta, pubblicata a Napoli nel 1515, In Livium notationes e Quatuor mila carminum rimaste manoscritte ed ora scomparse. Inoltre gli attribuiscono la traduzione latina del Plutarchi opusculum De immoderata verecundia a Io. Caesario Consentino latine redditum (Romae 1565) compiuta dalfiglio Giovanni Paolo.
Fonti e Bibl.: G. Carafa, De professoribus Gymnasii Romani, Romae 1751, p. 315; G. Marini, Lettera al chiarissimo mons. Giuseppe Muti Papazurri già Casali..., Roma 1797, pp. 127, 130, 142, 149; F. M. Renazzi, Storia dell'Univers. degli studi di Roma, II, Roma 1804, pp. 112 s., 198; F. Pometti, Il ruolo dei lettori del MDLXVIII-MDLXX... Università di Roma, in Scritti vari di filologia, Roma 1901, pp. 88 s.; P. A. Spera, De nobilitate professorum, IV, Neapoli 1641, p. 456; N. Toppi, Biblioteca napol., Napoli 1678, p. 116; L. Nicodemi, Addizioni copiose alla Biblioteca napol. di N. Toppi, Napoli 1683, pp. 102 s.; S. Spiriti, Mem. degli scrittori cosentini, Napoli 1750, pp. 62 ss.; G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, pp. 226-230; A. Zavarrone, Bibliotheca Calabra, Napoli 1753, pp. 83, 91. Su entrambi i Cesario cfr. C. Jannelli, De vita et scriptis Auli Iani Parrasii, Neapoli 1844, pp. 84, 86, 88, 90 s., 93; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 95; D. Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869, p. 145; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, I, Cosenza, 1869, pp. 185 ss.; III, ibid. 1877, p. X;F. Fiorentino, Bernardino Telesio, Firenze 1872, p. 76; G. Falcone, Poeti e rimatori calabresi, I, Napoli 1902, pp. 97-102; L. Aliquò Lenzi, Gli scritt. calabresi, Messina 1913, p. 74; G. Curcio, Q. Orazio Flacco studiato in Italia dal sec. XIII al sec. XVII, Catania 1913, p. 121; G. Cianflone, Un poeta latino del XVI sec. G. T. Casopero - I suoi amici - I suoi tempi, Napoli 1950, p. 15; U. Lepore, Per la biografia di A. G. Parrasio, in Biblion, I(1959), p. 33; G. Cianflone, Nella scia del Parrasio i due Cesario, in Arch. stor. per le prov. napol., XLI (1961), pp.255-267; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano1973, p. 495.