Giovanni Paolo II, beato
Le opere e i giorni di G. P. hanno delineato una figura di pontefice della Chiesa Cattolica Romana del tutto eccezionale. Il suo pontificato, iniziato nell'ottobre del 1978 e concluso nel 2005, oltre ad essere il terzo in assoluto per durata, ha segnato in modo fortissimo tanto la recente evoluzione della Chiesa cattolica quanto molti snodi cruciali della storia dell'ultimo quarto del secolo XX e dei primi anni del nuovo millennio.
Karol Józef Wojtyła nasce il 18 maggio del 1920 a Wadowice, cittadina della Polonia meridionale, a poche decine di chilometri da Cracovia e da Auschwitz. La madre, Emilia Kaczorowska, era nata a Wadowice. Il padre Karol, nato a Lipnik, era stato sottufficiale dell'esercito austriaco e poi, dopo la guerra, ufficiale dell'esercito polacco.
L'infanzia e la formazione di Wojtyła si dipanano tra la storia familiare e la storia della sua martoriata nazione. Il 13 aprile del 1929 muore la madre. Nel giugno del 1930 Karol frequenta il ginnasio Marcin Wadowita. Nel 1938 si iscrive alla facoltà di filosofia dell'Università Jagellonica di Cracovia, dove si trasferisce a vivere con il padre.
L'inizio degli studi universitari coincide con la prima esperienza teatrale all'interno dello "Studio 38", gruppo fondato da T. Kudliński. Sono gli anni della formazione di Wojtyła: è infatti a Cracovia, uno dei principali centri intellettuali del Paese, che conosce J. Tyranowski, uomo di profonda spiritualità che lo introduce agli scritti di Giovanni della Croce e di Teresa d'Ávila. Sono anche gli anni dei grandi avvenimenti politici destinati a segnare la storia della Polonia e la memoria dei suoi abitanti. Prima ancora dell'invasione tedesca del settembre 1939 e della successiva caduta nella sfera d'influenza sovietica, il mondo culturale polacco fu sottoposto a una duplice azione di indottrinamento: da un lato ad opera di un nazionalismo sempre più radicale, dall'altro per iniziativa dei comunisti. Nazionalisti e comunisti non esitavano a proclamare il totalitarismo come l'unica risposta ai problemi della modernità. A causa di ciò, per più di mezzo secolo la popolazione polacca si sarebbe dovuta continuamente impegnare in una ricerca della propria identità, nella volontà di difendere e ricostruire una sovranità politica e culturale contro i tentativi di normalizzazione promossi dai regimi totalitari.
Questi sentimenti patriottici erano assai cari al giovane Karol e sono stati sempre presenti nella missione di Giovanni Paolo II. La stessa scelta di partecipare dapprima al teatro clandestino di Kudliński, poi all'esperienza del teatro rapsodico di Cracovia, e in particolare il legame con il fondatore M. Kotlarczyk, sono alcuni dei momenti principali nella formazione di un percorso critico teso a difendere le tradizioni e le forme della cultura polacca, dapprima dalla dittatura nazista e, alcuni anni dopo, dal regime comunista. Si deve leggere in questa prospettiva la continua difesa della libertà religiosa in quanto libertà di scelta dell'uomo, tutela della sua dignità, che gli deriva dall'essere figlio di Dio. Il senso dell'esperienza teatrale, ha ricordato lo stesso Wojtyła, era nella ricerca di una chiave di lettura del proprio tempo, dei rapporti tra politica e morale, e quindi nel potere demiurgico e salvifico dell'arte.
Nel 1940 Wojtyła trova lavoro come operaio in una cava di pietre a Zakrzowek, riuscendo così a sfuggire alla deportazione in Germania. Il 18 febbraio del 1941 muore il padre e Karol rimane solo, confortato da alcuni amici, profondamente colpito dalle disgrazie familiari e dai tragici avvenimenti storici che vive la Polonia. Sono queste le vicende che lo spingeranno al sacerdozio: "Lo scoppio della guerra mi allontanò dagli studi e dall'ambiente universitario. In quel periodo persi mio padre, l'ultima persona che mi restava dei miei più stretti familiari. Anche questo comportava, oggettivamente, un processo di distacco dai miei progetti precedenti. In qualche modo era come venir sradicato dal suolo sul quale fino a quel momento era cresciuta la mia umanità. Non si trattava però di un processo soltanto negativo. Alla mia coscienza, infatti, nel contempo si manifestava sempre più una luce: il Signore vuole che io diventi sacerdote" (Dono e mistero. Nel 50º del mio sacerdozio, Città del Vaticano 1996, p. 44).
Nella primavera del 1942 lavora nella fabbrica chimica Solvay e inizia a frequentare i corsi clandestini di teologia dell'Università Jagellonica. Nell'ottobre dello stesso anno entra a far parte del seminario di Cracovia sotto la guida dell'arcivescovo A. S. Sapieha, al quale deve uno straordinario incoraggiamento per le successive scelte in difesa della libertà e della dignità dell'individuo. Nel marzo del 1943 con la rappresentazione del Samuel Zborowski di J. Słowacki, nel quale interpreta la parte del protagonista, si conclude la sua esperienza teatrale. Nell'agosto del 1944 Sapieha lo accoglie, insieme ad altri seminaristi, nel palazzo dell'arcivescovado, dove rimarrà per tutto l'ultimo periodo del conflitto mondiale. Il 17 dicembre dello stesso anno prende i due primi ordini minori.
Nell'arcivescovado la comunità viveva nel rispetto di norme che raccomandavano digiuni, vigilie, lettura e preghiere, in privato e in comune, con l'alternarsi di lunghi periodi di silenzio e di dialoghi sul futuro dell'umanità. La pietà cristiana era caratterizzata da una forte devozione alla figura esemplare del Cristo, e dallo sforzo costante di seguirne i passi, così da non cadere nella disperazione per gli avvenimenti esterni. L'"imitatio Christi" in Wojtyła non rimanda a un Cristo propiziatore, ma ad un modello di comportamento, ad una riscoperta delle storie e delle esperienze vissute dal figlio di Dio: una dimensione cristologica che segnerà tutto il suo pontificato.
Il 1º novembre del 1946 Wojtyła è ordinato sacerdote dall'arcivescovo Sapieha; pochi giorni dopo parte per Roma dove s'iscrive all'Angelicum, ospite del Pontificio Collegio Belga di via del Quirinale. All'Angelicum incontra il teologo R. Garrigou-Lagrange ed è compagno di studi di J. M. Mejía che, una volta eletto papa, vorrà tra i collaboratori più vicini, affidandogli la preparazione della visita alla sinagoga di Roma. La formazione intellettuale del giovane Wojtyła si arricchisce in questi anni della conoscenza degli scritti di M. Scheler (1874-1928), il filosofo tedesco che rinunciò alle sue origini ebraiche per convertirsi al cattolicesimo e definire la teoria dell'esistenzialismo cristiano, realizzando la mediazione tra scolastica e fenomenologia nella sua teoria della "coscienzialità" (nel 1953 presenterà all'Università Cattolica di Lublino la tesi Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler).
Nell'estate del 1947 Wojtyła è in Francia, dove si confronta con i testi di J. Maritain e di E. Mounier: i rapporti tra individuo e morale, tra condizione dell'individuo e libertà di agire, tra la consapevolezza dei propri limiti e l'aspirazione al raggiungimento della verità, costituiranno la base del suo "trattato sull'uomo", la ricerca di una sorta di filosofia dell'individuo che formerà il nucleo della sua principale opera filosofica, Osoba i czyn (trad. it. Persona e atto, Milano 1999), pubblicata nel 1969. Sempre a Parigi frequenta l'Istituto Cattolico dove incontra padre H. de Lubac, che creerà cardinale nel 1983. Nel giugno del 1948 consegue a Roma il dottorato con una tesi sulla Doctrina de fide apud sanctum Joannem a Cruce.
Nel luglio del 1948 ritorna in Polonia per laurearsi in teologia nella sua prima università e svolgere le funzioni di viceparroco nel villaggio di Niegowić, a pochi chilometri da Cracovia. In questa città si trasferisce nell'agosto del 1949, affiancando all'attività pastorale l'insegnamento dell'etica sociale. Sono gli anni più duri del regime comunista: nel 1953 vengono arrestati il cardinale S. Wyszyński e l'arcivescovo di Cracovia E. Baziak. La facoltà di teologia dell'Università Jagellonica viene chiusa; tutte le riviste di ispirazione cattolica, critiche verso il regime comunista, subiscono una violenta censura o vengono soppresse. È in questi anni che Wojtyła prende a collaborare con la rivista "Tygodnik Powszechny", diretta da J. Turowicz, l'unico periodico che riesce a resistere, fino al 1990 (con l'eccezione del periodo 1953-1955, quando il regime comunista lo riduce sotto il controllo dei nazional-cattolici) mantenendo la propria indipendenza; in qualità di drammaturgo e poeta il futuro pontefice firma i propri contributi col nome di Andrzej Jawień. L'avversione di Wojtyła per il comunismo è netta, unita ad un forte sentimento di difesa del proprio Paese, della libertà di pensiero che vede ancora una volta, dopo l'esperienza nazista, messa in pericolo: "La Chiesa polacca in questo secolo ha dovuto sostenere una lotta drammatica contro due regimi totalitari: contro il regime ispirato dall'ideologia nazista durante la seconda guerra mondiale; poi, nei lunghi decenni del dopoguerra, contro la dittatura comunista e il suo ateismo militante" (Dono e mistero, p. 77).
Il 1º dicembre del 1956 Wojtyła si trasferisce a Lublino per insegnare teologia morale nell'Università Cattolica, rimasta l'ultimo luogo di insegnamento cattolico nei Paesi che gravitano intorno all'Unione Sovietica. Nel 1958 è nominato vescovo ausiliare di Cracovia da Pio XII. Nell'ottobre del 1962 si trasferisce a Roma come portavoce dell'episcopato polacco in seno al concilio Vaticano II (11 ottobre 1962-8 dicembre 1965) ed è nominato membro della commissione di studio per i problemi della popolazione, della famiglia e della natalità, e di quella incaricata di redigere il testo della costituzione Gaudium et spes.
Nel 1972, nel libro Alle fonti del rinnovamento. Studio per l'attuazione del Concilio Vaticano II, ricorderà come l'esperienza dei lavori del concilio sia stata determinante nella sua formazione. Convocato da Giovanni XXIII e portato a compimento da Paolo VI, a differenza del concilio Vaticano I, inteso a confermare il dogma dell'infallibilità del papa, questo concilio voleva sottolineare l'importanza della collegialità dei vescovi in seno al governo della Chiesa. Wojtyła ne coglie in pieno lo spirito e l'opportunità: la partecipazione gli permette di sensibilizzare i vescovi sulla difficile situazione vissuta dalla Chiesa nei Paesi dell'Est.
Il 13 gennaio 1964 è nominato da Paolo VI arcivescovo di Cracovia, antica capitale del Paese, uno dei centri più importanti del cattolicesimo polacco. Sono gli anni della guerra proclamata alla Chiesa dal Partito comunista polacco (il Partito Operaio Unificato Polacco, Polska Ziednoczona Partia Robotnicza). A rendere vieppiù tormentate le relazioni tra Stato e Chiesa sono questioni quali la lettera di riconciliazione dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi, che è proprio Wojtyła a redigere nel dicembre 1965, e il problema delle celebrazioni del Millennio della conversione della Polonia al cattolicesimo e della nascita dello Stato polacco, che il regime avrebbe voluto fortemente condizionare.
Nel marzo del 1968, dopo una lunga campagna condotta contro gli intellettuali che nel 1962 avevano inviato al Politbjuro una lettera di protesta contro la censura (la Lettera dei 34) - campagna incentrata sulla creazione dell'immagine dell'intellettuale d'origine ebrea ed ex membro del Partito comunista quale pericoloso nemico pubblico -, quegli stessi vennero fatti oggetto di una provocazione architettata dai servizi di sicurezza. Il divieto (30 gennaio 1968) della rappresentazione al Teatro Nazionale di Varsavia degli Avi di A. Mickiewicz, la cui messa in scena era considerata antisovietica, provocò le proteste degli intellettuali e degli studenti, i quali, dopo lo scioglimento brutale della loro manifestazione di Varsavia (8 marzo), proclamarono una campagna d'occupazione di quasi tutte le Università del Paese. La Chiesa espresse le proprie preoccupazioni, pur avendo assunto il movimento di contestazione forti connotati progressisti. Ciò accentuò ulteriormente il gelo tra Stato e Chiesa. La reazione del regime guidato da W. Gomułka, primo segretario del Partito comunista polacco, fu immediata. La propaganda contro gli intellettuali e gli studenti, spesso definiti revisionisti, oppure "smascherati" quali sionisti, condusse all'esilio più di ventimila persone, fra le quali molti intellettuali, docenti (quali ad esempio L. Kołakowski, K. Pomian, Z. Bauman), medici, laureati, spesso di origine ebrea.
Il 29 maggio del 1967, quando Paolo VI annuncia il Concistoro, Karol Wojtyła è tra i nuovi cardinali, creato e pubblicato il 26 giugno, del Titolo di S. Cesareo in Palatio. Partecipa all'assemblea del sinodo dei vescovi del 1969 come membro di nomina pontificia, e in seguito a quelle del 1971, del 1974 e del 1977, svolgendo più volte il ruolo di membro del Consiglio della Segreteria generale. Nel sinodo del 1974 è relatore per la parte teologica dello schema sull'evangelizzazione del mondo contemporaneo.
Il 17 ottobre del 1971 prende parte alla beatificazione, voluta da Paolo VI, di padre Maksymilian Maria Kolbe, il francescano polacco vittima della violenza nazista, messo a morte ad Auschwitz per essersi proposto volontariamente al posto di un padre di famiglia che doveva essere deportato. G. P. lo proclamerà santo il 10 ottobre del 1982. Devoto come Wojtyła del culto mariano, Kolbe aveva istituito la Congregazione dell'Immacolata, fondando a pochi chilometri da Varsavia una sorta di città ideale in soccorso dei poveri. Nel santificarlo Wojtyła sottolinea le molte cose che lo avvicinano a Kolbe: l'aver sofferto la persecuzione nazista, la devozione per la Vergine Maria, la forte carica ideale nell'affermazione del messaggio evangelico e l'aver intuito la grande importanza dei mezzi di comunicazione nel difficile processo di evangelizzazione del mondo contemporaneo.
Il 1º dicembre del 1975 Wojtyła è a Milano, all'Università Cattolica, per una conferenza sui diritti dell'uomo alla luce delle recenti tesi adottate dal sinodo dei vescovi. Qui ribadisce con chiarezza la posizione critica nei confronti degli Stati incapaci di rispettare il valore dell'uomo, non riconoscendogli il diritto di religione. La fede, l'impegno del cristiano che non può sottrarsi ai doveri e agli insegnamenti etici, l'accento sulle esemplificazioni delle virtù sono convinzioni che Wojtyła ribadisce anche quando, nel novembre del 1976, presiede la delegazione polacca al congresso internazionale delle Università cattoliche per la preparazione della nuova Costituzione Apostolica per gli studi ecclesiastici.
L'11 e 12 agosto del 1978 partecipa alle esequie di Paolo VI; dopo poco più di un mese a quelle di papa Giovanni Paolo I. Wojtyła viene prescelto come pontefice il 16 ottobre dopo l'ottava votazione dei 111 membri riunitisi in un conclave durato solo tre giorni. La candidatura del cardinale polacco, avanzata dal cardinale di Vienna F. König, aveva ricevuto l'appoggio dei cardinali tedeschi, prevalendo su quella dei due italiani G. Siri, arcivescovo di Genova, e G. Benelli, arcivescovo di Firenze.
Il 22 ottobre inizia il ministero di pontefice assumendo il nome di Giovanni Paolo II, ad esprimere, così come aveva fatto il suo immediato predecessore, la volontà di proseguire nel cammino intrapreso da Giovanni XXIII e Paolo VI.
I primi atti del suo pontificato denotano la decisione di imprimere a esso un forte significato simbolico: il 23 ottobre incontra il primate di Polonia, cardinale Wyszyński, il 5 novembre venera i due patroni d'Italia, s. Francesco e s. Caterina da Siena. L'amore per la sua terra si coniuga con il rispetto per il Paese che lo ospita, nella consapevolezza dell'aiuto che gli sarà necessario per esercitare il suo magistero. Le parole che pronuncia ad Assisi sottolineano queste prime scelte: "questo chiede a te, figlio santo della Chiesa, figlio della terra italiana, il Papa Giovanni Paolo II, figlio della terra polacca. E spera che non glielo rifiuterai, che lo aiuterai".
Nel corso del suo pontificato lo sforzo di costruire una speciale relazione con l'Italia e gli italiani si manifesterà anche nel suo rapporto con le istituzioni: nei primi anni del suo pontificato (18 febbraio 1984) Chiesa cattolica e Repubblica italiana firmeranno la revisione del Concordato del 1929 e il 14 novembre del 2002 l'ormai anziano e malato G. P. sarà il primo pontefice a visitare il Parlamento italiano, pronunciando un importante discorso sull'etica della politica nell'aula di Montecitorio.
Il 22 ottobre 1978, celebrando la liturgia in piazza S. Pietro, G. P. riassume i tratti sostanziali di quello che sarà il suo impegno pastorale, la volontà di far conoscere, senza paura, il valore del messaggio cristiano in tutto il mondo. La prima lettera enciclica, Redemptor Hominis (4 marzo 1979), sottolineando l'attualità del messaggio e dell'esempio di Cristo, denota la missione del nuovo papa. Al centro delle sue prime riflessioni e dei primi atti ufficiali c'è il richiamo continuo all'esperienza e alla vita di Cristo: l'augurio è quello di un'accoglienza, in tutto il mondo, del suo esempio. Le parole che pronuncerà nell'omelia tenuta a Varsavia, nella prima visita pastorale che farà in Polonia dal 2 al 10 giugno 1979, confermano il carattere cristologico del suo pontificato. Universalismo, misericordia divina, interiorità della religione, emancipazione dalla schiavitù dei sensi, obbligo di vivere, durante il pellegrinaggio terreno, seguendo l'esempio di Cristo, sono alcuni dei tratti peculiari della figura del pontefice. L'accento del catechismo insiste sul carattere interiore della religione: fede non vuol dire fiducia, ma dedizione completa, in una scelta più vicina al fideismo che al razionalismo.
Le circostanze politiche del suo pontificato sono del tutto particolari: Wojtyła è polacco e conosce bene la situazione del suo Paese e del mondo che lo circonda. Ha vissuto le difficoltà in cui versa la Chiesa in quei Paesi in cui è privata della libertà di espressione; si è trovato di fatto coinvolto in un'iniziativa fortemente politicizzata della Chiesa in un particolare momento storico, nel quale la società civile ha utilizzato la religione per resistere al potere politico, e il principale partito di opposizione al regime comunista ha espresso aspirazioni e forme di lotta per la libertà e la modernità attraverso il continuo richiamo alla simbologia religiosa. La prima parte del suo pontificato è fortemente segnata da queste vicende e da queste esperienze: centrale nelle prime scelte è la decisione di non avere un atteggiamento di neutralità rispetto agli avvenimenti politici che lo circondano e che interessano direttamente la sua patria, di non dare continuità ad una Ostpolitik utilitaristica tra mondo capitalistico e mondo comunista. Sin dai primi viaggi, come negli atti ufficiali, al centro della sua riflessione c'è, al contrario, il richiamo al rispetto dei diritti umani e della libertà di religione, la determinazione a liberare l'Europa dell'Est dal dominio dell'impero sovietico. La stessa nomina di monsignor A. Casaroli a prosegretario di Stato e proprefetto del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa (28 aprile 1979) è finalizzata ad utilizzare ogni forma di comunicazione, compresa quella da sempre sensibile a una politica di distensione verso l'Unione Sovietica, per far giungere un messaggio di appoggio ai movimenti che si battono per il ripristino delle libertà e dei diritti umani.
Gli sforzi di Wojtyła per creare una situazione di democratica convivenza civile in Polonia e veder ripristinati i diritti della Chiesa sono stati decisivi e hanno influito direttamente su alcune delle principali scelte politiche e sociali del Paese. Questo il senso dell'omelia tenuta a Varsavia il 2 giugno del 1979 in occasione della visita pastorale in Polonia, nella quale il papa rivendica con chiarezza il diritto alla libertà religiosa, la volontà di costruire l'unità spirituale dell'Europa cristiana, sapendo di doversi confrontare con un regime che comincia a vedere i pericoli di una presenza religiosa capace di mobilitare un numero incredibile di persone. "Non si può escludere Cristo dalla storia dell'uomo in qualunque parte del globo […]. L'esclusione di Cristo dalla storia dell'uomo è un atto contro l'uomo […]. Non è possibile capire senza Cristo la storia della nazione polacca".
Le parole del pontefice sono forti e chiare, descrivono una situazione reale, analizzano i malesseri di una società a tratti disumana. Molto deciso è il suo appoggio e sostegno a Solidarność, la confederazione nazionale di sindacati indipendenti fondata il 17 settembre del 1980, e alla cui testa viene eletto L. Wałesa, operaio dei cantieri navali di Danzica.
Perciò nell'agosto del 1980 scrive all'episcopato polacco diverse lettere d'appoggio alle rivendicazioni operaie dei cantieri navali di Danzica e alla nascente Solidarność, e nel dicembre dello stesso anno non esita ad inviare a L. Brez̆nev un'accorata lettera in difesa della sovranità polacca, minacciata dalle truppe del Patto di Varsavia. Il pontefice si rivolge direttamente al capo dello Stato per chiedergli di fare il possibile per scongiurare un'invasione sovietica in Polonia. Richiamandosi agli accordi di Helsinki, al principio del non intervento negli affari interni degli Stati firmatari, G. P. ricorda a Brez̆nev che un simile atto di violenza sarebbe paragonabile all'invasione nazista del 1939.
Nel dicembre 1981, fallito il tentativo di promuovere un tavolo di negoziato tra governo, sindacato e Chiesa cattolica, il Consiglio di Stato polacco proclama la legge marziale e affida il potere a un Consiglio militare presieduto dal generale W. Jaruzelski. La seconda visita di G. P. in Polonia, nel giugno del 1983, si svolge in un clima di grande tensione politica e sociale.
La volontà espressa dal pontefice in questa occasione è quella di far rinascere lo spirito religioso in un tempo in cui l'uomo sembra aver smarrito i valori e vede calpestata la sua dignità. L'appoggio è diretto alla rinascita di uno spirito di indipendenza nazionale, capace di valorizzare i bisogni di autonomia, anche intellettuale, della nazione.
La Chiesa che Wojtyła difende con coraggio, dandole tutta la forza e gli strumenti per riacquistare una centralità nel mondo contemporaneo, è una Chiesa militante, capace di riscoprire il messaggio cristologico. L'esempio di Gesù, come dei martiri cristiani, deve spingere gli uomini a riscoprire il messaggio del Vangelo, un messaggio di pace e di fede, che favorisca il rispetto delle loro legittime aspirazioni e allontani il senso di rassegnazione. Così, in chiave martirologica, Wojtyła ricorda la vita del giovane prete polacco J. Popiełuszko, attivo sostenitore di Solidarność, assassinato dalla polizia segreta nell'ottobre del 1984 (e in questo senso si deve leggere la scelta del papa di beatificare e canonizzare un notevole numero di donne e di uomini di ogni provenienza e condizione).
Tra l'impegno di G. P. rivolto verso il mondo del comunismo reale e l'attentato subito, soltanto pochi mesi dopo, a Roma in piazza S. Pietro, da parte di Mehmet Alì Ağca (13 maggio 1981), non si può non rilevare una facile connessione. Due anni dopo G. P. visita nel carcere di Rebibbia il suo attentatore e gli esprime il suo perdono cristiano.
Caratterizza il pontificato di G. P. la devozione per la Vergine Maria, che trova la sua manifestazione più netta nell'Anno mariano (7 giugno 1987-15 agosto 1988) da lui proclamato duemila anni dopo l'Annunciazione. Ed è del marzo 1987 la sesta enciclica del pontefice, la Redemptoris Mater, scritta con il chiaro intento di preparare il contesto teologico e pastorale per l'Anno mariano, chiuso con la lettera apostolica Mulieris Dignitatem (15 agosto 1988).
Il legame di Wojtyła con il culto della Madonna risale, come lui stesso ci dice, ad alcune forme di devozione della sua infanzia, alla straordinaria esperienza del concilio Vaticano II e alla piena accettazione del capitolo VIII della Lumen Gentium. Maria è per G. P. il primo discepolo di Cristo, perché accettò il messaggio dell'angelo, permettendo così l'incarnazione del figlio di Dio. Nella storia dell'uomo e della sua salvezza portata da Cristo sulla terra, Maria è colei che permette di collegare i due grandi momenti dell'azione dello Spirito Santo, il concepimento di Gesù e la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste: madre quindi del figlio di Dio e madre della Chiesa stessa, che è pertanto, scrive Wojtyła, prima "Chiesa mariana" e poi "Chiesa petrina".
Poiché la Chiesa mariana precede la Chiesa petrina, tutti i cristiani, uomini e donne, sono uguali e la Vergine Maria "proietta luce sulla donna in quanto tale per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell'incarnazione del Figlio, si è affidato al ministero, libero e attivo, di una donna" (Redemptoris Mater 46.2). E rivolgendosi a tutti i cristiani, compresi gli ortodossi orientali, G. P. aggiunge: "Perché dunque non guardare a lei come alla nostra Madre comune, che prega per l'unità della famiglia di Dio e che tutti 'precede' alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell'unico Signore [...]?" (ibid. 30.3).
Il 22 dicembre 1987, ai cardinali e ai prelati della Curia romana, ricevuti per la presentazione degli auguri natalizi, G. P. parlò di Maria "madre della Chiesa" in un modo molto personale, che dovette sorprendere non poco i suoi ascoltatori, affermando in particolare che "la dimensione mariana della Chiesa antecede quella petrina", ovvero la Chiesa dei discepoli viene prima storicamente della Chiesa del ministero e delle autorità istituzionali. "Il ministero non mira ad altro che a formare la Chiesa in quell'ideale di santità, che è già preformato e prefigurato in Maria" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3, [1987], pp. 1481-92). I due profili sono complementari, ma quello di Maria prevale perché più denso di significati per il comportamento di un cristiano.
Questa posizione teologica del pontefice non sorprende se si ricorda che appena nominato vescovo Wojtyła aveva scelto come motto del suo stemma episcopale l'espressione "Totus tuus", riferita alla Vergine Maria. Il motto era tratto da una preghiera alla Madonna scritta nel Settecento da s. Luigi Maria Grignion de Montfort e letta dal giovane Karol quando lavorava alla Solvay. È lo stesso G. P. a ricordarlo nel libro Dono e mistero (p. 30), mentre in Varcare la soglia della speranza (p. 155) scrive che la devozione alla Vergine Maria è un itinerario speciale nei misteri dell'Incarnazione e della Redenzione, in quanto Maria come primo discepolo - con la sua risposta all'angelo: "Avvenga di me quello che hai detto" (Luca 1, 38) - permise agli altri di diventare discepoli e apostoli.
Riprendendo quel particolare "femminismo", già presente nella sua teologia del corpo e appena accennato nella Redemptoris Mater, con la Mulieris Dignitatem, G. P. ha cercato di chiarirne alcuni aspetti non pienamente compresi: la ricaduta sociale di tale "femminismo" sarà poi ampiamente discussa nella sua Lettera alle donne del 1995. "Si tratta di comprendere - scrive - la ragione e le conseguenze della decisione del Creatore che l'essere umano esista sempre e solo come femmina e come maschio. Solo partendo da questi fondamenti, che consentono di cogliere la profondità della dignità e della vocazione della donna, è possibile parlare della sua presenza attiva nella Chiesa e nella società" (Mulieris Dignitatem 1). E ancora circa l'eccellenza della donna, il pontefice usa parole molto chiare: "la speciale presenza della Madre di Dio nel mistero della Chiesa ci lascia pensare all'eccezionale legame tra questa 'donna' e l'intera famiglia umana. Si tratta qui di ciascuno e di ciascuna, di tutti i figli e di tutte le figlie del genere umano, nei quali si realizza nel corso delle generazioni quella fondamentale eredità dell'intera umanità che è legata al mistero del 'principio' biblico: Dio creò l'uomo a sua immagine" (ibid. 2).
Infine un elogio del coraggio delle donne: "In realtà, i Vangeli mettono in rilievo come, al momento della prova definitiva e determinante per tutta la missione messianica di Gesù di Nazaret, ai piedi della Croce, si siano trovate, prime fra tutte, le donne. Degli apostoli solo Giovanni è rimasto fedele. Le donne, invece, sono molte […]. Come si vede, in questa che fu la più dura prova della fede e della fedeltà, le donne si sono dimostrate più forti degli uomini: in questi momenti di pericolo quelle che 'amano molto' riescono a vincere la paura" (ibid. 15). "Non abbiate paura" sono le parole che G. P. pronuncia in piazza S. Pietro il 22 ottobre del 1978, appena incoronato pontefice; parole che rinviano al significato della verità della Redenzione, verità che avrebbe ispirato la sua prima enciclica e tutto il suo pontificato (K. Wojtyła - V. Messori, Varcare la soglia della speranza, Milano 1994, p. 241). "Mentre entravo nei problemi della Chiesa universale, con l'elezione a Papa, portavo con me una simile convinzione: che, cioè, anche in questa dimensione universale, la vittoria, se verrà, sarà riportata da Maria. Cristo vincerà per mezzo di lei, perché Egli vuole che le vittorie della Chiesa nel mondo contemporaneo e in quello futuro siano unite a lei" (ibid., pp. 242-43).
Nel corso del terzo viaggio a Fatima, il 13 maggio del 2000, il papa ha voluto spiegare il contenuto del "terzo segreto" che, secondo la tradizione della Chiesa cattolica, proprio in quel luogo la Madonna rivelò a tre pastorelli il 13 luglio del 1917. La dichiarazione solenne, affidata al segretario di Stato, cardinale A. Sodano, ha stabilito un collegamento diretto tra la terza parte del segreto, quella relativa alla profezia che "un vescovo vestito di bianco sarebbe caduto come morto, colpito da arma da fuoco, in mezzo ad una moltitudine di cadaveri martirizzati", e l'attentato subito dal papa il 13 maggio 1981. La visione che, come affermato dall'alto prelato, non può che essere di carattere simbolico, riguarda soprattutto "la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani e descrive l'immane sofferenza dei testimoni della fede" nel corso di un secolo segnato da una contrapposizione tra teismo e ateismo, funestato dagli orrori delle due grandi guerre, dalla tragedia dell'Olocausto, dalle pulizie etniche, dai gulag, dalle violenze del terrorismo, da tutte le forme di intolleranza, dagli attentati contro la vita e la famiglia. Lo stesso pontefice ha messo a rischio la propria vita, così come era stato annunciato ai tre pastorelli, per difendere la fede e la Chiesa e solo l'intervento della Madonna gli ha permesso di fermarsi "sulla soglia della morte". La visita pastorale a Fatima con la decisione di svelare il segreto, la celebrazione avvenuta pochi giorni prima dei martiri della fede di questo secolo, dal genocidio armeno del 1915 ai giorni nostri, sembrano concludere un lungo percorso che ha attraversato tutto il pontificato nella ricerca continua e nell'affermazione del valore escatologico della Redenzione.
La difesa della vita, alcune questioni di bioetica e la reiterata condanna dell'aborto, nel costante rifiuto che l'unica chiave di lettura legittima di tali problematiche sia quella giuridica, esaltano il valore della persona e della famiglia. Il pensiero del papa è esposto nella Carta dei Diritti della Famiglia, pubblicata il 24 novembre del 1983, nella quale è enumerata una serie di precetti in difesa dell'istituzione familiare. Il documento, che fa seguito al sinodo dei vescovi sulla famiglia cristiana (1980), condanna l'uso degli anticoncezionali e la nascita di una famiglia al di fuori del sacramento del matrimonio, prende posizione in favore della Dichiarazione universale sui diritti umani - argomento già affrontato nel discorso all'ONU del 1979 - e della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e sui diritti dell'infanzia.
I toni del pontefice su questi argomenti sono stati spesso radicali, giungendo a contrapporre "una cultura della vita ad una cultura della morte". In questo modo Wojtyła rivendica il diritto non solo di difendere i principi di ordine etico e religioso, ma anche d'intervenire nel campo dell'ordine temporale, sino a contrapporsi alle leggi che, non rispettando i valori religiosi, favoriscono un "libertarismo" nemico di ogni valore fondante della società civile e dell'individuo. Così sull'aborto, dove la difesa della vita non è basata sulla difesa del bene comune, ma sul valore e sulla dignità originaria della persona del concepito. Nell'enciclica Evangelium vitae (25 marzo 1995) afferma infatti che "l'aborto volontario rimane per sua natura un delitto abominevole", e ammonisce che l'inviolabilità della vita umana innocente è una verità morale esplicitamente insegnata nella Sacra Scrittura. Anche in questo caso il pensiero del pontefice si confronta con le tesi di alcuni pensatori contemporanei: in particolare con la "filosofia del dialogo" di E. Lévinas, dove si sottolinea la necessità di un rapporto tra l'"io" umano e il divino, assolutamente sovrano, "Tu": lo sforzo dell'uomo deve essere quello di accogliere il comandamento "non uccidere" come un imperativo morale di carattere assoluto, soprattutto se si riferisce a una persona innocente (Evangelium Vitae 58). Con uguale chiarezza si esprime il pontefice nei confronti della fecondazione eterologa, sottolineando come la Chiesa non possa soffermarsi ad una lettura in chiave esclusivamente giuridica o logico-razionale di alcuni problemi della nostra società, ma debba tener sempre presenti e tutelare i principi dell'ordine etico e religioso; o della sessualità omosessuale, ch'egli considera "oggettivamente disordinata".
Nel valutare alcune prese di posizione di Wojtyła si deve ricordare ancora una volta la confluenza in esse di componenti classiche e cristiane. Dal versante classico provengono alcuni concetti più volte ribaditi nel corso del suo pontificato, come quelli di concordia, di umanità e di universalismo. Da quello cristiano, la preoccupazione per l'unità, l'armonia; il cristiano oltre che alla magnanimità e alla clemenza giunge alla compassione e al perdono, oltre che al rispetto del proprio prossimo giunge ad esser pronto a offrire la propria vita per l'altro. Le distinzioni nazionali, etniche, sociali sono superate, non solo in considerazione dell'unità del genere umano, ma perché tutti sono figli di Dio, stranieri in ogni patria, apostoli che non hanno sulla terra luogo di pace. Wojtyła è stato il pontefice cosmopolita, nel senso che sentiva di amare ogni terra e non appartenere a nessuna. Se aveva un grande affetto per la Polonia, se aveva nostalgia quando nei suoi viaggi era lontano da Roma, egli si sentiva cittadino del mondo e non di una sola patria. Rifiutava perciò con fermezza le interpretazioni in chiave nazionalistica di alcune sue affermazioni.
Un altro concetto classico ripreso dal pensiero sociale cristiano è quello di legge naturale o legge positiva. Principi sostanziali della legge naturale sono il diritto dell'uomo di propagare e di difendere la vita: diritti che Wojtyła sostiene con forza di fronte a quegli Stati che hanno promosso la legge per l'interruzione della gravidanza o contro quelli che non hanno abolito la pena di morte.
In G. P. c'è la consapevolezza di un possibile, forse temporaneo attenuarsi della presenza del cattolicesimo, ma anche una fede assoluta nell'insegnamento di Cristo e nel suo esempio di vita, capace di contrastare ogni possibile dubbio (la sua prima enciclica, Redemptor Hominis, sottolinea il significato cristologico del suo pontificato). Cristo invita gli apostoli ad andare in tutto il mondo: dal 1978 al 2005 G. P. ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e 104 viaggi apostolici nel mondo. Ha cercato il contatto con gli uomini e, nello stesso tempo, è sembrato abbandonare ogni dimensione terrena; non aveva paura della morte, perché grande era in lui il conforto della fede e della verità. È testimonianza di questa fede il coraggio che gli ha permesso di proseguire nel suo percorso, senza badare alle critiche e ai consensi suscitati, con il pensiero rivolto all'esempio di Gesù, alle montagne della Galilea, alla valle di Giosafat, alla terra della parola di Dio, di Abramo e di Mosè, dei monaci cristiani d'Egitto, dei santi eremiti.
Nel giubileo del 2000 ha visitato, sulle orme del popolo di Dio, i luoghi sacri, la terra di Gesù, Betlemme, Nazaret, per arrivare naturalmente a Gerusalemme. Anche questo viaggio è stato pieno di occasioni inattese e di rinvii a significati "politici", tra la gioia e la paura per una visita che cristiani, ebrei e musulmani aspettavano dopo trentasei anni dal "pellegrinaggio" di Paolo VI. Una visita per ripercorrere i luoghi d'origine del cristianesimo, in quel deserto dove tutto è cominciato, in quella terra tre volte santificata, culla delle tre religioni monoteiste, troppe volte contesa con violenza da ebrei, cristiani e musulmani. L'attenzione nei confronti delle autorità palestinesi, il rispetto per la preghiera del muezzin, la visita al campo profughi di Deheishe e quella al Santo Sepolcro, il biglietto lasciato sul Muro del Pianto il giorno stesso della partenza con un'iniziativa non programmata sono momenti simbolici di un pellegrinaggio che ha voluto connotare il suo pontificato, con un ulteriore messaggio di pace alle popolazioni e alla terra dove Gesù venne battezzato. Il viaggio in Terra Santa era stato preceduto di qualche giorno dalla richiesta di perdono "per i peccati passati e presenti dei figli della Chiesa": atto ancora una volta inatteso, che ha suscitato adesioni e contrasti all'interno della stessa Curia.
Ai confini con la cultura e la scienza, l'enciclica Fides et Ratio (14 settembre 1998) ribadisce efficacemente la distinzione e la reciproca implicazione di coscienza religiosa e vocazione razionale umana, alla soglia del nuovo millennio. Vi si riesamina ancora una volta il rapporto tra fede e ragione che era dibattuto da sempre nella Chiesa e che era stato già affrontato nel concilio Vaticano I. Nella società attuale, sostiene Wojtyła, sembrano affermarsi una crisi di fiducia nella ragione, un'esaltazione dello scetticismo e del nichilismo, l'incapacità di individuare i motivi su cui costruire l'esistenza personale e sociale. E la stessa fede, scrive il pontefice, privata della ragione finisce col non essere più un valore universale.
L'enciclica riprende la riflessione iniziata con la Veritatis Splendor (6 agosto 1993), nella quale Wojtyła aveva difeso la forza della ragione come mezzo per giungere alla conoscenza della verità. L'attenzione del papa per il pensiero filosofico deriva dalla sua formazione culturale, sempre attenta a due ordini di conoscenza che devono essere distinti, ma non separati: quello della fede e quello della conoscenza filosofica. Quest'ultima rimanda all'insegnamento di s. Tommaso - esplicito, nell'enciclica, il richiamo alla filosofia scolastica "come la strada migliore per ricuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede" - e può contribuire alla conoscenza del mistero di Dio, chiarire l'identità di Cristo, vero Dio e vero uomo, rafforzando così il rapporto tra Dio e l'uomo.
Perciò il rapporto tra teologia e filosofia, tra fede e ragione deve essere di "circolarità". In questo modo la teologia si arricchirà degli insegnamenti della filosofia, come dimostra il fatto che molti filosofi contemporanei prestano attenzione agli insegnamenti della dottrina cristiana. I pensatori cari a Wojtyła, citati nell'enciclica Fides et Ratio, sono A. Rosmini, J. Maritain, E. Stein, É. Gilson, S. Solov'ëv, P. A. Florenskij, V. N. Lossky. Quei filosofi che hanno prestato attenzione agli insegnamenti della teologia hanno colto il valore di alcune verità, come la dignità della persona umana, il significato di libertà, di pari opportunità, di uguaglianza tra gli uomini, riuscendo a ritrovare la "dimensione sapienziale" della filosofia, che è ricerca del senso ultimo e globale della vita.
La separazione tra fede e ragione, al contrario, esalta lo scetticismo, lasciando svanire ogni visione metafisica e morale della realtà. Di fronte a queste situazioni la Chiesa "può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della fede, il proprio discernimento critico nei confronti delle filosofie e delle affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana". Se nel concilio Vaticano I la critica era rivolta al fideismo e al tradizionalismo radicale per la loro sfiducia nelle capacità naturali della ragione, al razionalismo e all'ontologismo perché riconducevano alla ragione naturale ciò che è conoscibile grazie alla fede, la Chiesa del nuovo millennio, secondo G. P., deve far fronte "alla radicale sfiducia nella ragione", alla scarsa considerazione per la teologia speculativa e al disprezzo per la filosofia classica. Lo stesso, scrive il pontefice, avviene in alcuni campi della scienza, dove un'impostazione positivistica sembra abbandonare qualunque presupposto etico o riconducibile a una visione cristiana del mondo, e diffonde "teorie false o di parte che seminano gravi errori, confondendo la semplicità e la purezza della fede del popolo di Dio". Lo stesso Paolo VI nell'enciclica Humanae Vitae aveva esortato a opporsi al relativismo morale; è un dovere della Chiesa difendere e diffondere la verità, anche quella più dolorosa. Cristo stesso ci ha esortato a questo avvertendoci che la via della salvezza non è larga e comoda, ma stretta e angusta (Matteo 7, 13-14).
Sono evidenti i motivi di discussione e contrapposizione che tali posizioni finiscono col suscitare, causando forti critiche nei confronti di Wojtyła, accusato di ignorare i profondi cambiamenti intervenuti nella società e di ingerenza nella sfera politica e sociale di singoli Stati.
Nel suo pontificato G. P. non ha mai messo in dubbio le formulazioni delle verità di fede e dei dogmi; ha anzi difeso rigorosamente l'ortodossia senza mai lasciare spazio a interpretazioni teologiche divergenti. Ma i cinque "mea culpa" del pontefice, assieme alla precedente lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente (1994), segnano un punto di non ritorno, la scelta di emendare la memoria, e indicano la volontà della sua Chiesa di confrontarsi con il mondo contemporaneo, rilanciando il valore del messaggio di pace e di perdono del Vangelo. L'anno giubilare 2000 ha visto un G. P. piegato dalla malattia, ma deciso a valersi dell'occasione per imprimere alla Chiesa romana e al proprio pontificato una svolta oltre le stesse posizioni conciliari, verso un triplice ecumenismo: cristiano, biblico e religioso.
Il pensiero di G. P. non si è mai fermato di fronte a critiche o contrapposizioni al suo operato: la Chiesa da lui auspicata è una Chiesa universale, capace di riacquistare un ruolo centrale nella morale e nella fede del popolo. Wojtyła ha ricercato un comune sentire delle religioni contro un mondo che perde i suoi valori, così che, da fattori di divisione e di contrasto dell'umanità, esse possano divenire momenti di unità, dove l'interiorità, la spiritualità, l'ordine morale possano essere comuni punti di riferimento. In questa prospettiva, superare le divisioni, riconoscere gli errori commessi dalla Chiesa nella sua storia bimillenaria vuol dire ricercare il significato di quegli errori a tutto vantaggio del mondo contemporaneo. Così nel marzo del 2000, in occasione del Giubileo, vengono rese pubbliche le "intenzioni di una preghiera universale" con la decisione del pontefice di chiedere perdono per alcune colpe commesse dalla Chiesa. Perdono per i peccati commessi contro gli ebrei, per le deviazioni dal Vangelo, per i peccati di intolleranza e di violenza contro i dissidenti, per i peccati che hanno compromesso l'unità della Chiesa, per quelli contro la pace, contro i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle altre religioni, nel campo dei diritti fondamentali della persona e contro la giustizia sociale. Sono richieste di perdono che vengono poi ribadite anche in occasioni specifiche, come ad Atene, nel maggio 2001, durante il pellegrinaggio sulle orme di s. Paolo, quando il pontefice ha chiesto perdono a Dio per il saccheggio di Costantinopoli; o come quando, nell'ottobre dello stesso anno, ha chiesto perdono per gli errori e le colpe commessi dai cristiani in Cina, nella speranza, presto delusa, di riprendere il dialogo con il governo di quel Paese.
Con la celebrazione penitenziale del Giubileo del 2000, G. P. ha voluto compiere uno sforzo, senza precedenti nella storia, di "purificazione della memoria" dei cattolici, rompendo con la tradizione del silenzio assoluto su alcune colpe del passato: "la Chiesa sente il dovere di riconoscere le colpe dei propri membri e di chiederne perdono a Dio e ai fratelli". Proprio su questo punto, la volontà di far emergere alcune verità e la decisione di riconoscere gli sbagli, il suo insegnamento ha conosciuto spazi di libertà e di autonomia capaci di consentire alla Chiesa di dare una testimonianza credibile sulla sua missione nel mondo contemporaneo. La dolorosa realtà delle divisioni fra le Chiese cristiane, le forme di intolleranza, le violazioni di alcuni diritti umani fondamentali, i pregiudizi e i silenzi, le scomuniche, le persecuzioni emergono dal passato della Chiesa e dei suoi credenti, nella consapevolezza, più volte ribadita da G. P., di riconciliare la Chiesa con la storia.
"Confessiamo - ha detto G. P. nella cerimonia penitenziale svoltasi in S. Pietro il 12 marzo del 2000 - le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali siano le nostre responsabilità".
Tale affermazione è un atto di riconciliazione, di rinnovamento conciliare, dopo più di vent'anni dall'inizio di un pontificato segnato dall'abbandono di qualunque forma di prudenza o di compromesso nella ricerca della "Verità".
Ciò si rileva anche nel rapporto di Wojtyła con gli ebrei, che ha definito "i nostri fratelli maggiori". G. P., che durante l'occupazione della Polonia aveva vissuto personalmente gli orrori della Shoah, l'8 febbraio 1981, nella parrocchia di S. Carlo, vicina alla sinagoga, ha ricevuto l'omaggio del rabbino capo di Roma E. Toaff, e ha risposto con simpatia augurando una sempre maggiore comprensione tra le due parti. Nel corso poi di una visita alla sinagoga di Roma nel 1986 (13 aprile), la prima avvenuta in duemila anni, il papa, alla presenza del rabbino Toaff, ha ammesso alcune responsabilità di omissione della Chiesa cattolica nei confronti di molte violenze subite dalla comunità ebraica. Carità, fraternità, universalismo sono i temi dai quali muovono alcune delle direttive del suo pontificato; da queste prendono forma, in linea con le scelte di Paolo VI, i tentativi di riconciliazione non solo con la religione ebraica, ma anche con le altre Chiese cristiane. Nell'enciclica Ut Unum Sint, promulgata il 25 maggio 1995, Wojtyła sottolinea la necessità di superare le divisioni all'interno del cristianesimo, riconoscendo il valore e la storia delle altre confessioni.
Significativo a tal proposito è il suo impegno con le Chiese protestanti. Gli accordi con la Chiesa luterana, sottoscritti il 31 ottobre del 1999, confermano la portata di tale scelta, il tentativo di riportare all'unità le varie confessioni cristiane, separate dopo lo scisma d'Oriente, all'inizio del secondo millennio, e quello protestante del XVI secolo. Una scelta che si confronta con un altro tema fonte di divisioni e al centro del dibattito ecumenico anche tra cattolicesimo e ortodossia: quello del primato di Pietro. A Ginevra, nel giugno del 1984, in occasione del Consiglio ecumenico delle Chiese protestanti, Wojtyła affrontò il tema del primato del pontefice di Roma, riconoscendo la necessità di ripensarne il significato, invitando a distinguere il fatto dottrinale dal concreto esercizio del potere di giurisdizione, ma ribadendo la convinzione che proprio grazie al ministero del vescovo di Roma la Chiesa aveva potuto preservare il valore di unità e di garanzia della tradizione apostolica. L'intenzione di non disperdere le forze del cristianesimo, il ritorno continuo al concetto di ecumenismo, la decisione di ammettere gli errori del passato, sino all'impegno di rivedere la storia di alcuni grandi processi, come quello contro Galileo, attestano la volontà di G. P. di delineare un nuovo ruolo della Chiesa che, pur non rinunciando ai principi della sua missione, avverte la necessità di riconoscere e confrontarsi con alcune situazioni nuove.
In questo senso vanno interpretati il viaggio di G. P. in Egitto nel febbraio del 2000, prima tappa del lungo pellegrinaggio sulle orme del Popolo di Dio, lungo i sentieri del Vecchio e del Nuovo Testamento, e la dichiarazione sottoscritta insieme a una delle massime autorità dell'islam contro ogni forma di integralismo e di intolleranza religiosa: una mano tesa, un gesto di riconciliazione e di dialogo nei difficili rapporti tra le due religioni monoteiste. "L'islam e il cristianesimo - ha detto G. P. - sono due religioni di grande cultura, e grazie alla cultura potranno contribuire al futuro di pace dell'umanità". Un segno di pace, quello di Wojtyła, che ha cercato di superare l'antico pregiudizio dei musulmani, i quali da mille anni associano i cattolici alle crociate. Un segno di pace all'indomani delle notizie di scontri religiosi in Nigeria, in Indonesia, in Kosovo. "Chiunque usi il nome di Dio per colpire un uomo - ha detto il pontefice - chiunque utilizzi la violenza o lo scontro in nome della religione, fa una grande offesa a Dio".
Sono concetti che G. P. ha ribadito con coerenza rigorosa anche successivamente. Nel maggio del 2001, nel corso del suo viaggio in Siria, a Damasco, è stato, ancora una volta, il primo papa nella storia a entrare in una moschea, invocando "sentimenti di fraternità e amicizia" tra cristiani e musulmani. E all'indomani degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 G. P., esprimendo "indicibile orrore", ha indicato allo stesso tempo nella "spirale dell'odio e della violenza" il più grande rischio per l'uomo.
In netto contrasto con l'affermarsi nel mondo occidentale della teoria dello "scontro di civiltà" (espressa da Samuel Huntington per la prima volta nel 1993 su "Foreign Affairs"), Wojtyła ha continuato a rifiutare qualsiasi contrapposizione radicale tra Occidente cristiano e islam. Nel suo messaggio per la giornata di digiuno per la pace (14 dicembre 2001), condannando da una parte il terrorismo come "atto contro Dio", G. P. ha indicato dall'altra nella giustizia e nel perdono le "uniche strade" che rendono possibile la vera pace.
Relativamente al problema della guerra, per Wojtyła la preghiera per la pace, il richiamo alla fratellanza, l'invocazione del perdono sono un appello a ragione, umanità e carità cristiane. Il contributo più significativo di G. P. è stato il suo contrapporsi alla teoria della giusta guerra: questa, se vuole avere un significato, deve presupporre un organismo imparziale e deve poter determinare la giustizia. L'intera teoria della giusta guerra si basa su un'analogia tra guerra e amministrazione della giustizia entro la società civile. La società civile, ricordava il papa, ha tutta una serie di strumenti grazie ai quali giudici imparziali possono valutare una divergenza e determinare da che parte sta la giustizia. Nelle guerre tra Stati un corpo giuridico del genere non esiste. Ogni parte accomoda la sua causa in modo che abbia apparenza di giustizia; in realtà nelle dispute territoriali la giustizia è impossibile. Rifuggendo dagli assoluti etici, Wojtyła è sempre stato contrario al ricorso alla guerra anche al fine di realizzare la giustizia. La via più appropriata per appianare i contrasti, e quindi per salvare migliaia di vite umane, è la via dell'arbitrato, della mediazione politica, del mutuo accordo, e un ruolo fondamentale di pace e di riconciliazione possono avere gli uomini di Chiesa. Quella di Wojtyła è sembrata una posizione anacronistica quando supponeva che la Chiesa potesse di nuovo assumere quel ruolo di mediazione politica riconosciutole in altre epoche. Un'analisi degli argomenti di sostegno rinvia ancora una volta a una persistente fede nel valore universalistico della Chiesa e a un'instancabile affermazione della misericordia di Cristo.
Così durante la prima guerra del Golfo, il conflitto scoppiato nel 1990 in Medio Oriente in seguito all'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq e alla reazione di una forza militare multinazionale guidata dagli Stati Uniti, il pontefice non esitò a intervenire invocando una soluzione pacifica della controversia. In diverse occasioni Wojtyła ricordò come un'azione violenta contro un governo autoritario, come quello dell'Iraq, avrebbe coinvolto una popolazione inerme e innocente e causato un gran numero di morti, finendo con il trasformarsi in "un'avventura senza ritorno".
Tredici anni dopo, a partire dal gennaio 2003, G. P. tornò a levare la sua voce contro l'imminente invasione dell'Iraq da parte di Stati Uniti e Regno Unito, divenendo uno dei punti di riferimento del movimento che si opponeva alla guerra. Allo stesso modo, dopo il 1989, si era opposto al risorgere dei nazionalismi nella ex Iugoslavia, condannando l'idolatria dell'etnia e la cultura della morte, come la cultura della guerra, del terrorismo, della violenza razzista.
Con la promulgazione della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, G. P. riforma, nel 1996, le regole del conclave, correggendo in qualche punto il sistema di elezione del pontefice.
Negli anni del suo pontificato Wojtyła ha creato 231 cardinali (più uno "in pectore"), canonizzato 482 santi e proclamato 1338 beati, sottolineando così il valore di una Chiesa in cui si sono riconosciute, non in forma eccezionale e casuale, ma quotidiana e secolare, personalità sensibili al messaggio evangelico del bene comune. L'elezione a cardinale di un gran numero di vescovi del Terzo Mondo ha mutato profondamente gli equilibri "geopolitici" all'interno del Sacro Collegio, determinando il superamento della predominanza della componente europea. Gli esempi di santità di martiri della fede e della carità, come Edith Stein e Maksymilian Maria Kolbe, per Wojtyła delineano il futuro di una Chiesa sofferente ma alla costante ricerca della verità, che, lontano dai trionfalismi, mostri la sua forza nella capacità di ascoltare il grido di dolore dei poveri e di tutti coloro che sono in situazioni di difficoltà, una Chiesa che viva le sofferenze e le miserie di un mondo che ha superato le barriere ideologiche, ma si dimostra incapace di distribuire in maniera equa quanto è necessario per vivere con dignità. In molti dei suoi viaggi G. P. ha sostenuto, di fronte ai governanti e ai potenti del mondo, la necessità per un buon cristiano di aiutare i più deboli, ad esempio mediante la cancellazione del debito dei Paesi più poveri, e ha sottolineato che l'indifferenza, l'egoismo, la sopraffazione, l'ateismo sono tra i pericoli di un capitalismo senza regole. Durante la visita a Berlino, il 23 giugno 1996, ha ricordato come gli individui vengano privati della propria libertà non solo con le imposizioni ideologiche, ma anche negando loro i beni necessari per una vita dignitosa. Anche in queste situazioni, il messaggio evangelico del pontefice ha finito con l'assumere forti valenze politiche. Nelle tre encicliche di forte impatto sociale, Laborem Exercens (1981), Sollicitudo Rei Socialis (1987), Centesimus Annus (1991), G. P. ha invitato a riflettere sulle situazioni "di ingiustizia, di oppressione, di alienazione", evidenziando i momenti di "precarietà, difficoltà, incertezza" in cui tanti si trovano a vivere in molte realtà attuali, dove l'uomo utilizza la ricchezza, il profitto, in forme discutibili e talvolta moralmente inaccettabili.
In occasione della prima delle tre encicliche, la Laborem Exercens, promulgata il 14 settembre del 1981, nel novantesimo anniversario dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, Wojtyła si sofferma ad analizzare il mondo del lavoro nel sistema capitalistico e in quello del socialismo reale. La sua critica è attenta nel denunciare come in entrambi i sistemi la dignità dell'uomo sembri ignorata a vantaggio di una visione economicista o materialista del lavoro, che finisce col preporre gli interessi di pochi al benessere di tutti gli altri. Di fronte a situazioni di disagio sociale, la Chiesa, scrive il pontefice, deve rivolgere particolare attenzione al valore della carità, della solidarietà, seguendo in questo l'esempio delle prime comunità cristiane. I richiami agli uomini di governo e dell'imprenditoria sono espliciti: i loro sforzi devono essere rivolti a creare maggiore occupazione e uno sviluppo meno diseguale. Così a Vienna, il 20 giugno 1998, G. P., denunciando le situazioni di disagio e disumanità in cui versa gran parte del Terzo Mondo, non perde occasione per sottolineare i problemi del mondo occidentale, dove di fronte alle grandi ricchezze di pochi sopravvivono forme di indigenza di grandi masse. La critica è rivolta a un modello esasperato di capitalismo, dove il profitto calpesta la dignità della persona, dove intere famiglie, giovani senza lavoro, anziani vivono ai margini di una società opulenta. "Condizionato dalla competizione economica, il mercato della mano d'opera, anche con bilanci positivi, non prende l'avvio; perciò ritengo mio dovere farmi portavoce dei più deboli sottolineando che soggetto del lavoro è l'uomo come persona. Anche nell'odierno mondo del lavoro ci deve essere spazio per i deboli, i meno dotati, gli anziani e i portatori di handicap, e per tanti giovani che non hanno possibilità di accedere a una adeguata formazione". Wojtyła rivendica la necessità di un ordine morale, di un'etica del capitalismo capace di riconoscere la dignità di ogni uomo. Si è opposto al comunismo perché con la privazione delle libertà aveva determinato in molti Paesi una realtà di oppressione e di miseria. Ma constatare che una libera economia è subentrata al totalitarismo comunista non significa identificare acriticamente la prima con il bene e il secondo con il male, ma significa saper fare i conti con il bene e il male insiti nella libertà economica. In questo senso si rende necessaria la ricerca continua di un ordine morale, ogni volta che si è in presenza di una scelta libera: lo stesso ordine morale che è alla base del forte e deciso richiamo ai cattolici, in occasione del quinto anniversario dell'enciclica Evangelium Vitae, contro l'interruzione di gravidanza. "Non ha ragione d'essere quella sorta di mentalità rinunciataria che porta a ritenere che leggi contrarie al diritto alla vita - le leggi che legalizzano l'aborto, l'eutanasia, la sterilizzazione e la pianificazione delle nascite con metodi contrari alla vita e alla dignità del matrimonio - presentino una loro ineluttabilità e siano ormai quasi una necessità sociale. Al contrario, esse costituiscono un germe di corruzione della società e dei suoi fondamenti". Nella separazione tra sessualità e riproduzione non vi può essere progresso etico; il diritto alla vita è per l'uomo il diritto fondamentale.
A un Wojtyła interamente proteso verso la difesa della libertà dell'individuo, contro ogni forma politica che ne limiti o deprima la dignità, ha dunque fatto seguito il pontefice che riflette sulle sorti dell'umanità. Se il suo primo impegno "politico" è servito a battere il comunismo, a liberare il popolo della sua Polonia, lo sforzo successivo è stato rivolto soprattutto a dare risposte al senso di disorientamento dominante.
Se il crollo del muro di Berlino sembrava infatti prospettare un'epoca di felicità, nel superamento di tutte quelle conflittualità che avevano segnato la maggior parte del secolo e delle violenze che avevano cancellato le forme più elementari e profonde di umanità, gli avvenimenti successivi hanno smentito le attese. La società si è trovata a convivere con forme di grande democrazia e forme di negazione dei principali diritti del cittadino; con livelli di ricchezza e di benessere mai raggiunti che si contrappongono a forme di povertà e di miseria gravissime; con sforzi comuni per il superamento di confini e interessi nazionali e conflitti etnici che coinvolgono in guerre sanguinose intere popolazioni; con lo scontro tra il terrorismo internazionale dei gruppi islamici radicali e l'opzione militare adottata, oltre che dagli Stati Uniti guidati da G. W. Bush, anche dalla Russia di V. Putin.
Nei viaggi che ha moltiplicato nei Paesi in via di sviluppo, G. P. ha costantemente ripetuto che il fallimento del comunismo nei Paesi dell'Est non autorizza il capitalismo a imporre modelli di governo senza regole. La sua azione in favore della giustizia e della solidarietà internazionale, verso i deboli, verso tutti coloro che soffrono non si è mai indebolita; dal primo viaggio in Messico, tre mesi dopo la sua elezione, Wojtyła ha difeso la scelta di essere a fianco dei poveri e, pur invitando alla prudenza verso le posizioni dei teologi della liberazione, ha giustificato tutto ciò che l'insegnamento sociale della Chiesa può tollerare nella lotta contro le ingiustizie, le ineguaglianze sociali. Esempi di questo impegno "politico" sono la visita a Sarajevo dell'aprile 1997, gli appelli per la pace in Iraq del 1990 e del 2003, il viaggio a Cuba del gennaio 1998, la presa di posizione a favore di due Stati indipendenti e sovrani in Palestina espressa all'ambasciatore israeliano nel giugno 2003.
La dodicesima Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi, nell'agosto del 1997, lo ha visto esortare le nuove generazioni ad affrontare i problemi del terzo millennio. Una società aperta, liberatasi dai vincoli del nazismo e del comunismo, ha ritenuto troppo superficialmente, superate le grandi ideologie, di poter riporre nel libero mercato ogni possibilità di crescita e sviluppo democratico.
Da questa angolazione prospettica vanno letti i continui accenni del pontefice polacco alla necessità di stabilire una sorta di ordine morale, la volontà per alcuni versi intransigente di porre dei limiti alla libertà dell'individuo. Le posizioni di G. P. nei confronti della famiglia, della sessualità, alcune chiusure, anche rispetto alle posizioni assunte dalla Chiesa nel periodo del pontificato di Paolo VI, vanno lette tenendo presenti questi forti convincimenti. Solo la fede nei principi del cristianesimo, l'esempio di vita che ogni cristiano deve saper dare, possono essere la risposta nei confronti degli egoismi e degli individualismi dominanti, per consentire la fondazione di un'etica, di un rispetto reciproco, di una conoscenza dell'altro che devono divenire valori universali. Su questi forti richiami G. P. ha catalizzato l'attenzione e la partecipazione di giovani di tutto il mondo giunti a Roma nell'agosto del 2000, in occasione del Giubileo: due milioni di giovani che hanno accolto festosi l'invito "ad approfondire l'amicizia con Cristo e testimoniare la propria fede". La forza mediatica dell'avvenimento, la voce del vecchio pontefice, l'adesione impetuosa e convinta a un'idea di etica, di cultura, di solidarietà, di religiosità hanno scosso profondamente la coscienza dei partecipanti e degli spettatori: "Servire Cristo è libertà". Eppure a più riprese le parole di G. P. hanno diviso l'opinione pubblica: molti hanno letto in alcune delle sue scelte (quelle ad esempio operate con l'elevare, nel novembre 1982, l'Opus Dei a prelatura personale, e successivamente col portare a termine in modo molto rapido il processo di beatificazione del fondatore J. M. Escrivá de Balaguer), in alcuni discorsi, la volontà di fare marcia indietro rispetto alle posizioni raggiunte nel concilio Vaticano II.
Reazioni opposte ha suscitato la decisione del papa di chiedere perdono per alcuni atti compiuti dalla Chiesa nel passato, in particolare in occasione del Giubileo del 2000, scelta da alcuni considerata tardiva rispetto all'esigenza di purificazione della memoria cattolica, da altri ritenuta sintomo di indubbia forza dell'istituzione ecclesiastica, da altri ancora giudicata segno di cedimento del cattolicesimo in un contesto di serrato confronto con la cultura moderna.
Anche in questa circostanza, il pontefice si è posto in continuità con le posizioni espresse dal concilio Vaticano II, ma declinandole in modo tutto particolare. L'assise ecumenica, dopo decenni di tenace chiusura rispetto alla possibilità di riconsiderazione critica del passato, aveva infatti sollecitato i credenti a valutare le responsabilità storiche dell'istituzione ecclesiastica, seppur ribadendo l'immutata purezza della Chiesa. Wojtyła, sulla scia di queste indicazioni e riprendendo alcune affermazioni di Paolo VI, durante i primi anni del suo pontificato ha riconosciuto le colpe dei cattolici per le divisioni portate all'unità dei cristiani, ma in seguito ha allargato la sua disanima, sino a toccare differenti aspetti della storia della Chiesa. Dalle crociate al razzismo, dall'Inquisizione alle dittature, dagli scismi nella comunità cristiana ai rapporti con gli ebrei e con l'islam, il papa ha indicato pubblicamente le colpe della Chiesa e ha invitato i credenti a chiedere perdono: se, inizialmente, queste prese di posizione erano state occasionate da visite pastorali in luoghi carichi di segni del passato, verso la fine del pontificato tali pronunciamenti si sono ripetuti sino a configurare una precisa linea di azione, che ha caratterizzato l'ultimo tratto del magistero di Wojtyła.
Tale insistita richiesta di perdono si inseriva nella più generale strategia della Chiesa volta a rimarcare il ruolo del cattolicesimo nella modernità, dalla quale si attingevano gli strumenti di analisi critica del passato, per affermare tuttavia la rinnovata capacità dell'istituzione ecclesiastica di orientare nel presente le scelte dei fedeli. L'obiettivo pareva essere quello di rendere accettabile ciò che sino a poco tempo prima era stato considerato inaccettabile dalla stessa gerarchia ecclesiastica e di guidare, in tal modo, l'intera comunità cattolica in una transizione che, iniziata con il concilio, rischiava di arenarsi a causa delle tensioni presenti nella Chiesa: per rinsaldare la comunità dei fedeli era necessario depotenziare le punte più estreme del tradizionalismo e del rinnovamento cattolico e offrire alla società un'immagine compattamente risoluta della Chiesa, disponibile al confronto ma fermamente decisa nei suoi giudizi verso la modernità. Come emergeva nella lettera apostolica del 1994 Tertio Millennio Adveniente, nella quale si indicavano le linee di preparazione del Giubileo, il papa intendeva considerare il passato come un'efficace lezione sugli errori da evitare nel futuro e puntava a superare la situazione di crisi che segnava la presenza della Chiesa soprattutto nelle società dove più diffusi apparivano i fenomeni di secolarizzazione. Tale oscillazione tra volontà di riconsiderazione critica del passato e affermazione del ruolo pubblico della Chiesa nel presente rispondeva certamente alla necessità di arginare le critiche provenienti dagli ambienti cattolici più tradizionalisti, timorosi di un eccessivo indebolimento dell'istituzione ecclesiastica. Ma questa tensione, mai completamente risolta, rivela pure la persistenza del filo del discorso del pontefice, che intendeva offrire nuovi argomenti alla contrapposizione tutta attuale verso atteggiamenti privati e norme pubbliche ritenuti inammissibili dalla Chiesa. La revisione della condanna di Galileo, promossa dal papa già dal 1979, appare un momento significativo di tale duplice disegno: la sollecitazione di una revisione alla luce dei principi del Vangelo di questo aspetto oscuro della storia della Chiesa e l'affermazione della "giusta autonomia delle scienze" si accompagnavano all'indicazione delle finalità pratiche di tale confessione, in particolare rispetto alla necessità di contrastare il relativismo etico diffuso tra i credenti rispetto ai temi della ricerca scientifica e di promuovere leggi che salvaguardassero principi ritenuti intangibili.
In preparazione al Giubileo di inizio millennio, la scelta del papa di concentrare l'attenzione sull'antisemitismo e sull'Inquisizione ha dato l'opportunità di approfondire attraverso convegni e documenti, tra il 1997 e il 1998, origini e sviluppi di vicende che avevano implicato l'istituzione ecclesiastica. Il Giubileo diveniva quindi occasione di pentimento, via per una più intensa preparazione spirituale, tanto che nella Bolla di indizione Incarnationis Mysterium il pontefice affermava: "Come successore di Pietro chiedo che in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (29 novembre 1998).
La solenne celebrazione del 12 marzo 2000, quando nella basilica di S. Pietro furono ricordate dal papa e dai vertici dei dicasteri vaticani le sofferenze passate inflitte dalla Chiesa, rappresentò il momento culminante di un percorso che proseguì nei mesi seguenti: seppur, in alcuni casi, la purificazione della memoria sembrò legarsi a circostanze in cui parvero prevalere gli intenti diplomatici (come nel caso del riconoscimento dei peccati commessi durante l'evangelizzazione della Cina, a cui non era estranea la volontà di migliorare le relazioni con Pechino), in altre occasioni più netta apparve la linea perseguita dal papa: la preghiera lasciata tra le pietre del Muro occidentale a Gerusalemme nel marzo 2000, in cui si ricordavano le colpe commesse verso gli ebrei, la visita alla moschea di Damasco l'anno successivo, con l'invito al perdono reciproco tra cristiani e musulmani, e l'incontro ad Assisi nel gennaio 2002 con i rappresentanti delle religioni, in cui la domanda di pace e di giustizia si univa alla richiesta di condono dei peccati, appaiono momenti salienti di un disegno che poneva la riconciliazione quale presupposto essenziale per la pacifica convivenza tra gli individui e tra i popoli.
Osservando la parabola compiuta dal pontefice sul tema della purificazione della memoria, iniziata con interventi isolati e terminata come scelta caratterizzante l'intero magistero, è possibile tentare una valutazione complessiva del lungo pontificato di Wojtyła. L'eredità di Paolo VI e del concilio Vaticano II è stata interpretata dal papa polacco come necessità di adeguare la Chiesa ad alcune delle sollecitazioni provenienti dalla cultura moderna pluralista e secolarizzata, ma allo stesso tempo come possibilità di riaffermare la centralità dell'istituzione ecclesiastica all'interno delle società che più rapidamente si stavano allontanando dai riferimenti religiosi. Attraverso il suo magistero itinerante, i raduni oceanici, i contatti con le autorità politiche e le relazioni con i rappresentanti delle altre confessioni religiose, il papa intendeva raggiungere alcuni obiettivi, non sempre facilmente conciliabili tra loro: fare proprie, innanzitutto, le acquisizioni del pensiero scientifico, filosofico e politico diventate ormai patrimonio diffuso della società; permettere poi la transizione pacifica all'interno della Chiesa da posizioni di dura contrapposizione a scelte più concilianti rispetto alla modernità o, meglio, rispetto a quelle forme della modernità ritenute compatibili con la dottrina cattolica; compattare i cattolici intorno ai vertici ecclesiastici e contenere le persistenti spinte centrifughe (rappresentate sia dai gruppi innovatori, sia dagli ambienti tradizionalisti); restituire un'immagine della comunità cristiana il più possibile salda e coesa; ribadire infine la capacità della Chiesa di offrire i criteri fondanti per giudicare il passato come il presente dell'umanità e, dunque, di indicare autorevolmente i principi in grado di regolare la convivenza civile.
Le ambivalenze presenti nel discorso pontificio spiegano, almeno in parte, la presenza di diffuse adesioni al suo messaggio anche tra i non cattolici, ma insieme la dichiarata opposizione, la ripetuta resistenza e la sottile riluttanza verso affermazioni che lasciavano irrisolto il nodo del confronto con la modernità, vale a dire la possibilità dell'individuo di autodeterminarsi svincolato da qualsiasi autorità religiosa.
Nel corso del suo lungo ministero pontificale, se da un lato gli è stata riconosciuta la capacità di comprendere l'evoluzione della società contemporanea, dall'altro gli si è anche contestato il freno che è sembrato che egli ponesse al dinamismo di alcuni fenomeni sociali, sottolineando il suo essere poco "innovatore". I giovani, quelli a cui maggiormente sono stati rivolti l'interesse e l'azione del papa, hanno sottolineato talvolta la scarsa apertura verso il mondo attuale: critica che si lega direttamente ad una lettura più politica che religiosa del suo pontificato.
La conclusione della sua vita, con i due successivi ricoveri al Policlinico Gemelli nel febbraio 2005, il ritorno in Vaticano il 13 marzo, la crisi definitiva confermata dal Vaticano il 31 marzo e i giorni dell'agonia, accompagnati da una esplosione di partecipazione commossa in Italia come nel mondo, hanno messo in evidenza ancora una volta il carisma di questo pontefice.
La sera del 2 aprile 2005 G. P. si spegneva: tre milioni di pellegrini invadevano Roma da quel giorno fino alla celebrazione delle esequie (8 aprile) in piazza S. Pietro, di fronte a 172 delegazioni ufficiali formate dai più importanti capi di Stato e di governo. Un evento religioso, istituzionale, mediatico e popolare insieme, che ha chiuso con un segno imponente il terzo pontificato, per durata, della storia.
Il successore di G. P., Benedetto XVI, il 28 aprile dello stesso anno ha accordato la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte per l'inizio della causa di beatificazione e canonizzazione, aperta ufficialmente il 28 giugno successivo. Il 1° maggio 2011 G. P. è stato proclamato beato. Festa, 22 ottobre.
Encicliche di G. P.: Redemptor Hominis (4 marzo 1979); Dives in Misericordia (30 novembre 1980); Laborem Exercens (14 settembre 1981); Slavorum Apostoli (2 giugno 1985); Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986); Redemptoris Mater (25 marzo 1987); Sollicitudo Rei Socialis (30 dicembre 1987); Redemptoris Missio (7 dicembre 1990); Centesimus Annus (1º maggio 1991); Veritatis Splendor (6 agosto 1993); Evangelium Vitae (25 marzo 1995); Ut Unum Sint (25 maggio 1995); Fides et Ratio (14 settembre 1998); Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003). Lettere apostoliche (selezione): Dominicae Cenae (1980); Egregiae Virtutis (1980); Redemptionis Anno (1984); Dilecti Amici (1985); Euntes in mundum (1988); Ecclesia Dei (1988); Mulieris Dignitatem (1988); In occasione del cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda guerra mondiale (1989); Ordinatio Sacerdotalis (1994); Tertio Millennio Adveniente (1994); Orientale Lumen (1995); Per il quarto centenario dell'Unione di Brest (1995); Ad Tuendam Fidem (1998); Dies Domini (1998); Apostolos Suos (1998); Incarnationis Mysterium (1998); Inter Munera Academiarum (1999); In occasione del terzo centenario dell'unione della Chiesa greco-cattolica di Romania con la Chiesa di Roma (2000); Novo Millennio Ineunte (2001); In occasione del 1700º anniversario del Battesimo del popolo armeno (2001); Epistola apostolica diretta al popolo cattolico di Ungheria a compimento del "Millennio Ungarico" (2001); Misericordia Dei (2002); Rosarium Virginis Mariae (2002); Spiritus et Sponsa (2003); Mane nobiscum Domine (2004); Il rapido sviluppo (2005). Esortazioni apostoliche: Catechesi Tradendae (1979); Familiaris Consortio (1981); Redemptionis Donum (1984); Reconciliatio et Paenitentia (1984); Christifideles Laici (1988); Redemptoris Custos (1989); Pastores Dabo Vobis (1992); Ecclesia in Africa (1995); Vita Consecrata (1996); Una speranza nuova per il Libano (1997); Ecclesia in America (1999); Ecclesia in Asia (1999); Ecclesia in Oceania (2001); Ecclesia in Europa (2003); Pastores gregis (2003).
I testi papali sono consultabili su "L'Osservatore Romano" del giorno successivo all'avvenimento cui si riferiscono o, in ordine cronologico, nei volumi e nei Cd-Rom della collezione Insegnamenti di Giovanni Paolo II (omelie, discorsi, lettere, messaggi, telegrammi, udienze generali, preghiere), pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana. L'intera documentazione relativa agli atti e agli scritti di G. P. è consultabile presso il sito ufficiale della Santa Sede all'indirizzo www.vatican.va.
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