Giovanni Paolo II
Non abbiate paura!
Luci di un lungo pontificato
di Giulio Andreotti
2 aprile
Giovanni Paolo II si spegne nel suo appartamento in Vaticano alle 21.37. Dopo l'annuncio della morte il presidente della Repubblica Ciampi, in un messaggio trasmesso a reti unificate, ricorda il valore storico, oltre che morale, del pontificato di Giovanni Paolo II per il ruolo svolto nell'accorciare le distanze tra Est e Ovest e per avere indicato una strada di libertà e giustizia e averla perseguita con tutte le forze.
È uno di noi
L'emozione suscitata il 16 ottobre 1978 all'annuncio che dopo 455 anni era stato eletto un Papa 'straniero' fu superata rapidamente. Già nella sua presentazione dalla loggia della Basilica di S. Pietro, il nuovo Papa aveva suscitato istintiva simpatia parlando della "vostra, anzi nostra lingua italiana" e con un piccolo errore accattivante ("se sbaglio mi corriggerete").
Le biografie di Karol Wojtyla, diffuse dalla stampa e dalle televisioni, misero in luce caratteristiche eccezionali dell'arcivescovo di Cracovia: seminarista clandestino durante l'occupazione della Polonia, lavorando nel contempo come operaio presso la Solvay per sfuggire alla deportazione; sacerdote dedito particolarmente ai giovani; fierissimo resistente nei confronti del regime comunista. Godeva inoltre del forte accredito dato dai giudizi espressi su di lui dal leggendario cardinale Stefan Wyszynski. Il primate di Polonia, arrestato nel settembre 1953 e isolato per tre anni fino all'avvento di Wladyslaw Gomulka, a suo modo innovatore nel regime di dittatura, fu anche in seguito il punto più alto e più fermo della Resistenza.
Altri particolari si aggiunsero presto, specialmente sull'amore di Giovanni Paolo per il teatro - prima della vocazione al sacerdozio - e sul suo forte impegno a favore di un movimento di lavoratori cattolici, duramente osteggiato dai governanti.
Da notare che da allora, tradotto in italiano, il termine Solidarnosc dette cittadinanza sociale all'interclassismo, che fino a quel momento era considerato da molti un sintomo di impostazione reazionaria o almeno di conservazione. Giovanni Paolo II sarebbe stato il Papa della solidarietà.
Ma vi era un elemento aggiuntivo di attrazione popolare, che rendeva simile il nuovo Papa a Giovanni XXIII e a Giovanni Paolo I, rimasto sul soglio pontificio un solo mese: la provenienza da una famiglia socialmente di modestissimo livello. Dopo il congedo dato da Paolo VI alla nobiltà e al patriziato romano, l'immagine dei familiari di Papa Luciani presenti alla liturgia di insediamento aveva fortemente colpito, così come le immagini popolari bergamasche della famiglia Roncalli. Per la terza volta lo Spirito Santo esaltava gli umili.
Andare ad amministrare il battesimo al bambino di un netturbino romano fu una scelta spontanea in un personaggio che non era vicino ai lavoratori, ma aveva appartenuto in prima persona, come già detto, alla categoria sociale di prestatori d'opera. Il privilegiato padre, che all'inizio era imbarazzato, se ne uscì con una battuta emblematica: "è uno di noi".
Un altro profilo del cardinal Wojtyla venne messo presto in evidenza: la grande apertura culturale, unita a una rigorosa fermezza sui principi. Di fatto avrebbe avuto un fortissimo rapporto di dialogo diretto con filosofi e scienziati, adottando posizioni coraggiosissime di revisione storica, sempre in una grande intransigenza dottrinale. Al termine di un pontificato dalla straordinaria durata di quasi 27 anni, le dimensioni e l'intensità di attenzione e partecipazione di tutto il mondo sono state inimmaginabili, pur tenendo conto dell'impatto dei mezzi di comunicazione nel frattempo tanto accresciuto.
Il successore di Papa Wojtyla eredita questa moltiplicata risonanza e sono certo che si ispira al tracciato delineato con identiche parole da Paolo VI e da Giovanni Paolo II: 'novità nella continuità'.
La sua Polonia
La novità più rilevante introdotta da Giovanni Paolo II sono state certamente le visite pastorali alle comunità di tutto il mondo, anche in aree dove i cattolici sono una piccola frazione. Iniziò nel gennaio 1979 recandosi in Messico, dove si riuniva l'episcopato latino-americano, in un contesto denso di problemi. Papa Luciani aveva deciso di inviarvi suoi 'legati' e al nuovo Pontefice i dignitari consultati suggerirono, con differenti motivazioni, di fare altrettanto: chi per riguardo al predecessore; chi per il rischio di avallare - presenziando all'inizio - eventuali debordamenti successivi; chi, per il non meno delicato pericolo - portandosi laggiù al termine - di essere obbligato a contrastare pubblicamente le non improbabili posizioni estremiste. Il Papa si raccolse in preghiera e disse con fermezza: "grazie dei consigli, andrò". E tenne laggiù discorsi incisivi, fermi e commoventi. Un esordio stupendo. Al ritorno, essendo il primo viaggio, andai a ossequiarlo in aeroporto e gli chiesi se fosse stanco.
Mi rispose: "quando le cose vanno bene non stancano".
Quattro mesi dopo andò nella sua Polonia. Paolo VI aveva invano chiesto di recarvisi. Il governo si era opposto senza esitazioni. Tuttavia quando nel novembre 1977 venne a Roma, Edward Gierek - che aveva insieme la qualifica di primo segretario del Partito operaio unificato e di primo ministro - chiese e ottenne udienza in Vaticano e Papa Montini gli rivolse un impegnativo saluto: "Noi siamo certi di poter dare aperta assicurazione che ancora oggi la Chiesa è pronta a offrire alla società polacca il suo contributo positivo". L'ospite rispose: "Sono rimasto profondamente contento di questo incontro, che ha soddisfatto le mie aspettative. Esso ha per me una grande importanza.
La causa che ci unisce tutti, come abbiamo sottolineato in comune con il primate di Polonia, cardinale Stefan Wyszynski, durante la conversazione del mese scorso, è la preoccupazione per la felicità della nostra patria, la Repubblica popolare di Polonia".
Ma c'è di più. Alla colazione ufficiale di restituzione offerta al governo italiano da Gierek al Grand Hotel, furono invitati sia il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato, sia lo stesso Wyszynski. Casaroli era il silenzioso pellegrino della politica esterna della Santa Sede, da quando, preso atto della sussistenza dei regimi comunisti, si ricercò qualche spiraglio di modus vivendi attutendo, per quanto possibile, le persecuzioni e assicurando un minimo di spazio vitale alla Chiesa. Casaroli era stato anche, per conto della Santa Sede, tra i firmatari dell'Atto Unico di Helsinki che nel 1975 aveva raccolto l'adesione di tutti i governi europei (esclusa l'Albania) insieme a quella degli Stati Uniti e del Canada.
Lo aveva voluto Paolo VI, condividendone la difesa fattane da Aldo Moro, che rappresentava l'Italia e anche, per il turno semestrale, la Comunità Europea.
A chi obiettava sulla validità di firmare un atto insieme a Leonid Breznev, che nel contempo riconfermava la sovranità limitata dei suoi Alleati, Moro aveva replicato: "Breznev passerà e queste linee di cooperazione e di sicurezza comune resteranno".
Di fatto, crollata l'URSS, gli stessi Stati - questa volta anche l'Albania - sottoscrissero a Parigi la Carta per la Nuova Europa. Purtroppo i relativi sviluppi ancora ritardano.
In Polonia monsignor Casaroli si era recato più volte.
I suoi contatti avevano avuto inizio nell'aprile 1965 con l'ambasciatore polacco presso il governo italiano.
I problemi erano particolarmente difficili, per le conseguenze della guerra e la questione dei confini con la Germania. Ai molti delicati nodi politici si era aggiunta la reazione furiosa del governo di Varsavia contro Wyszynski, che aveva teso la mano ai vescovi tedeschi in un gesto di riconciliazione dei popoli.
Tornando al pranzo romano del 1977, a tavola si parlò anche della Chiesa e Gierek tenne a dire che sua madre, pur avendo 85 anni, andava ogni domenica alla messa. E parlò con molto riguardo sia di Paolo VI (ricordandone il servizio in nunziatura a Varsavia) sia di Pio XI e di Giovanni XXIII. Su Pio XII invece si espresse con severità, addebitandogli il silenzio durante l'occupazione della Polonia. Mi riservai di fargli recapitare la documentazione del messaggio di solidarietà con i polacchi perseguitati che Papa Pacelli aveva inviato al cardinal Adam Sapieha e questi aveva ritenuto prudente non rendere pubblico, per non aggravare ulteriormente le persecuzioni.
Gli archivi, che la caduta dell'impero sovietico ha più tardi reso possibile consultare, attestano che la travolgente accoglienza popolare riservata a Giovanni Paolo II nei cinque giorni della sua visita in Polonia nel giugno 1979 andò oltre ogni previsione del governo, che dovette arginare le forti e stizzite reazioni dei compagni di Mosca.
In Polonia (esattamente nel piccolo centro di Szklarska Poreba), sotto l'egida sovietica, i partiti comunisti di tutta Europa avevano dato vita, agli inizi del 1948, al Cominform: un consorzio che li collegava in un disegno congiunto di conquista e di offesa. Dalla Polonia partì lo sgretolamento del comunismo.
A proposito del giudizio storico sull'impatto determinante avuto dal papato di Giovanni Paolo II nella crisi delle dittature dell'Est europeo, certamente già il primo viaggio rappresentò una scossa profonda al sistema. Non si forza l'interpretazione degli eventi collocando nei successivi due viaggi polacchi del Papa (giugno 1983 e giugno 1987) altrettanti colpi di piccone, non solo entro i confini di quel paese.
Posso riferirmi in particolare alla situazione del 1984, che ebbi modo come ministro degli Esteri di vivere da vicino, con una certa autonomia di posizioni italiane rispetto agli altri paesi dell'Alleanza Atlantica, che avevano assunto una netta presa di distanza anche diplomatica per reagire al colpo di Stato del generale Wojciech Jaruzelski e a episodi gravissimi come l'uccisione del patriottico sacerdote Jerzy Popieluszko.
Il governo di Varsavia era molto sensibile all'isolamento in cui si trovava e accettò le due condizioni da noi poste per una visita italiana che rompesse la loro quarantena dall'Occidente: omaggio pubblico alla tomba del sacerdote assassinato e un contatto con gli esponenti di Solidarnosc.
Mi recai a Varsavia dal 20 al 23 dicembre: il Papa mi ricevette prima e dopo (15 e 29 dicembre). Potei informarlo della commovente messa presso le spoglie di don Popieluszko (con tanto popolo e tanti fiori) ma specialmente trasmettergli quanto mi aveva detto Jaruzelski: il comitato centrale del Partito si era occupato a fondo dell'omicidio del combattivo sacerdote perché, oltre il sollecito e regolare processo penale, occorrevano misure per prevenire il ripetersi di simili misfatti; le radici cristiane della Polonia erano profonde (Jaruzelski stesso aveva studiato dai 'mariani') ma nel passato storicamente vi era stato il dominio dei nobili e occorreva ora costruire un regime di popolo; Solidarnosc aveva una visione giusta di fusione tra operai, intellettuali e ceto medio, ma correva un rischio di inquinamento (le parole di Jaruzelski erano state: "Ho trovato un Partito comunista bisognoso di un forte uso di aspirapolvere; ma c'è il rischio che la polvere che noi ci siamo scrollati di dosso vada a sporcare la stessa Solidarnosc"); sapeva che alcuni quasi si rammaricavano pensando che con l'atteggiamento di ferma condanna dell'assassinio di Popieluszko e di rimozione di altri aspetti il governo si era rafforzato. Con grande precisione, il generale si era dichiarato filosovietico ma 'patriota indipendente'.
Negli anni successivi (e ancora oggi negli incontri del Forum creato da Gorbacev) ho avuto modo di approfondire questa particolarissima posizione, che allora non era facile comprendere.
In una particolare circostanza il Papa espresse preoccupazione per il possibile impoverimento oggettivo della sua nazione. Ci eravamo sforzati di agevolare l'esodo di famiglie polacche verso gli Stati Uniti, disponendo all'arrivo da Varsavia un centro di sosta a Latina, anche con un insegnamento elementare di qualche nozione della lingua. In verità considerare questi migranti perseguitati politici era un po' forzato perché il loro governo favoriva, anzi organizzava, l'esodo. Ma era condizione per avere il consenso americano. Comunque in una dittatura, salvo i fedelissimi, sono tutti sotto persecuzione.
Fui sorpreso nell'ascoltare in un'udienza del Santo Padre la sua forte perplessità al riguardo, anche se non ci disse di cambiare politica. Vedeva con inquietudine, nell'immediato, l'esodo di non allineati con il regime e, in prospettiva, la perdita nel nuovo contesto di vita di qualità genuine e di tradizioni spirituali della sua gente. Devo ora riconoscere che era un'analisi molto giusta.
I pellegrinaggi apostolici
Il Papa riservò il terzo dei suoi pellegrinaggi apostolici all'Irlanda e agli Stati Uniti, mentre l'ultimo (centoquattresimo) è avvenuto significativamente nell'agosto del 2004 tra i malati di Lourdes. In Polonia tornò ancora nel giugno e nell'agosto del 1991, nel maggio 1997, nel giugno 1999 e nell'agosto del 2002. Vanno aggiunte le 13 visite alle sedi di organizzazioni internazionali, da New York (ONU nel settembre 1979 e nell'ottobre 1995) a Parigi (UNESCO nel giugno 1980).
Due aspirazioni sono rimaste invece insoddisfatte.
Alla visita a Mosca, a causa di una contrarietà del Sinodo, si è sempre opposto quel Patriarca (lo disse anche a me), mentre la mancanza di relazioni diplomatiche con la Repubblica popolare e anche l'esistenza di due comunità cattoliche parallele laggiù hanno impedito l'andata in Cina. A questa nazione il Santo Padre, dopo l'epistola del 6 gennaio 1982 De precibus ad Deum pro ecclesia in Sinis fundendis, ha dedicato nel 2002, in occasione delle celebrazioni del grande gesuita missionario Matteo Ricci, un messaggio molto importante, nel quale si riconoscono, lungo i secoli, anche errori e colpe addebitabili alla Chiesa. Penso che questo difficile dialogo sarà nei prossimi anni continuato con altrettanta fiducia e apertura.
Tra l'altro, nell'avvenuta dilatazione delle relazioni diplomatiche - gli Stati accreditati presso la Santa Sede essendo passati sotto l'ultimo pontificato da 108 a 172, comprese nazioni molto significative come Israele e la Libia, nonché l'Autorità Palestinese - l'assenza della Cina è quasi illogica.
Alle visite mancate va aggiunta quella non consentita alla terra originaria di Abramo. Dell'Iraq il Papa ha avuto tuttavia occasione di occuparsi più tardi, condannando con fermezza l'occupazione straniera di quello Stato.
Oltre ai viaggi all'estero vanno ricordati quelli in Italia: Giovanni Paolo II ha visitato tutte le diocesi (in alcuni centri è tornato più di una volta). Inoltre si è recato presso quasi tutte le parrocchie di Roma (sempre con soste approfondite e contatti ad ampi livelli).
Cittadino di un paese già ostilissimo e ora appartenente all'Unione Europea, Papa Wojtyla ha avuto spesse volte occasione - anche, anzi al di fuori delle polemiche per la omessa menzione nella recente Costituzione - di approfondire il tema delle radici cristiane dell'Europa. Lo fece una volta in termini poetici, attratto sul Monte Bianco dal fascino delle cime possenti e delle nevi immacolate: "L'Europa deve cercare di ricostruire una sua rinnovata e più solida unità meditando sul ruolo decisivo che nelle nostre nazioni ha costituito il patrimonio delle verità della fede cristiana".
Ma devo far menzione anche di un altro momento, nel quale verificai come la grande comunicativa del Pontefice sapesse risolvere la complessità dei rapporti diplomatici, nello specifico quello con i sovietici. Era il 1982 e si svolgeva in Roma la Conferenza generale dell'Unione Interparlamentare, che raccoglie le rappresentanze di 90 paesi. Era in programma l'udienza del Santo Padre. Alla vigilia il capo della delegazione dell'URSS, onorevole Ruben, venne a chiedermi con imbarazzo se vi fosse il rischio che il discorso del Pontefice creasse in loro disagio (qualche anno prima in analoga circostanza non avevano prudentemente partecipato all'udienza).
Potei rassicurarlo in proposito. I sovietici vennero e ascoltarono la netta affermazione che la libertà religiosa non è che una faccia di un prisma unico che è la libertà. Il Papa salutò una a una le delegazioni e parlò con Ruben (in russo) più a lungo che con gli altri. Al pomeriggio lo stesso Ruben, in un incontro informale - perché i rapporti tra il PCUS e il PCI erano congelati -, tenne a dire polemizzando con l'onorevole Pajetta che egli era un luterano e non un "senza Dio".
La Chiesa, i santi e i giovani
Un tema che aveva creato molte preoccupazioni in Paolo VI e che era stato anche alla base di divergenze - forse esageratamente interpretate - durante il Concilio e anche tra cardinali italiani alla vigilia del Conclave del 1978 (è da ricordare un'intervista del cardinale Giuseppe Siri al riguardo) era la cosiddetta collegialità nella conduzione della Chiesa.
Giovanni Paolo II ribadì fermamente che il Papa lo elegge il collegio dei cardinali e al modo di elezione apportò soltanto modifiche di procedura, ipotizzando che alla regola dei due terzi dei suffragi potesse derogarsi, dopo un certo numero di giorni e di votazioni, abbassando il quorum alla maggioranza semplice. L'aumentato numero dei cardinali stessi (anche se non più votanti gli ultraottantenni) rende logica questa innovazione, di cui tuttavia nel Conclave del 2005, durato poco più di ventiquattro ore, non vi è stato alcun utilizzo. Per rendere meno disagevole il soggiorno segregato dei cardinali, Papa Wojtyla ha fatto ristrutturare l'edificio di Santa Marta, con il numero necessario di piccoli, decorosi appartamentini.
A un concetto sano di condivisione ha corrisposto, nel corso del pontificato, il potenziamento dei Sinodi.
I temi delle diverse tornate hanno toccato via via non solo i problemi della Chiesa, ma anche l'aggiornamento sulle analisi delle culture e realtà socioeconomiche dei cinque continenti. Accanto ai diretti rappresentanti dell'episcopato, ai Sinodi partecipano esperti qualificati. Fu significativa in proposito la presenza per un mese a Roma di Madre Teresa di Calcutta.
Mai aveva avuto tanto lavoro come con Giovanni Paolo II la Congregazione per le cause dei Santi.
E secondo un indirizzo preciso. Da un lato non accettando che motivi di cosiddetta prudenza storico-politica bloccassero itinerari di ricognizione da tempo maturi (vedi il caso del beato Pio IX). Dall'altro, volendo mostrare che vi è una santità moderna, anzi contemporanea, che va riconosciuta e proposta come modello di vita: dalla stessa affascinante suora di Calcutta (che vidi una volta 'dirigere' il Papa all'inaugurazione della casa di accoglienza 'Donum Mariae', nell'edificio del Santo Uffizio) a Padre Pio da Pietrelcina, da Massimiliano Kolbe a José María Escrivá de Balaguer, da don Orione alla suora polacca Faustina Kowalska, apostola dell'Amore misericordioso. Con intelligente pazienza il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, ha chiarito tanto bene che si è trattato di una precisa linea di magistero. A chi ha gridato che Dio è morto, il Papa ha voluto dare documentate risposte elevando agli altari nuovi testimoni di fede e anche di martirio.
Un altro aspetto ha caratterizzato Papa Wojtyla: la reciproca attrazione avuta per i giovani e con i giovani; sempre, ma particolarmente nelle Giornate internazionali loro dedicate. A parte quella, indimenticabile, di Roma nel 2000, ricordo per quella di Parigi nel 1997 il disattento scetticismo iniziale della stampa. Dopo due giorni i quotidiani uscirono con titoli a tutta pagina parlando di 'apoteosi'.
È una preziosa eredità che il Papa ha lasciato. L'appuntamento di Colonia, al quale avrebbe voluto partecipare, rappresenta il passaggio del testimone di guida di una Chiesa viva.
Per concludere ricordo anche tre eventi particolari dell'ultimo Pontificato: il grande Giubileo di inizio del Terzo Millennio, con due giornate memorabili destinate ai politici e ai pubblici amministratori di tutto il mondo; la visita al Parlamento italiano il 14 novembre 2002, con un discorso che ha chiuso significativamente ogni vecchia memoria di contrasto temporalistico tra Stato e Chiesa; infine il conferimento al Santo Padre della laurea honoris causa deliberato dall'Università della Sapienza nel settimo centenario dello Studium Urbis.
Un Papa comunicatore
Di Papa Wojtyla restano, oltre a migliaia di discorsi, non pochi documenti importanti di Magistero.
Ma resta anche, accanto al commovente congedo testamentario, un libro-intervista uscito pochi mesi prima della morte, in qualche modo riassuntivo.
Un capitolo è dedicato al drammatico 13 maggio 1981 quando il giovane sicario turco Ali Agca attentò alla sua vita. Il Papa spiega che obiettivamente sotto quei colpi non poteva non morire. Sopravvisse e indica nella Madonna di Fatima l'intermediazione salvifica che ha voluto che il suo operato continuasse. Anche quando, negli ultimi anni, la malattia avrebbe condizionato il suo fisico, ma mai l'intelletto e la volontà.
Al rapporto con i mezzi di comunicazione il Papa ha riservato sempre molta attenzione. Nei suoi viaggi ospitava a bordo degli aerei numerosi giornalisti, riservando a ciascuno momenti di attenzione.
Con la nomina di un eccellente capo della Sala stampa, Joaquín Navarro Valls, assicurò tempestive e documentate informazioni.
Già con Paolo VI si erano avuti miglioramenti, attenuandosi la rigidità protocollare della Corte pontificia, che comportava anche formule abbastanza strane. Per esempio, l'Osservatore Romano pubblicava i testi dei discorsi di Pio XII con la dicitura: "Così come li abbiamo raccolti delle sue auguste labbra", ma indicava in dettaglio per ogni citazione la fonte (spesso la dotta Patrologia di Jacques-Paul Migne). Erano forse residui protocollari del Papa sovrano.
Le dettagliate informazioni del dottor Navarro negli ultimi momenti di vita di Giovanni Paolo II resteranno a lungo nella memoria di tutti.
repertorio
Cenni biografici
La giovinezza
Karol Józef Wojtyla nacque il 18 maggio 1920 a Wadowice, cittadina della Polonia meridionale, a pochi chilometri da Cracovia, da una famiglia modesta. Il padre era un sottufficiale nell'esercito austriaco, divenuto dopo la guerra ufficiale di quello polacco. A nove anni Karol perse la madre, Emilia Kaczorowska, e a questo dolore si unì non molto tempo dopo quello per la morte dell'unico fratello, Edmund, maggiore di lui di 13 anni.
Nel 1938 il futuro pontefice lasciò con il padre Wadowice per trasferirsi a Cracovia, dove si iscrisse alla Università Jagellonica. Mentre frequentava i corsi di filologia, lingua e letteratura polacca, fece alcune esperienze teatrali con una compagnia chiamata 'Studio 38'. Nello stesso periodo si accostò agli scritti dei grandi mistici, san Giovanni della Croce e santa Teresa d'Avila.
Le forze di occupazione naziste chiusero l'università nel 1939. Nell'autunno 1940 il giovane Karol per evitare la deportazione in Germania cominciò a lavorare in una cava di pietre a Zakrzowek. Vi rimase per un paio di anni, per essere poi trasferito come operaio alla fabbrica chimica Solvay. Nel 1941 morì suo padre.
Nel 1942 cominciò a frequentare i corsi clandestini dell'Università Jagellonica e, pochi mesi dopo, entrò nel seminario, anch'esso clandestino, diretto dal cardinale Adam Stefan Sapieha, che successivamente lo accolse con altri seminaristi nel palazzo dell'arcivescovado, dove poté rimanere fino alla fine della guerra. Nello stesso periodo fu uno dei promotori del Teatro Rapsodico, che teneva rappresentazioni non autorizzate in abitazioni private. Il 17 dicembre 1944 prese i due primi ordini minori.
Terminato il conflitto, Wojtyla continuò gli studi nel seminario maggiore di Cracovia, che era stato riaperto, e nella facoltà di teologia dell'Università Jagellonica, fino all'ordinazione sacerdotale, avvenuta il 1° novembre 1946. Pochi giorni dopo partì da Cracovia e si trasferì a Roma per frequentare la pontificia università San Tommaso d'Aquino 'Angelicum', dove nel 1948 conseguì il dottorato in teologia con una tesi sulla dottrina di san Giovanni della Croce.
Gli anni del sacerdozio e dell'episcopato
Ritornato in Polonia, Wojtyla si laureò in teologia anche nella sua prima università e svolse le funzioni di viceparroco nel villaggio di Niegowic. Nel 1949 fu trasferito nella parrocchia di S. Floriano a Cracovia e fu anche cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Iniziavano allora gli anni più duri del regime comunista, segnati poi dall'arresto del cardinal Stefan Wyszynski e di monsignor Eugeniusz Baziak, arcivescovo di Cracovia, dalla chiusura della facoltà di teologia della Jagellonica, dalla violenta censura ai danni delle riviste cattoliche. Nel 1956 Wojtyla ebbe la cattedra di teologia morale ed etica nel seminario maggiore di Cracovia e nell'Università Cattolica di Lublino, rimasta l'unico ateneo cattolico in tutti i paesi del blocco di Varsavia. Nel 1958, alla morte di Baziak, fu nominato vescovo ausiliario di Cracovia da Pio XII.
Nell'ottobre 1962 si trasferì a Roma come portavoce dell'episcopato polacco al Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962-8 dicembre 1965), nel quale fu anche membro della commissione di studio per i problemi della popolazione, della famiglia e della natalità, e di quella incaricata di redigere il testo della costituzione Gaudium et spes.
Il 30 dicembre 1963 Paolo VI lo designò arcivescovo di Cracovia. Il Partito comunista era ancora fortemente ostile ai cattolici. A rendere vieppiù tormentate le relazioni tra Stato e Chiesa era intervenuta una lettera di riconciliazione dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi, che fu proprio Wojtyla a redigere nel dicembre 1965. Nel 1968 fu sciolta brutalmente una grande manifestazione di intellettuali e studenti cattolici che tentavano di occupare le università. La reazione del governo Gomulka costrinse all'esilio più di 20.000 persone
Intanto il 28 maggio 1967 Karol Wojtyla era stato proclamato cardinale da Paolo VI. Per nomina pontificia partecipò ai Sinodi dei vescovi del 1969, del 1971, del 1974 e del 1977, svolgendo più volte il ruolo di membro del Consiglio della segreteria generale. Nel Sinodo del 1974 fu relatore per la parte teologica dello schema sull'evangelizzazione del mondo contemporaneo.
Il 16 ottobre 1978, alla morte di Giovanni Paolo I, scomparso prematuramente il 28 settembre, dopo solo 33 giorni di pontificato, fu prescelto come 263° successore di Pietro. Fu eletto all'ottava votazione dai 110 membri riunitisi in un conclave durato tre giorni. La sua candidatura, avanzata dal cardinale di Vienna Franz König, aveva ricevuto l'appoggio dei cardinali tedeschi, prevalendo su quella dei due italiani Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, e Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze. Si trattava del primo Papa non italiano dopo 455 anni, cioè dai tempi dell'olandese Adriano VI (1522-23).
Il pontificato
Il 22 ottobre 1978 Karol Wojtyla iniziò il ministero di pontefice assumendo il nome di Giovanni Paolo II, per esprimere, così come aveva fatto il suo immediato predecessore, la volontà di proseguire nel cammino intrapreso da Giovanni XXIII e Paolo VI. Nel discorso inaugurale indicò il suo 'programma' pastorale: far conoscere il messaggio evangelico in tutto il mondo, senza paura.
Nel gennaio 1979, dopo aver ricevuto in udienza il ministro degli esteri sovietico Andrei Gromyko, partì per il suo primo viaggio apostolico alla volta di Santo Domingo e del Messico, dove prese parte alla Terza conferenza generale dell'episcopato latino-americano. Il 4 marzo di quell'anno firmò la prima delle sue 14 encicliche, la Redemptor hominis che sottolineava l'attualità del messaggio e dell'esempio di Cristo; fu tra l'altro il primo documento pontificio in cui veniva abbandonato il plurale maiestatis.
In giugno compì la sua prima visita pastorale in Polonia, dove nel corso del pontificato si sarebbe recato altre sette volte. A Cracovia celebrò la messa davanti a 2 milioni di persone e durante l'omelia rivendicò con chiarezza il diritto alla libertà religiosa e la volontà di costruire l'unità spirituale dell'Europa cristiana. Il 30 giugno tenne il suo primo concistoro creando 14 cardinali (più uno riservato in pectore, il cinese Ignatius Kung Pin-mei, che sarebbe stato pubblicato solo nel 1991). Nell'ottobre successivo, durante il viaggio negli Stati Uniti, pronunciò un discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani e della libertà religiosa. Nello stesso anno in Turchia incontrò il patriarca di Costantinopoli Dimitrios I e assistette a una liturgia ortodossa.
In questi primi atti possono essere individuati molti degli aspetti caratterizzanti i 26 anni, 5 mesi e 17 giorni di regno di Giovanni Paolo II, che per durata si pone al terzo posto nella storia della Chiesa, dopo quelli di san Pietro (secondo la tradizione 34 o 37 anni) e Pio IX (31 anni e 7 mesi). Tra i temi che principalmente connotano questo lungo pontificato, infatti, spiccano la necessità di una nuova predicazione del Vangelo, la difesa e la promozione dei diritti umani (in particolare la libertà religiosa), la tutela della vita (contro l'aborto, l'eutanasia e ogni forma di violenza), la protezione della famiglia, il dialogo interreligioso, la pace.
La visita in Polonia del giugno 1979 non ebbe importanza solo dal punto di vista religioso. Era evidente in Giovanni Paolo II la volontà politica di sollecitare il ripristino di una democratica convivenza civile nella nazione. Deciso fu in seguito il suo sostegno a Solidarnosc, la confederazione nazionale di sindacati indipendenti fondata il 17 settembre 1980. Nell'agosto 1980 scrisse all'episcopato polacco diverse lettere d'appoggio alle rivendicazioni operaie dei cantieri navali di Danzica e della nascente Solidarnosc e nel dicembre dello stesso anno non esitò a inviare al presidente sovietico Leonid Breznev un'accorata lettera in difesa della sovranità polacca, minacciata dalle truppe del Patto di Varsavia. Richiamandosi agli accordi di Helsinki del 1975, Giovanni Paolo ricordava a Breznev che l'intervento militare sarebbe stato paragonabile all'invasione nazista del 1939. Gli stessi temi furono ripresi durante la seconda visita polacca, avvenuta in un clima di forte tensione nel 1983, dopo la salita al potere del Consiglio militare presieduto da Wojciech Jaruzelski. Alla polemica contro il comunismo si accompagnava peraltro la critica della logica disumanizzante del capitalismo e della pura economia di mercato.
All'operato anticomunista del Papa viene comunemente collegato l'attentato che subì il 13 maggio 1981, durante un'udienza generale in piazza S. Pietro, per mano dell'attivista turco Mehmet Ali Agca (Giovanni Paolo lo perdonò subito e nel 1983 durante la visita al carcere romano di Rebibbia restò a lungo a colloquio con lui). Il Pontefice fu ricoverato al Policlinico Gemelli, dove subì un delicatissimo intervento chirurgico. Attribuì poi la sua salvezza alla protezione della Madonna, verso la quale aveva sempre nutrito una devozione fortissima, al punto di scegliere come motto del suo stemma episcopale l'espressione Totus tuus, tratta da una preghiera alla Vergine di Luigi Maria Grignion de Montfort, e l'iniziale del nome di Maria, sotto la croce, come unico elemento del suo stemma papale. La devozione per Maria di Papa Wojtyla ha trovato la sua manifestazione più netta nella proclamazione dell'Anno mariano (7 giugno 1987-15 agosto 1988), preceduto nel marzo 1987 dall'enciclica Redemptoris mater. Nel 2000 fu rivelato che l'aggressione in piazza S. Pietro era l'argomento del terzo dei segreti di Fatima: ai tre pastorelli portoghesi il 13 luglio 1917 la Madonna aveva descritto il vescovo vestito di bianco che "cade a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco".
Le linee direttive in materia di difesa della vita trovarono espressione nella Carta dei diritti della famiglia, promulgata il 24 novembre 1983 e scaturita dai lavori del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, iniziati nel settembre del 1980. Nel documento, che enumera una serie di precetti in difesa dell'istituzione familiare, figurano la condanna dell'aborto, dell'uso degli anticoncezionali e della nascita di una famiglia al di fuori del sacramento del matrimonio. Una dignità particolare è attribuita alla donna, altro tema ricorrente nella predicazione di Giovanni Paolo II e argomento in particolare della lettera apostolica Mulieris dignitatem del 1988.
Strenuo sostenitore dell'ortodossia in campo dottrinale e disciplinare (come esemplifica su tutte la pubblicazione nel 1998 della lettera apostolica Ad tuendam fidem sul "dovere di osservare le verità proposte in modo definitivo" dal magistero ecclesiastico), Giovanni Paolo II si è con altrettanta convinzione fatto promotore del dialogo ecumenico con le altre confessioni cristiane e le religioni non cristiane. Oltre che in sede dottrinale, come nell'enciclica Ut unum sint (1995), dove ha tra l'altro sottolineato la necessità di trovare a questo scopo una nuova forma di esercizio del primato romano, il Papa ha espresso questa volontà di contatto e collaborazione con il mondo non cattolico in molteplici occasioni. È stato così il primo pontefice romano a firmare una dichiarazione comune con gli anglicani (28 maggio 1982, con il primate anglicano Robert Runcie, al termine di una celebrazione ecumenica nella cattedrale anglicana di Canterbury), a entrare in una sinagoga (13 aprile 1986, a Roma, dove a più riprese parlò degli ebrei come "fratelli maggiori"), a visitare una moschea (6 maggio 2001, a Damasco). Si inseriscono in questa linea gli incontri di preghiera con i rappresentanti delle religioni mondiali ad Assisi nel 1986, nel 1993 e nel 2002. Simbolo della ricerca di unità fra cristiani fu all'inizio del Giubileo del 2000 l'apertura della Porta Santa della basilica di San Paolo insieme al primate anglicano John Carey e al metropolita ortodosso Athanasios. Altro momento di forte impatto simbolico fu, durante la visita a Gerusalemme dello stesso anno, la preghiera al Muro del Pianto, dove il Papa depositò un messaggio di perdono per le sofferenze arrecate agli ebrei. Riguardo al rapporto con gli israeliti, è da ricordare che uno storico accordo sul reciproco riconoscimento tra la Santa Sede e lo Stato di Israele era stato firmato a Gerusalemme nel 1993.
Giovanni Paolo II è tornato più volte sulla necessità che i cattolici ammettano le loro colpe, operando una revisione radicale del loro passato e riconoscendo di avere forti responsabilità in tema di antigiudaismo, divisioni tra i cristiani, guerre di religione, diseguaglianze e ingiustizie sociali, intolleranza e violenze commesse in nome della difesa della verità. Fra le sue richieste di perdono si possono ricordare quella per il coinvolgimento della Chiesa cattolica nella tratta degli schiavi africani (1993), per i roghi e le guerre religiose che seguirono la riforma protestante (maggio 1995, nella Repubblica Ceca), per le posizioni storiche contro i diritti femminili e per la denigrazione storica delle donne (lettera destinata 'a ogni donna' del 10 luglio 1995), per l'inattività e il silenzio durante l'Olocausto (1998). Nel corso del Giubileo del 2000 una delle giornate più significative, il 12 marzo, fu interamente dedicata alla preghiera per ottenere il perdono per tutte le violazioni commesse dai cristiani con comportamenti contrari alla pace, ai diritti dei popoli, al rispetto delle culture e delle altre religioni. Da ricordare che le scuse per gli abusi commessi dai missionari contro le popolazioni indigene del Pacifico meridionale furono inviate il 21 novembre 2001 via Internet (primo messaggio per e-mail di un Papa).
La ricerca della pace è stata perseguita in una fittissima attività di colloqui con personalità politiche di tutto il mondo. Sono stati contati 738 incontri con capi di Stato e 246 con primi ministri, costantemente incentrati sul rifiuto della guerra, della violenza, della soluzione delle controversie attraverso le armi, posizioni ribadite con particolare veemenza in occasione degli interventi militari nell'ex Iugoslavia dei primi anni Novanta e delle due guerre contro l'Iraq nel 1991 e nel 2003. Nello stesso ambito rientrano le visite alle Nazioni Unite a New York nel 1979 e nel 1995 e alle sue istituzioni (UNESCO a Parigi nel 1980, FAO a Roma nel 1996). Importante è stato anche il messaggio rivolto al Parlamento Europeo di Strasburgo nel settembre 1988. Si è enormemente sviluppata nel frattempo la presenza internazionale della Santa Sede, che ha stabilito relazioni diplomatiche, tra gli altri paesi, dal 1992 con Croazia, Slovenia, Ucraina e Messico, dal 1994 con Giordania, Sudafrica e Israele, dal 1997 con la Libia e dal 1998 con lo Yemen, per un totale di 172 paesi, ai quali si aggiungono la Federazione Russa (dal 1992) e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (dal 1994), che dispongono presso la Santa Sede di due missioni a carattere speciale.
Ed è stato l'impegno per la pace e la fratellanza, oltre che lo spirito di evangelizzazione, a spingere papa Wojtyla in un'instancabile attività di pellegrinaggio, anche negli ultimi anni nonostante le crescenti sofferenze causate dal morbo di Parkinson. Ha visitato zone di guerra (come Sarajevo nell'aprile 1997 e Beirut nel maggio 1997), paesi a maggioranza musulmana come Tunisia (1996), Libano (1997), Nigeria (1982 e 1998), a maggioranza non cristiana come l'India (1986 e 1999), paesi già comunisti (oltre alla Polonia, Ungheria, 1991 e 1996; Albania, 1993; Lituania, Lettonia ed Estonia, 1993; Croazia, 1994 e 1998; Repubblica Ceca, 1995 e 1997; Slovacchia, 1995; Slovenia, 1996 e 1999). Un particolare rilievo ha assunto il viaggio a Cuba (1998) con l'incontro con Fidel Castro, mentre intento e risvolti ecumenici hanno rivestito nel 1999 quelli in Romania e Georgia, entrambe di tradizione ortodossa. In tutto i viaggi sono stati 250, dei quali 104 all'estero (toccando 129 paesi). In Italia Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali. Come vescovo di Roma si è recato in ben 317 delle 333 parrocchie romane, a partire da S. Francesco Saverio alla Garbatella, il 5 dicembre 1978.
Sono state centinaia di milioni le persone che hanno avuto modo di incontrare Giovanni Paolo II o durante le visite pastorali o in Vaticano. Alle oltre 1160 udienze generali del mercoledì, alle quali hanno partecipato più di 17.600.000 pellegrini, si sono aggiunte le udienze speciali e tutte le altre cerimonie religiose. La presenza più massiccia di pellegrini si è registrata in occasione dei due Anni Santi, quello straordinario della Redenzione, nel 1983, e quello del 2000. Fra le cerimonie più affollate vi sono stati poi i 147 riti di beatificazione e i 51 di canonizzazione. Giovanni Paolo II ha proclamato 1338 beati e 482 santi, superando così di gran lunga la somma dei santi elevati all'onore degli altari dai suoi predecessori (302 in tutto dal 1558, quando Sisto V fissò i criteri per il riconoscimento della santità). Fra tutti gli incontri, comunque, per intensità di partecipazione si sono segnalati quelli con i giovani; questi sono stati gli interlocutori preferiti dell'apostolato di Giovanni Paolo II, che volle loro dedicare un momento di incontro privilegiato istituendo nel 1985 la Giornata mondiale della gioventù. La prima si tenne a Roma la domenica delle Palme del 1986; da allora si è celebrata ogni anno, sempre con una vastissima affluenza.
Da ricordare infine l'attività interna alla Chiesa: Giovanni Paolo II ha tenuto nove concistori, in cui ha creato 231 cardinali. Ha presieduto sei riunioni plenarie del collegio cardinalizio e ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei vescovi: sei generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990, 1994 e 2001), una generale straordinaria (1985) e otto speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Gli scritti
I primi scritti di Karol Wojtyla risalgono al 1939: sono i versi Sulla tua bianca tomba per la madre e un Magnificat. Nel 1940 scrisse il dramma David, andato perduto, i testi teatrali Giobbe e Geremia, la raccolta di poesie Ballata dei portici di Wawel. Al 1949 risale il dramma Fratello di nostro Dio, pubblicato nel 1979 e rappresentato nel 1980, mentre è del 1960 la commedia teatrale La bottega dell'orefice, rappresentata nel 1979. Tra il 1952 e il 1961, inoltre, dedicò al Teatro Rapsodico quattro saggi critici, comparsi sul settimanale Tygodnik Powszechny sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien.
Tra gli scritti etici e teologici precedenti il pontificato si segnalano Amore e responsabilità del 1960 e Segno di contraddizione del 1976, che raccoglie gli esercizi spirituali che il cardinal Wojtyla predicò in Vaticano su invito di Paolo VI nel 1975.
Le 70.000 pagine di documenti che portano la firma di Giovanni Paolo II comprendono 14 encicliche, 15 esortazioni apostoliche, 11 costituzioni apostoliche e 45 lettere apostoliche. Costituiscono una specie di trilogia sulla Trinità le prime due encicliche - Redemptor hominis (1979), incentrata su Cristo redentore dell'uomo e del mondo, Dives in misericordia (1980), sul Dio Padre "ricco di misericordia" - e la quinta, Dominum et vivificantem (1986), sullo Spirito Santo. Altre tre hanno sviluppato la dottrina sociale della Chiesa: Laborem exercens (1981), sul mondo del lavoro, Sollicitudo rei socialis (1987), sulle questioni sociali e del lavoro, e Centesimus annus (1991), sulle questioni del lavoro a cento anni dall'enciclica Rerum novarum di Leone XIII. Particolare significato assunse la Slavorum apostoli (1985) sui santi Cirillo e Metodio, proclamati compatroni d'Europa insieme a san Benedetto; l'enciclica esprimeva una delle principali preoccupazioni di Giovanni Paolo II, cioè il superamento della divisione dell'Europa tra i due blocchi orientale e occidentale in nome delle comuni radici cristiane del continente. La Redemptoris mater (1987), su Maria, fu pubblicata in occasione dell'Anno mariano del 1987-88, mentre la Redemptoris missio (1990) ha affrontato il tema della necessità e della validità del mandato missionario e la Veritatis splendor (1993) alcune questioni fondamentali relative all'insegnamento morale della Chiesa. Nell'Evangelium vitae (1995) Giovanni Paolo II si rivolse, oltre che all'intera Chiesa cattolica, a tutti gli uomini di buona volontà per ribadire il valore e l'inviolabilità della vita umana. La Ut unum sint (1995) contiene un rinnovato appello all'unità di tutti i cristiani, rafforzato dalla testimonianza coraggiosa di tanti martiri appartenenti a Chiese non cattoliche. In Fides et ratio (1998) postula una filosofia forte, che non rinunci a cercare risposte a domande autentiche e auspica il dialogo tra credenti e atei. Infine l'Ecclesia de Eucharistia (2003) è un documento di 76 pagine che, tra teologia e dottrina, si pone come obiettivo la difesa dell'Eucarestia.
Di rilievo sono state inoltre le promulgazioni del nuovo Codex iuris canonici (1983) per la Chiesa latina e del Codex canonum ecclesiarum orientalium (1990) e la pubblicazione (1992) del catechismo della Chiesa cattolica, diffuso in molte lingue, che fu corretto ed edito in latino nel 1997 con il titolo Catechismus catholicae ecclesiae.
Testi di Giovanni Paolo II sono stati raccolti sotto forma d'intervista, curata da Vittorio Messori, nel volume Varcare la soglia della speranza (1994). Dono e mistero (1996), scritto nel cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale, è una testimonianza autobiografica sulla sua vocazione e sulla vita sacerdotale oltre che una riflessione sul ruolo del sacerdote. Suo seguito ideale è Alzatevi, andiamo! (maggio 2004), che raccoglie pensieri e ricordi personali a partire dalla nomina a vescovo fino all'elezione al soglio pontificio. Trittico romano (marzo 2003) è una raccolta di meditazioni in forma di poesia. L'ultimo testo pubblicato è infine Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni (febbraio 2005), in cui sono affrontati alcuni grandi temi della storia del Novecento, in particolare le ideologie totalitarie come il comunismo e il nazismo, l'uso della libertà e i suoi limiti, i concetti di patria e di nazione, le radici cristiane dell'Europa.