PANINI, Giovanni Paolo
PANINI (Pannini), Giovanni Paolo. – Nacque il 17 giugno 1691 a Piacenza, secondo l’atto di battesimo custodito presso la parrocchia di S. Brigida, da Francesco Maria e da Rosa Belli, che in quella chiesa si erano sposati il 16 gennaio 1687 (Fiori, 1965, cui si devono le maggiori indagini sulla famiglia), e ricevette due nomi del primogenito della coppia, Giovanni Paolo Giuseppe, defunto in fasce ai primi del 1688.
Del cognome il principale studioso dell’artista, Ferdinando Arisi, adotta la variante «Panini», basandosi sulle firme autografe in dipinti e documenti, benché già nel Settecento fosse in uso «Pannini», in particolare presso i Francesi (Arisi, 1986, p. XV).
A due settimane dalle nozze, il 4 gennaio 1687, il padre Francesco, oriundo di Cabriolo (presso Borgo San Donnino, oggi Fidenza), era stato associato dal futuro suocero, Paolo Belli, nella gestione della sua spezieria, non lontana dalla chiesa di S. Brigida. Nella stessa zona l’«aromatario» Belli abitava con la famiglia in una casa d’affitto (attuali nn. 3, 5 e 7 di via Poggiali), proprietà della Congregazione della Ss. Trinità dei Pellegrini. Qui Panini trascorse i primi anni di vita, mentre già nel 1700 risultava abitare con la famiglia nei pressi della chiesa di S. Ilario (attuale via Illica), ove il padre aveva ottenuto in affitto dalla Congregazione dei farmacisti dei poveri una bottega di speziale.
Il nucleo familiare era composto a questa data dai genitori, da Gian Paolo e Margherita, e dalla nonna paterna Maria Seletti Panini; nacquero in seguito Dorotea (7 febbraio 1702), Giuseppe (3 novembre 1704), Ippolita (19 dicembre 1707) e Teresa (30 giugno 1711). Ippolita sarebbe morta nel 1724, nubile come la sorella Dorotea, mentre Margherita avrebbe sposato il 24 dicembre 1730 Carlo Voltaglia (una figlia del quale, Maria Teresa, avuta da un precedente matrimonio, si sarebbe unita con lo zio Giuseppe), e Teresa si sarebbe accasata il 30 gennaio 1752 con Pietro Morelli. Nella casa di via Illica, la famiglia dimorò sino al 1744, quando Giuseppe, subentrato al padre nella conduzione della spezieria, la cedette ai De Zoppis.
In data imprecisata Panini entrò nel seminario vescovile di Piacenza e il 19 novembre 1704 ricevette la prima tonsura clericale dal vescovo Giorgio Barni. Nello stato delle anime della parrocchia di S. Ilario, dal 1706 al 1711 è qualificato infatti come ‘chierico’. L’ingresso nel seminario, tra i più antichi della penisola, fondato nel 1569 dal beato Paolo Burali, vescovo di Piacenza, non implicava necessariamente la destinazione di Panini alla carriera ecclesiastica: forse la famiglia mirava soprattutto a una solida istruzione per il figlio maggiore, versato negli studi se non già nelle arti (tra i chierici dediti a queste, Piacenza contava allora il sacerdote architetto Giuseppe Cozzi). In seminario Panini apprese non soltanto le materie teologiche e letterarie, ma anche la geometria e la prospettiva, con una formazione piuttosto accurata, che gli permise di apprezzare la letteratura artistica, come ricorda la sua corrispondenza con il marchese Alessandro Gregorio Capponi. Lo studio e l’interesse per la prospettiva e la geometria lo indussero a preparare, nel 1708, una riduzione del manuale di Giulio Troili da Spilamberto detto il Paradosso, Paradossi per praticare la prospettiva senza saperla… (Bologna 1683): il manoscritto di Panini, Cuilibet opticas proiectiones dilectanti methodus expeditissima, firmato e datato (Piacenza, Biblioteca Passerini Landi, ms. Pallastrelli 256), è riprodotto da Arisi (1993, pp. 172-176). Oltre all’interesse per la teoria, egli dovette guardare (se non collaborare) alle opere di pittura e quadratura realizzate in quegli anni nella seconda capitale dei ducati farnesiani.
Nella chiesa di S. Vincenzo, non lontana dal seminario, erano attivi i pittori Giovanni Evangelista Draghi e Roberto De Longe, nonché l’architetto e quadraturista Giovanni Battista Galluzzi, allievo dei Bibiena (Ferdinando aveva introdotto proprio nel teatro ducale di Piacenza la sua famosa ‘scena per angolo’ nel 1687). L’interesse del giovane Panini dovette indirizzarsi al carattere scenografico della pittura locale, fortemente influenzato dalla scuola bolognese, se non agli allestimenti teatrali: diverse sue opere della prima fase risentono infatti della lezione bibienesca. In città erano attivi anche i quadraturisti Francesco e Giovanni Battista Natali, tanto per il clero quanto per l’aristocrazia locale, che ad aggiornare ville e palazzi era incentivata dai lunghi soggiorni della corte ducale, specie sotto Ranuccio II (1646-1694) e Francesco (1695-1727), i quali abitarono la mole vignolesca d’autunno e d’inverno, a differenza dei loro antenati (e successori), più legati a Parma.
In assenza di dati certi sulla prima formazione artistica, è forse possibile ritenere che Panini fosse autodidatta: secondo Carlo Carasi (1780), egli si trasferì a Roma nel 1711, fatti «alcuni quadri di architettura con la semplice scorta de’ suoi studi teorici». A spingerlo nell’Urbe furono verosimilmente il desiderio di studiare l’architettura antica e forse anche i consigli di qualche influente concittadino legato alla nutrita colonia piacentina di Roma, ove spiccavano il conte Francesco Landi (futuro arcivescovo di Benevento e cardinale) e il marchese Ubertino Landi, fondatore dell’Arcadia piacentina. Panini prese alloggio in piazza Farnese, nella parrocchia di S. Caterina della Rota, dove visse fino al 1722. Come ricorda Lione Pascoli (1730-36, p. 233), frequentò – sembra fino al 1717-18 – la bottega di Benedetto Luti, dal quale apprese a ritrarre le figure: «non isdegnò di frequentarla [la scuola del Luti] Gianpaolo Pannini per alcun tempo, allorché venne in Roma […] e scelse lui per suo particolare direttore» . La maestria nell’atteggiare e raffigurare le «macchiette», riconosciuta anche da Lanzi (1809), avrebbe costituito uno dei motivi precipui del suo successo. Panini seppe però guardare anche ad altri protagonisti della scena romana, distillandone ben presto le sollecitazioni artistiche in una personalissima maniera: la sua prima produzione mostra in particolare suggestioni da Alberto Carlieri, Stefano Orlandi, Gaspare Vanvitelli, Jan Frans van Bloemen e Andrea Locatelli. Tuttavia il debito più grande sembra individuato già dai suoi contemporanei nei confronti di Giovanni Ghisolfi, un pittore lombardo del secolo precedente.
Un foglio anonimo, diretto a Pellegrino Antonio Orlandi intorno al 1718, recita infatti: il «Sig. Gio. Paolo Panini […] ha studiato la maniera di Gio. Ghisolfi Milanese, e seguita quel stile fà bene assai di architettura con le piccole figurine historiate in bella maniera» (Arisi, 1986, p. 196).
L’8 maggio 1717 Panini sposò nella sua parrocchia Anna Teresa Faya, dopo aver chiesto a Piacenza un atto notorio di stato libero, steso il 20 gennaio 1717. Tale documento avvalora la data del trasferimento nell’Urbe al novembre 1711, contro i pareri di Ozzola (1921) e Voss (1924), che lo volevano giunto a Roma rispettivamente intorno al 1717 e al 1715. Il 23 marzo 1718 nacque il primo figlio, Rinaldo Giuseppe, poi conosciuto semplicemente come Giuseppe, futuro architetto.
Nel marzo-aprile 1718 Panini ricevette l’incarico di affrescare, e in seguito anche arredare, l’appartamento al pianterreno della villa fuori Porta Pia del cardinale Giovanni Patrizi (in parte distrutta nel 1849 e totalmente demolita nel 1911). Il lavoro fu portato a termine con difficoltà soltanto nel 1725, ritardato dai sempre più pressanti impegni di Panini. Il 9 ottobre 1718 fu ascritto alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, con 22 voti favorevoli e 2 contrari. Alcuni mesi dopo, fu nominato accademico di merito nella classe di pittura all’Accademia di S. Luca, dove iniziò a tenere corsi di prospettiva. Non è possibile stabilire con certezza la data della sua aggregazione, dal momento che nell’Archivio dell’Accademia mancano i verbali delle congregazioni del 1718 e dei primi mesi del 1719 (vol. 46). La prima seduta alla quale risulta presente è quella del 20 aprile 1719. Nel novembre successivo l’Accademia accettò quale morceau de reception il suo Alessandro che visita la tomba di Achille (Roma, Galleria dell’Accademia di S. Luca).
La consacrazione accademica sanciva il successo di Panini, ormai affrancato dall’ecclettismo e dalle ingenuità che si tende ad accettare, più o meno consapevolmente, nella sua produzione giovanile, il cui catalogo esige però oggi di esser limitato e definito più precisamente, anche al lume del percorso ulteriore dell’artista e dei suoi disegni, conservati principalmente a Berlino (Kupferstichkabinett), Firenze (Gabinetto degli Uffizi), Parigi (Louvre) e Vienna (Albertina).
Neppure il successo fu tuttavia immune da critiche, formulate in parte dagli stessi consoci, circa l’eccessiva libertà con la quale egli forzava le regole prospettiche e architettoniche. Non comparendo il suo nome alle sedute dell’Accademia tra il 21 aprile e l’8 ottobre 1719, Arisi (1986, p. 199) ipotizzava che Panini fosse rimpatriato, potendo così rivedere con occhi più maturi le creazioni dei Bibiena e degli altri quadraturisti, nonché le tele di Ilario Spolverini dedicate al matrimonio di Elisabetta Farnese con Filippo V di Spagna (1714). Forse a questo soggiorno risalgono le vedute ad acquarello monocromo delle chiese di S. Maria di Campagna e delle Benedettine (Piacenza, S. Maria di Campagna) e alcuni schizzi per La Trebbia con il Castello di Rivalta vista dei pressi di Caratta Rollera (Kassel, Staatliche Museen), dipinto acquistato dal langravio Guglielmo VIII d’Assia-Kassel tra 1720 e 1730 (Arisi, 1993, pp. 35, 134). A Roma, nel marzo 1720 Panini fu incaricato di decorare il palazzo De Carolis in via del Corso, che iniziò soltanto in luglio, per l’opposizione dei Patrizi. Nel settembre ebbe una prestigiosa proposta dal cardinale Albani per la loggia del suo palazzo romano.
La commissione indispettì ulteriormente il cardinale Patrizi: «Resto molto scandalizzato dal modo di procedere del sig. Gio. Pavolo, il quale dopo averci tanto strapazzato nel prolungare li lavori ai quali si era obbligato […] poteva almeno prima d’impegnarsi con il Sig. cardinale Albani terminare le stanze principiate, ma lui, che è un barone, vuole assicurare un altro lavoro e servirsi del nostro come ricovero» (Arisi, 1986, p. 199).
A quella del cardinale Albani si aggiunsero altre commissioni: nel marzo 1721 il cardinale Giovanni Battista Spinola lo chiamò a decorare sala e scene fisse del teatro del Seminario Romano (oggi distrutto), lavoro terminato entro il 7 febbraio 1722, intanto che il pontefice gli affidava l’allestimento di un appartamento nei mezzanini del Quirinale (in parte superstite), impegno assolto nell’aprile 1722.
Il 14 maggio 1721 nacque la secondogenita, Maria Caterina Livia. Il 7 agosto 1722 la moglie morì a soli trentadue anni, mentre Panini era impegnato in villa Patrizi. Tuttavia, quell’anno fu particolarmente fruttuoso: oltre ai succitati lavori, dipinse una prospettiva nel cortile di palazzo Patrizi vicino a S. Luigi dei Francesi (distrutta) e realizzò un ciclo di affreschi, il più vasto sopravvissuto tra quelli autografi, nella villa Montalto Grazioli a Frascati.
Nel 1723, grazie alla mediazione di Filippo Juvarra e forse anche del mecenate di quest’ultimo, il cardinale Pietro Ottoboni (del quale Panini avrebbe stilato nel 1740 l’inventario delle opere d’arte conservate nel palazzo della Cancelleria), ricevette l’incarico di dipingere per il re di Sardegna, Vittorio Amedeo II, i due ‘pendants’ Facciata meridionale del castello di Rivoli e Facciata orientale del castello di Rivoli (1724, Castello di Racconigi e Torino, Museo civico di arte antica), prefigurazioni dei grandiosi progetti dell’architetto messinese per l’ampliamento di quella residenza.
La ricevuta del primo pagamento (cui seguirono altri sino al saldo del 24 settembre 1725, per un totale di 2000 lire antiche di Piemonte), datata 22 maggio 1723, è firmata anche da Andrea Locatelli, impegnatosi a rappresentare le altre due fronti progettate.
Nel 1724 Panini sposò in seconde nozze Caterina Gosset, con la quale si trasferì nella contrada dei Balestrari sotto la parrocchia di S. Salvatore in Campo ed ebbe cinque figli: Marianna (1726), Rosalba (1727), Teresa (1730), Claudio (1736) e Francesco (1738), quest’ultimo destinato a collaborare con il padre. L’unione schiuse a Panini le porte della cerchia francese: la sorella di Caterina era moglie di Nicolas Vleughels, nominato proprio nel 1724 direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Questi prese sotto la propria protezione il neo-cognato, spingendolo a guardare ad artisti come Antoine Watteau, soprattutto nella rappresentazione delle figure.
Nuovi importanti incarichi giunsero a Panini in questi anni: nel 1724 affrescò il Trionfo della Croce sulla volta della biblioteca del convento cistercense di S. Croce in Gerusalemme a Roma; nel 1725-1726 decorò la ‘galleriola’ e la ‘galleria nobile’ del palazzo del concittadino cardinale Giulio Alberoni in via del Tritone (demolito l’edificio nel 1928, gli affreschi della ‘galleria nobile’ furono strappati e riadattati in un ambiente di maggior altezza nel palazzo Madama). Per il porporato piacentino dipinse anche la Cacciata dei profanatori dal tempio (1725-1726 ca., Piacenza, Galleria Alberoni), concepita in pendant al Cristo alla probatica piscina di Domenico Maria Viani.
Nel 1726 Panini licenziò venti disegni con Prospettive di edifici conspicui fatti in Roma dai Farnese, incisi da Andrea Zucchi e pubblicati nel X volume dei Cesari in metallo mezzano e piccolo raccolti nel Museo Farnese del gesuita Pietro Piovene, stampato a Parma nel 1727, forse l’unico impegno professionale ricevuto dai suoi sovrani.
Nel 1727, probabilmente grazie a Vleughels, ricevette la prima commissione di carattere celebrativo – e politico – da parte di un ambasciatore borbonico a Roma: il cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, rappresentante di Filippo V, gli commissionò la Festa all’ambasciata di Spagna (1727, Londra, Victoria and Albert Museum), per eternare lo spettacolo pirotecnico voluto da lui, su progetto di Sebastiano Conca, per celebrare la nascita dell’Infante don Luis.
Panini riuscì a elevare il consolidato filone delle vedute di apparati effimeri a una nuova e maggiore dignità, grazie all’utilizzo della tecnica pittorica e non incisoria, anche sulla scorta di quanto aveva fatto Pier Ilario Spolverini per la corte parmense in occasione delle nozze dei genitori dell’Infante. Non a caso, l’anno successivo il cardinale Bentivoglio gli chiese di fornire il disegno per l’incisione di Filippo Vasconi rappresentante la macchina dei fuochi d’artificio, ideata da Nicola Salvi e allestita in piazza di Spagna il 4 luglio 1728 per festeggiare l’annuncio del doppio matrimonio tra i Borbone di Spagna e i Braganza.
Un altro porporato ambasciatore borbonico a Roma, il cardinale Melchior de Polignac, gli affidò così la tela (1729) destinata a immortalare gli allestimenti progettati da Pier Leone Ghezzi per festeggiare la nascita del Delfino di Francia: Preparativi dei grandi fuochi d’artificio e della decorazione per la festa data in piazza Navona a Roma il 30 novembre 1729 (Parigi, Louvre). Il gradimento fu tale che nel 1731 gli fu chiesta una replica con varianti nelle figurine (Dublino, The National Gallery of Ireland).
La stessa piazza ritorna in numerose altre sue tele, la più celebre delle quali è la versione allagata (1756, Hannover, Landesgalerie), definita da Ugo Ojetti la tela di Panini «più delicata, affollata, gustosa, luminosa, con quelle berline cariche di bellezze, e nell’acqua i riflessi dei cavalli, della folla, delle case, al tramonto» (in Arisi, 1993, p. 51).
Per lo stesso ambasciatore Panini dipinse Il cardinale di Polignac che visita la basilica di S. Pietro (1730, Parigi, Louvre), rappresentativo di un altro genere fortunato che fu peculiare dell’artista e apprezzato da viaggiatori del grand tour e committenti curiali e aristocratici al pari delle sue vedute e dei capricci: gli interni di monumenti celebri quali S. Pietro, il Pantheon, S. Giovanni in Laterano, S. Paolo fuori le mura, S. Agnese, S. Carlo al Corso, più spesso teatro di affollatissime cerimonie laiche o religiose.
Al 1730 risale la sola notizia concernente i suoi rapporti con i parenti piacentini: per dotare la sorella Margherita che si sposava, Panini le fece consegnare dall’economo del monastero di S. Agostino, tramite il marchese Ubertino Landi di Rivalta, 3000 lire.
Oltre a occuparsi di architettura, allestimenti effimeri, affreschi, arredi, capricci, vedute e opere di carattere sacro, Panini si dedicò in Roma anche al restauro, alla copia, all’indagine e alla valutazione delle opere dei maestri del passato. La corrispondenza con il marchese Capponi tratta di piccoli restauri, prestiti di libri d’arte e valutazione di dipinti: così, nel dicembre 1728 Panini ritenne un dipinto copia da Guercino, valutandolo 7-8 scudi; nel settembre 1729 attribuì una Maddalena al Pontormo e una Madonna a un pittore mediocre; nel 1733, d’accordo con Vleughels, assegnò a fra Giovanni da Fiesole due quadretti attribuiti a Raffaello (Arisi, 1986, pp. 204 s., 208).
Il rapporto con la Francia si saldò ulteriormente il 26 luglio 1732, quando Panini fu aggregato e ricevuto, a pieni voti favorevoli, all’Accademia di Francia, non senza l’appoggio di Vleughels e di Polignac. Anche a palazzo Mancini, come all’Accademia di S. Luca, iniziò a insegnare prospettiva. Nello stesso anno fece parte della commissione giudicatrice per il concorso della facciata di S. Giovanni in Laterano, vinto da Alessandro Galilei. Le sue preferenze andarono al progetto di Vanvitelli e, in secondo luogo, a quello di Pietro Passalacqua, mentre espresse alcune critiche per quello di Ferdinando Galli-Bibiena (Arisi, 1986, pp. 206 s.).
Nel 1733 firmò Piazza del Quirinale, commissionatagli da Clemente XII e collocata dieci anni dopo nel coffee-house di quella residenza papale, mentre all’anno successivo risale il progetto per la cappella di S. Teresa in S. Maria della Scala in Roma, iniziata il 13 agosto, inaugurata il 14 ottobre 1745 e consacrata il 2 ottobre 1746, nella quale intervennero anche il figlio Giuseppe e altri artisti, tra i quali Michel-Ange Slodtz.
Nel 1735 fornì tre disegni dell’apparato funebre allestito, su progetto di Ferdinando Fuga, il 23 maggio nella chiesa dei Ss. XII Apostoli per le esequie di Maria Clementina Sobieska, moglie di Giacomo Stuart; incise da Girolamo Frezza, Baldassarre Gabbuggiani e Rocco Pozzi, le tre tavole corredarono i Parentalia Mariae Clementinae (Roma 1736). Contemporaneamente ricevette anche da Filippo V di Spagna la commissione di quattro dipinti con scene del magistero di Gesù per il palazzo della Granja di S. Ildefonso (Segovia). Panini inviò prima i bozzetti e poi le quattro tele nel 1737, ancora in situ. Nello stesso periodo ideava il disegno del ciborio della chiesa camaldolese di S. Romualdo a Ravenna, realizzato a Roma da Bartolomeo Boroni e collocato nel 1739 (oggi a Ravenna, Museo nazionale), commessa alla quale si aggiunse, nel 1738, il pozzo monumentale per uno dei chiostri camaldolesi di Classe. Intorno al 1737 fornì anche i disegni per la sistemazione interna della cappella dei Principi in S. Lorenzo, su richiesta dell’elettrice Palatina, Anna Maria Luisa de’ Medici, forse consigliata da Clemente XII. Ancora tre anni dopo, Panini progettò un’architettura sacra: l’altare maggiore con ancona per la Collegiata di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza), che avrebbe accolto la pala di Marco Benefial.
I contatti ‘artistici’ con i luoghi natii sarebbero stati riannodati nel 1746, quando pervennero nella cattedrale di Piacenza un ostensorio e una custodia per il legno della S. Croce «fatti in Roma, quali sono d’una bellissima fattura, lavorati da un nostro piacentino detto il Panini» (Arisi, 1986, p. 213).
Alla morte di Vleughels, nel 1737, si pensò a Panini quale suo successore alla direzione dell’Accademia di Francia a Roma.
Nel 1742 dipinse, su richiesta di Benedetto XIV, il pendant del dipinto commissionatogli nel 1733 da Clemente XII: Piazza di S. Maria Maggiore (Roma, Coffee-house del Quirinale). Tra le opere più rappresentative della maturità di Panini, la tela ostenta piena padronanza dei mezzi pittorici, per efficacia dell’impaginazione scenografica e per tavolozza definitivamente schiarita.
Nel 1743 Panini fu accolto in Arcadia con il nome di Ludio Frigiense, allusivo all’artista augusteo (Ludius) che, secondo Plinio, avrebbe inventato o portato a Roma la pittura di paesaggio (Nat. hist., XXXV, 116). Nel 1745 Carlo III di Borbone, che aveva potuto ammirare i pendants dei pontefici e i lavori in Villa Patrizi, commissionò a sua volta a Panini due dipinti che celebrassero la sua visita a Roma il 3 novembre 1744, dopo la vittoria sull’esercito austriaco a Velletri: Carlo III di Borbone visita la Basilica di San Pietro e Carlo III rende visita a Benedetto XIV al Coffee-House del Quirinale (1745 e 1746, Napoli, Museo di Capodimonte).
Alcuni anni dopo tali pendants sarebbero stati criticati da Charles-Nicolas Cochin, che pure durante il viaggio italiano aveva ammirato le tele torinesi: «les figures sont ridiculement trop grandes, & font paroître cette vaste église comme une petite chapelle: d’ailleurs il sont de mauvaise couleur, trop clair et tenant de l’éventail» (1773, p. 132). Il mancato apprezzamento del celebre incisore, legatissimo a Jacques- Germain Soufflot e al marchese di Marigny, cerchia artistica cui guardavano Ennemond-Alexandre Petitot e la corte borbonica insediata dal 1748 sul trono parmense, potrebbe essere alla base del mancato coinvolgimento di Panini nella fondazione e nei ranghi dell’Accademia artistica di Parma (Malinverni, 2014).
Alla commessa del re di Napoli, si aggiunse sempre nel 1745 quella di Claude-François de Montboisier, abate di Canillac, chargé d’affaires della corte di Francia a Roma, creando non pochi risentimenti a palazzo Mancini: Festa in piazza Farnese a Roma per il matrimonio del Delfino (New York, Walter P. Chrysler Collection), ascrivibile a Panini solo per le figurine e le architetture di destra. Il figlio Giuseppe diede il disegno per la relativa incisione di Louis-Joseph Le Lorrain; per De Logu (1938) avrebbe progettato anche la macchina effimera, riferita più verosimilmente al padre da Arisi (1986, p. 405).
Anche nel 1747 Panini ricorse all’aiuto del figlio Giuseppe, che ideò l’apparato scenico per la cantata di Flaminio Scarselli, musicata da Nicolò Jommelli e allestita per volere del successivo ambasciatore francese, cardinale de La Rochefoucauld, nel teatro Argentina in occasione delle seconde nozze del Delfino con la principessa Maria Giuseppa di Sassonia. Panini immortalò tale avvenimento nella tela Festa del Teatro Argentina per le seconde nozze del Delfino (1747, Parigi, Louvre), della quale si conservano numerosi schizzi preparatori nel taccuino di Londra (British Museum). Questi disegni di Panini documentano, in generale, un attento studio per le composizioni e al contempo un repertorio cui attingere per popolare le proprie opere. Alla stessa occasione si legano i suoi sette disegni per le incisioni di Claude Gallimard nel volumetto Componimento dramatico per le felicissime nozze di Luigi Delfino di Francia…(Roma 1747). Soddisfatto di Panini, il cardinale de La Rochefoucauld lo sostenne, lo stesso anno, per la nomina ad architetto del Popolo Romano, carica però conferita a Ferdinando Fuga.
Nel 1749 iniziò il completamento e la decorazione della villa presso Porta Pia (oggi distrutta) del cardinale Silvio Valenti Gonzaga , segretario di Stato, che prese Panini sotto la sua protezione, coinvolgendolo nel proprio cenacolo; da questo rapporto di stima e dai medesimi interessi nacque nel 1749 La galleria del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, oggi a Hartford (Connecticut, Wadsworth Athenaeum), della quale si conservano un bozzetto del 1749 circa a Marsiglia (Musée des Beaux-Arts) e uno del 1761, solo in parte autografo, che discende dal primo, all’Escorial (Casita del Principe). Forse anche in segno di riconoscenza per l’appoggio del porporato, che gli aveva ottenuto il cavalierato dello Speron d’oro (ottobre 1749), Panini realizzò un doppio ritratto di Valenti Gonzaga con Benedetto XIV (1750-60, Roma, Museo di Roma), basato sulle singole effigi di Pierre Subleyras. Fu probabilmente lo stesso cardinale a commissionargli per il pontefice il dipinto L’apertura della Porta Santa in occasione del giubileo del 1750 (collezione privata), collocato nel palazzo bolognese di papa Lambertini e lodato dai contemporanei, tra i quali Francesco Algarotti. Ancora su invito di Valenti, Panini sovrintese alla sistemazione delle tele nella galleria dei quadri in Campidoglio e nel 1752 progettò la sistemazione della sala della scuola di nudo annessa alla Galleria.
Gli impegni per Valenti Gonzaga non distolsero Panini dai committenti d’Oltralpe: nel 1751, per festeggiare la nascita del duca di Borgogna, primogenito del Delfino, ideò l’allestimento ‘in forma di teatro’ del salone di palazzo Mancini e l’apparato in S. Luigi dei Francesi; intorno al 1752 dipinse Il duca di Saint’Aignan consegna l’ordine del S. Spirito al principe Vaini in S. Luigi dei Francesi nel 1737 (Caen, Musée des Beaux-Arts); intorno al 1756, per il nuovo ambasciatore a Roma, conte di Stainville (il futuro duca di Choiseul), dipinse L’ambasciatore francese presso la Santa Sede, duca di Choiseul, esce da piazza S. Pietro (Berlino, Gemäldegalerie; seconda versione a Edimburgo, National Gallery of Scotland); tra 1754 e 1757 le celebri Vedute di Roma antica (Stoccarda, Staatgalerie) e Vedute di Roma moderna (Boston, Museum of fine Arts, deposito del Boston Athenaeum), delle quali esistono due successive versioni a New York (Metropolitan Museum) e due a Parigi (Louvre); e infine, sempre per l’ambasciatore, uscente nel 1757, l’Interno di S. Pietro con duca di Choiseul (Boston, Boston Athenaeum).
L’8 dicembre 1754 Panini fu eletto 58° principe dell’Accademia di S. Luca, avvicendandosi al consuocero Fuga (di cui Giuseppe Panini aveva sposato la figlia Vittoria nel 1752), fino al 21 dicembre 1755, quando fu eletto lo scultore romano Pietro Bracci.
Il 14 aprile 1761 morì la moglie Caterina, sepolta in S. Giovanni in Ayno, parrocchia dove la famiglia si era trasferita, acquistando nel 1737 la casa al numero 29 di via di Monserrato. Nella stessa chiesa fu inumato more nobilium lo stesso Panini, deceduto all’improvviso il 21 ottobre 1765.
Nel suo ultimo decennio Panini aveva continuato a dipingere capricci e vedute, aiutato dai figli Giuseppe e Francesco, che ebbero parte cospicua nella bottega paterna.
Giuseppe (Roma, 28 marzo 1718 - 4 ottobre 1805) si specializzò in architettura e in allestimenti effimeri, favorito dal padre e dal suocero. Il 21 gennaio 1743 fu nominato coadiutore di Agostino Frontoni nella carica di architetto di S. Girolamo della Carità; nel 1745 lavorò alla cappella di S. Teresa nella chiesa di S. Maria della Scala e, ancora con il padre, nei citati incarichi francesi del 1745 e del 1747. Nel 1759 e nel 1789 realizzò in S. Giacomo degli Spagnoli gli apparati funebri per i sovrani Ferdinando VI e Carlo III. Grazie al cardinale Valenti Gonzaga, per il quale aveva lavorato nella villa presso Porta Pia con il padre, fu nominato architetto dell’Acqua di Trevi, carica che mantenne sino al 1798, e alla quale aggiunse tra la fine del 1753 e l’inizio del 1754 quella di architetto dell’Annona. Tra le sue realizzazioni architettoniche si ricordano: la chiesa di S. Isidoro, costruita nel 1754 all’interno dei granai di Termini; la ricostruzione-ampliamento tra 1754 e 1756 del granaio vecchio sul molo di Civitavecchia; in qualità di architetto della confraternita di S. Girolamo della Carità, il restauro della fontana del cortile e la copertura della cappella di S. Carlo tra 1787 e 1789, per la quale adattò un tabernacolo nel 1793; la cappella dei Ss. Michele e Andrea in S. Lorenzo Damaso, dove aveva ricevuto il battesimo (Pasquali, 1991).
Francesco (Roma 1738 - 10 aprile 1800) si dedicò invece soprattutto alla pittura, assistendo il padre: a lui si devono, con tutta probabilità, molte delle opere di collezioni pubbliche e private considerate della ‘scuola di Panini’ o ‘cerchia di Panini’ se non dello stesso Panini, e ciò pone un problema non piccolo per il catalogo dell’artista anche negli anni della maturità. L’attività indipendente di Francesco, pur sempre nel solco del genitore, riguardò soprattutto disegni con vedute romane per importanti incisori dell’epoca: Vasi, Antonini, Barbazza, Cigni, Montagu, Polanzani e Volpato (Campbell, 2000, p. 565).
La bottega Panini si giovò anche di numerosi aiutanti ed allievi, tra i quali Giovanni Niccolò Servandoni, Antonio Ioli, Charles-Louis Clérisseau, Claude-Joseph Vernet, Jean-Honoré Fragonard e, soprattutto, Hubert Robert, che possedeva almeno 25 opere del maestro ed era da questi considerato il miglior allievo.
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