PAPINI, Giovanni
– Nacque a Firenze il 9 gennaio 1881. Figlio di genitori non sposati, venne iscritto nei registri comunali con il cognome Tabarri e trascorse i primi mesi di vita presso l’Istituto degli Innocenti; il 10 agosto 1882 venne riconosciuto da Erminia Cardini (1856-1935), che gli diede il suo cognome e lo fece segretamente battezzare; il 14 maggio 1888, giorno delle nozze della madre con Luigi (1842-1902), artigiano ateo e garibaldino titolare di una bottega di mobili, ricevette infine il cognome Papini. Rispettivamente nel 1887 e nel 1889 nacquero i fratelli Mario e Sofia.
Dopo aver studiato presso alcuni istituti privati (Baldassini, Scatena, La Speranza), dal 1890 frequentò la scuola elementare Dante Alighieri, dove conobbe Ettore Allodoli. Iscrittosi alla scuola tecnica Leonardo da Vinci, fu poi alla scuola normale maschile Gino Capponi (dove strinse amicizia con Diego Garoglio, suo professore di italiano all’ultimo anno), ottenendo il diploma di maestro nel 1899.
Il ricordo d’una infanzia scontrosa e solitaria è stato fissato da Papini in limine alla sua celebre autobiografia intellettuale, Un uomo finito: «Fin da ragazzo mi son sentito tremendamente solo e diverso – né so il perché. Forse perché i miei eran poveri o perché non ero nato come gli altri? Non so: ricordo soltanto che una zia giovane mi dette il soprannome di vecchio a sei o sett’anni e che tutti i parenti l’accettarono. E difatti me ne stavo il più del tempo serio e accigliato: discorrevo pochissimo, anche cogli altri ragazzi; i complimenti mi davan noia; i gestri mi facevan dispetto; e al chiasso sfrenato dei compagni dell’età più bella preferivo la solitudine dei cantucci più riparati della nostra casa piccina, povera e buia. Ero, insomma, quel che le signore col cappello chiamano un “bambino scontroso” e le donne in capelli “un rospo”» (ibid., Firenze 1913, pp. 3 s.).
Alle onnivore letture intraprese negli anni di una disorganica formazione intellettuale si affiancò presto la stesura delle prime prove letterarie; nel biennio 1896-97 attese alla confezione delle sue prime ‘pubblicazioni’ periodiche (La Rivista, Sapientia, Il Giglio), redatte in esemplari manoscritti con la collaborazione di Allodoli. Negli stessi mesi si collocò anche la sua prima esperienza ‘politica’: la breve militanza nel fascio giovanile repubblicano ‘Goffredo Mameli’, seguita due anni dopo dall’approdo a un anarchismo di matrice stirneriana.
Alla fine del 1899 con Alfredo Mori, Ercole Luigi Morselli e Giuseppe Prezzolini (conosciuto a novembre) diede vita a un sodalizio, ratificato ‘ufficialmente’ il 12 aprile 1900 con la sottoscrizione di un manifesto (Proclama degli Uomini Liberi), ma destinato a sciogliersi nell’ottobre 1901 per la deriva letteraria di Mori e Morselli, incompatibile con gli interessi filosofici di Papini e Prezzolini. Sempre alla fine del 1901 lasciò l’appartamento in via Ghibellina, 97 trasferendosi in Borgo Albizi, 14.
Completato l’anno di tirocinio, insegnò presso il collegio anglo-italiano; tra il 1900 e il 1902 frequentò come uditore i corsi delle sezioni di filosofia e filologia e di medicina e chirurgia presso l’Istituto di studi superiori. Entrato in contatto con Ettore Regàlia, al quale dedicò di lì a poco un articolo apparso nella Revue scientifique, e con il milieu positivista raccolto intorno a Paolo Mantegazza, nel 1902 divenne socio della Società italiana d’antropologia, etnologia e psicologia comparata (presso la cui sede il 1° giugno tenne una conferenza su Leonardo da Vinci antropologo), collaboratore dell’Archivio per l’antropologia e la etnologia (in cui pubblicò il saggio La teoria psicologica della previsione: 1902, 32, n. 2, pp. 351-375) e bibliotecario del Museo nazionale di antropologia.
Dopo aver assunto la leadership di un drappello di letterati e artisti radunatisi con l’intento di fondare una rivista, il 26 novembre di quello stesso anno Papini tenne nello studio di Adolfo De Karolis, presso l’Accademia di belle arti, il celebre Discorso ai giovani del gruppo vinciano, il cui valore fondativo per lo Sturm und Drang fiorentino fu sottolineato dieci anni più tardi in un capitolo di Un uomo finito (Il discorso notturno).
Leonardo vide la luce il 4 gennaio 1903, benevolmente accolto da Gabriele d’Annunzio e Benedetto Croce, che lo segnalò su La Critica: ne seguì un fitto carteggio con Papini, destinato tuttavia a interrompersi polemicamente dieci anni più tardi. Contrassegnata da un sostanziale eclettismo, l’uscita irregolarmente trimestrale della rivista si arrestò il 10 maggio per i contrasti sorti in seno alla redazione; le pubblicazioni ripresero tra il 10 novembre 1903 e l’ottobre-dicembre 1905 con una «nuova serie» contraddistinta da una vivace battaglia antipositivista venata di tensioni irrazionalistiche e nutrita dall’intuizionismo di William James e Henri Bergson.
Nel novembre 1903 la nomina a caporedattore del Regno proiettò Papini nell’orizzonte del giornalismo nazionalista e antidemocratico; sollecitato dal direttore del settimanale, Enrico Corradini, all’inizio del 1904 stese un discorso programmatico (I principii di un nuovo Partito nazionale) che lesse a Siena (21 febbraio), Livorno (13 marzo), Arezzo (20 marzo) e Firenze (24 aprile). Con Mario Calderoni e Giovanni Vailati partecipò al Congresso internazionale di filosofia di Ginevra (4-8 settembre 1904), dove incontrò Bergson, e al Congresso internazionale di psicologia di Roma (26-30 aprile 1905), dove conobbe Cesare Lombroso e James, con il quale avviò un notevole scambio epistolare.
Nel 1905 uscì a Milano il suo primo libro, Il crepuscolo dei filosofi, nato da un ciclo di conferenze tenuto all’Università popolare di Firenze (giugno-luglio 1903), cui seguì il saggio La coltura italiana (Firenze 1906), scritto con Prezzolini, e la prima delle quattro raccolte di racconti allestite nell’arco di otto anni (Il tragico quotidiano, Firenze 1906; Il Pilota cieco, Napoli 1907; Parole e sangue, Napoli 1912; Buffonate, Firenze 1914).
Nel frattempo era stata varata la terza serie di Leonardo (febbraio 1906 - agosto 1907), in cui affioravano due orientamenti, l’uno misticheggiante, l’altro logico-empirico, entrambi riconducibili, pur nelle sue numerose varianti, al pragmatismo. La disponibilità manifestata, per suggerimento di Bergson, da Félix Alcan a farsi editore di un suo libro costituì l’occasione per un primo viaggio a Parigi (novembre 1906 - gennaio 1907) dove – introdotto da Ardengo Soffici, con il quale era in contatto sin dal 1903 – conobbe e frequentò Emile Boutroux, Remy de Gourmont, Charles Péguy, Pablo Picasso, Georges Sorel.
Con rito sia religioso sia civile, il 22 agosto 1907 sposò Giacinta Giovagnoli (1884-1967), originaria di Bulciano, una frazione di Pieve Santo Stefano, dall’unione con la quale nacquero Viola (1908-1971) e Gioconda (1910-1954). Dopo aver vissuto a Varlungo, si stabilì dapprima in via Vittorio Emanuele II, 72 e quindi, dal 1909, in via dei Bardi, 6. Alle sempre più fitte collaborazioni giornalistiche iniziò ad alternare la stesura di una nuova, ambiziosissima opera, Rapporto sugli uomini, cui avrebbe atteso infaticabilmente nell’arco di oltre trent’anni.
All’inizio del 1908 soggiornò a Milano con la speranza (frustrata) di essere assunto al Corriere della sera; le relazioni stabilite con la redazione della rivista modernista Il Rinnovamento e, in particolare, con Alessandro Casati si concretizzarono nel progetto di un settimanale, Il Commento, arenatosi dopo un solo numero di saggio (16 febbraio). Lasciata Milano, visse per qualche tempo a Bulciano, dove sarebbe tornato ogni anno nei mesi estivi sino al 1943, in un podere di proprietà dei suoceri e poi, dal 1914, in una casa edificata ex novo su suo progetto. In estate l’editore Rocco Carabba di Lanciano gli affidò la direzione della collezione di testi filosofici «Cultura dell’anima» e, poco dopo, quella della collana letteraria «Scrittori nostri»: avrebbe conservato il duplice incarico sino al 1921.
Interlocutore di Prezzolini nelle discussioni che precedettero la nascita della Voce, collaborò alla rivista sin dal primo numero; le divergenze che ormai lo separavano dal direttore (ma che non gli impedirono di subentrargli, in nome dell’antica amicizia, tra il 4 aprile e il 31 ottobre 1912), tuttavia, lo indussero a cercare altri spazi per i propri interessi filosofici (con la fondazione dell’Anima, diretta insieme con Giovanni Amendola nel 1911) e letterari (con i progetti, entrambi condivisi con Soffici, di Lirica e Lacerba, la prima solo ideata nel 1911, la seconda stampata a partire dal 1° gennaio 1913 presso la tipografia di Attilio Vallecchi, allora alla sua prima esperienza editoriale). Nel 1911 Papini licenziò Le memorie d’Iddio (Firenze), libro che in seguito rifiutò per la sua empietà, e L’altra metà (Ancona), nel 1912 La vita di nessuno (Firenze).
A partire dall’aprile 1912 lavorò al progetto – rimasto in larghissima parte solo sulla carta – di una nuova casa editrice, la Società editrice libraria fiorentina, sostenuta finanziariamente da Gustavo Sforni e specializzata in edizioni d’arte e libri sull’Oriente. Nel maggio successivo ebbe una relazione con Sibilla Aleramo destinata a chiudersi nel giro di poche settimane. All’inizio del 1913, a breve distanza dal lancio di Lacerba, la Libreria della Voce pubblicava a Firenze Un uomo finito.
Rendiconto psicologico obbediente ai codici del romanzo di formazione e del ritratto generazionale, il libro ripercorreva, in una sequenza ininterrotta di esaltazioni e cadute, la vicenda dell’autore-protagonista: dall’infanzia solitaria, segnata dal precoce incontro con i libri, alla giovinezza animata da furori iconoclastici, sino alla maturità tormentata da una smisurata ambizione che lo spingeva al sogno titanico di farsi Dio. Con il suo «corollario di velleità ribellistiche e avanguardistiche» ancorato però a un saldo fondo toscano-mezzadrile, il libro è stato indicato da Umberto Carpi come espressione esemplare del «filone più autenticamente fiorentino del vocianesimo»: «Papini avverte in pieno la crisi d’identità che investe la generazione intellettuale dell’età giolittiana, ma in lui essa collide con una adesione di fondo alla chiusa ottica precapitalistica e tradizionalista della toscanità mezzadrile: ne deriva una singolare miscela di sollecitazioni nazionali-europee e di richiami locali-agresti, che nel Papini giovane dà luogo ad un’urgenza di promozione superomistica innestata nell’idillismo dei poderi e dei valori di Bulciano» (Papinismo e neovocianesimo, in Lavoro critico, 1977, 11-12, pp. 217-228, poi, con titolo Il superomismo mezzadrile di Gian Falco, in Id., Giornali vociani, Roma 1979, pp. 107-120).
Sempre nel 1913 uscirono la prima serie di «saggi non critici» 24 cervelli (Ancona), seguiti più tardi dalla seconda e terza serie (Stroncature e Testimonianze: rispettivamente Firenze 1916 e Milano 1918), la raccolta di scritti Sul pragmatismo (Milano) e i pamphlets Contro Roma e contro Benedetto Croce (Milano) e Discorso di Roma (Firenze), che riproducevano l’intervento letto il 21 febbraio al meeting futurista del Teatro Costanzi, il rumoroso ‘evento’ che sancì l’avvio della collaborazione tra il movimento milanese di Marinetti e il gruppo fiorentino di Lacerba. L’esposizione di pittura futurista aperta a Firenze presso i locali della Libreria Gonnelli (30 novembre 1913 - 15 gennaio 1914), la serata futurista al Teatro Verdi (12 dicembre 1913), l’allestimento dello scanzonato e irriverente Almanacco purgativo 1914 (Firenze 1913) furono gli episodi più rilevanti di una contraddittoria alleanza – andata in frantumi solo un anno più tardi – in cui le istanze ribellistiche dell’avanguardia nazionale ed europea si erano innestate sull’antica attitudine al ‘teppismo’ di Papini, che da tempo aveva intuito «la forza dello scandalo come veicolo rapido per le idee nuove» (L. Baldacci, Introduzione a G. Papini, Opere. Dal “Leonardo” al Futurismo, Milano 1977, p. XIII).
Tra la fine di febbraio e l’inizio di aprile 1914 Papini soggiornò nuovamente a Parigi: gli incontri e le frequentazioni di quelle settimane (Guillaume Apollinaire, Paul Fort, Max Jacob tra gli altri) contribuirono a rendere memorabile quella primavera in cui la belle époque celebrava i suoi ultimi fasti.
Fatto ritorno a Firenze, firmò con Prezzolini il volume Vecchio e nuovo nazionalismo (Milano 1914). Sempre in primavera si trasferì in via Colletta, 10, dove avrebbe vissuto sino al trasloco in via Vico, 3 nel 1924. Lo scoppio del primo conflitto mondiale lo sorprese a Bulciano, dove si trovava con Soffici. Schierato a favore della campagna interventista, sostenne la causa della guerra a fianco delle forze dell’Intesa con articoli intrisi di significati palingenetici, affidati a Lacerba, il Giornale del mattino, il Resto del Carlino e Il Popolo d’Italia (appena fondato da Benito Mussolini), poi ripresi in La paga del sabato (Milano 1915).
Il 22 maggio 1915 Lacerba cessò le pubblicazioni; riformato per la grave miopia di cui era affetto, Papini si occupò della Voce (riconvertita in rivista letteraria sotto la guida di Giuseppe De Robertis) e della Libreria della Voce, presso cui stampò la raccolta di scritti Maschilità (Firenze 1915), le prose liriche di 100 pagine di poesia (Firenze 1915) e le «venti poesie in rima» di Opera prima (Firenze 1917), ispirate a un lirismo di matrice toscano-vociana. «La crisi della leadership culturale papiniana – ha scritto Mario Isnenghi – si può fare iniziare dal 24 maggio. Il conflitto, personalmente, non lo travolge; lo lascia a casa, sulla riva. Non potrà essere tra quelli che imparano dalla realtà della guerra a decantarne l’ideologia [...]. Ma Papini è il primo ad avvertire – e uno dei pochi a scrivere chiaro durante il conflitto – che sul piano politico e militare anche il civile è condannato, in tempo di guerra, ad aggirarsi melanconicamente tra i lacerti incomprensibili delle opposte campagne mitologiche e pubblicitarie» (Firenze 1972, p. 85).
Nel giugno 1916 si ristabilì a Bulciano: qui rimise mano al Rapporto sugli uomini, lavorò a nuovi libri (Polemiche religiose, Lanciano 1917; L’uomo Carducci, Bologna 1918) proseguendo la collaborazione al Resto del carlino. Coinvolto da Filippo Naldi nella preparazione di un nuovo quotidiano, Il Tempo, nel 1917 visse per lunghi periodi a Roma, dove frequentò Angelo Signorelli e Olʹga Resnevič, giornalista, scrittrice e traduttrice russa. Alla fine di agosto ricevette a Bulciano la visita di Giuseppe Ungaretti, allora in licenza dal fronte. Caporedattore della terza pagina del nuovo giornale (nelle edicole dal 12 dicembre), si trasferì nella capitale sino al marzo 1918, quando decise di rinunciare all’incarico. In quei mesi si manifestarono i sintomi di quella «profonda mutazione spirituale» alimentata dall’inquietudine e dai sensi di colpa dell’ex interventista, di cui Papini parlò per la prima volta in una lettera a Cesare Angelini del 16 maggio successivo. Il 24 giugno siglò con Vallecchi un accordo per la cessione dei diritti delle sue opere libere da vincoli con altre case editrici: il contratto impegnava lo scrittore ad affidare all’editore tutta la sua produzione futura a fronte della garanzia di una provvigione mensile che lo sottraeva alle angustie economiche e alla corvée delle collaborazioni giornalistiche, creando di fatto le condizioni per una vita di studio più agiata.
Nel 1919 diede alle stampe a Firenze per Vallecchi due raccolte di scritti d’avant-guerre, Chiudiamo le scuole e L’esperienza futurista, oltre alle prose liriche di Giorni di festa per la Libreria della Voce (Firenze). Dal febbraio 1919 al maggio 1920 diresse la rivista La vraie Italie, interamente redatta in francese con l’intento di favorire, nel quadro del dopoguerra, la conoscenza della cultura italiana fuori dai confini nazionali. Nel 1920 curò l’antologia Poeti d’oggi (1900-1920) in collaborazione con Pietro Pancrazi (Firenze; 19252).
Il 19 agosto 1919 aveva iniziato a lavorare alla Storia di Cristo, che lo impegnò sino al 9 ottobre 1920. «Non ci fu un tempo di meditazione, di deposito che desse frutti visibili», ha sottolineato Carlo Bo: «Papini uscì dalla casa del diavolo […] ed entrò in chiesa di corsa, per di più con l’aria di saperla così lunga da poter parlare direttamente con Dio e magari insegnare qualcosa agli altri, a chi da anni batteva in silenzio la strada della regola e dell’obbedienza. Questo brusco passaggio dall’indifferenza alla libera predicazione non gli ha consentito di tracciare un itinerario spirituale preciso, naturale, senza amplificazioni rettoriche» (La conversione di Papini, in La Stampa, 14 febbraio 1959; poi in Id., La religione di Serra, Firenze 1967, pp. 440-443). Sottoposto alla revisione ecclesiastica di don Emanuele Magri, il libro, pubblicato a Firenze per Vallecchi, apparve in libreria il 31 marzo 1921: immediato fu il riscontro dei lettori, tanto da rendere necessaria una seconda edizione a maggio; la terza, nel 1922, accolse le indicazioni del gesuita padre Enrico Rosa. In quello stesso anno le prime traduzioni sancirono l’inizio di un durevole successo internazionale dell’opera.
All’inizio degli anni Venti curò un’antologia manzoniana (Le più belle pagine di Alessandro Manzoni, I-II, Milano 1921 e 1924) e un’Antologia della poesia religiosa italiana (Milano 1923). Nel 1922 concepì con Domenico Giuliotti, testimone partecipe del suo riavvicinamento alla fede, il progetto del Dizionario dell’Omo Salvatico, un’enciclopedia satirica e polemica intrisa di reazionario e oltranzistico integralismo cattolico, arrestatasi al primo volume (A-B, Firenze 1923). Negli stessi anni lavorò a La seconda nascita, una raccolta di memorie autobiografiche, destinata a uscire postuma (Firenze 1958), il cui titolo alludeva alla rigenerazione religiosa seguita alla tragedia della guerra. Il silenzio editoriale venne interrotto solo con le poesie di Pane e vino (Firenze 1926).
Sin dal primo numero (26 maggio 1929) collaborò al Frontespizio, punto di riferimento dell’intellettualità cattolica, fiorentina e non solo, nel corso degli anni Trenta, che avrebbe diretto nel biennio 1939-40 insieme con Piero Bargellini e Soffici. Dopo aver licenziato Gli operai della vigna e Sant’Agostino (entrambi Firenze 1929), ai quali seguì Gog (Firenze 1930), nel 1932 varò presso Vallecchi l’edizione delle Opere complete (rimasta incompiuta) e iniziò a collaborare al Corriere della sera. Nel 1933 diede alle stampe Il sacco dell’orco (Firenze) e Dante vivo (Firenze), insignito il 28 maggio del premio Firenze su proposta di Mussolini, alla cui Vita di Arnaldo il premio era stato originariamente assegnato. Era solo il primo dei riconoscimenti che il regime avrebbe tributato a Papini, dopo che la stipula dei Patti Lateranensi aveva progressivamente attenuato le sue riserve nei riguardi del fascismo: il 21 settembre 1935 fu nominato professore di letteratura italiana all’Università di Bologna; il 12 aprile 1937 Accademico d’Italia; il 29 luglio 1937 presidente del neonato Centro di studi sul Rinascimento di Firenze; nel 1939 presidente dell’Edizione nazionale delle opere di Niccolò Tommaseo.
Il 14 settembre 1929 la primogenita Viola aveva sposato Stanislao Paszkowski (1905-1987), mentre il 18 maggio 1933 la seconda figlia Gioconda si era unita in matrimonio con Carlo Luigi (Barna) Occhini (1905-1978). L’8 luglio 1935 si spense la madre; nel gennaio 1936 un delicato intervento all’occhio sinistro lo persuase definitivamente a rinunciare alla prospettiva dell’insegnamento universitario; nel 1937 lasciò l’appartamento di via Vico per stabilirsi definitivamente in un villino al n. 10 di via Guerrazzi.
Fittissima fu l’attività editoriale di quegli anni, con la pubblicazione di raccolte di saggi (La pietra infernale, Brescia 1934; Grandezze di Carducci, Firenze 1935; I testimoni della passione, Firenze 1937; Italia mia, Firenze 1939; Figure umane, Firenze 1940; La corona d’argento, Milano 1941; L’imitazione del padre, Firenze 1942; Cielo e terra, Firenze 1943), di autoantologie (Mostra personale, Brescia 1941; Racconti di gioventù, Firenze 1943) e del primo (e unico) volume della Storia della letteratura italiana (Firenze 1937). Nel 1936 firmò la sceneggiatura di un film (non realizzato) su santa Caterina da Siena; nel 1939 venne rappresentata nell’ambito del Maggio musicale fiorentino una sua riduzione di Re Lear per la musica di Vito Frazzi. Nel 1940, accantonato definitivamente il Rapporto sugli uomini, mise mano a una nuova opera dal disegno non meno ambizioso, Giudizio universale, destinata analogamente a rimanere incompiuta.
Il 26 marzo 1942 intervenne al convegno dell’Unione europea degli scrittori di Weimar con un discorso sui valori cristiano-umanistici che suonò sgradito alle autorità naziste. Nella primavera del 1943 si trasferì a Bulciano dove, sorpreso dagli eventi, decise di rimanere nel terribile inverno 1943-44; nell’aprile 1944 non accettò la presidenza dell’Accademia d’Italia, offertagli dopo l’uccisione di Giovanni Gentile; il 22 giugno l’avanzata del fronte lo indusse a lasciare la sua casa (poi gravemente lesionata) trasferendosi alla Verna, dove rimase sino all’8 settembre. Accolto presso il vescovado di Arezzo, rientrò a Firenze l’11 ottobre.
Il 25 gennaio 1946 partecipò alla fondazione della rivista L’Ultima, nata per iniziativa di un cenacolo di cattolici fiorentini. In quello stesso anno licenziò Lettere agli uomini di Papa Celestino VI (Firenze) e l’autoantologia Foglie della foresta (Firenze), nel 1948 un libro di memorie primonovecentesche (Passato remoto, Firenze) e una raccolta di scritti (Santi e poeti, Firenze), cui seguirono una monografia su Michelangelo (Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo, Milano 1949), la raccolta di prose Le pazzie del poeta (Firenze 1950) e il «nuovo diario di Gog» (Il libro nero, Firenze 1951), cui fu conferito il premio Marzotto.
Nel 1952 si manifestarono i primi sintomi della terribile malattia che lo avrebbe condotto a una lenta e progressiva paralisi; grazie alla nipote Anna Paszkowski, tuttavia, continuò a leggere e lavorare. Il progetto di una nuova rivista, Il foglio, pensata con Soffici e Occhini, fu abbandonato dopo l’allestimento di un numero di prova. Il 10 marzo 1953 vergò con grafia ormai incerta l’ultima annotazione del suo Diario: «Ho passato lunghi mesi di malinconie e di sofferenze. Ho sopportato tutto per la speranza di guarire. Mi hanno bucato centinaia di volte, mi hanno massaggiato braccia e gambe. Ma non posso camminare senza aiuto e la mano destra dura fatica a tener la penna» (Firenze 1962, p. 703).
Nel dicembre successivo Il Diavolo (Firenze), un pamphlet di tono eterodosso, provocò accese polemiche tanto da venire ritirato dalle librerie cattoliche. Il 1° aprile 1954, ormai impedito nell’uso della vista e della mano, Papini iniziò a dettare per Il Nuovo Corriere della sera la serie delle Schegge, postrema testimonianza della sua cristiana accettazione dell’infermità, successivamente raccolte in La spia del mondo (Firenze 1955), Le felicità dell’infelice (Firenze 1956) e Schegge (Firenze 1971). In questi anni videro la luce le autoantologie Concerto fantastico e Strane storie (entrambi, Firenze 1954), oltre a una nuova raccolta di scritti (La loggia dei busti, ibid. 1955).
Il 25 aprile 1954 morì la figlia Gioconda. Il 22 novembre, il 10 e il 17 dicembre 1955 gli fece visita Prezzolini, tornato dopo molti anni dagli Stati Uniti. Il 24 giugno 1956 furono stampate nel Nuovo Corriere della Sera le ultime Schegge. Papini morì a Firenze la mattina dell’8 luglio 1956.
I funerali si svolsero il giorno seguente nella chiesa di San Francesco in piazza Savonarola; per sua volontà lo scrittore venne sepolto nel Cimitero monumentale delle Porte Sante. Postumi apparvero Giudizio universale (Firenze 1957), La seconda nascita (Firenze 1958), Diario (Firenze 1962), Rapporto sugli uomini (Milano 1977), Diario 1900 (Firenze 1981; nuova ed., Il non finito, Firenze 2005).
Edizioni: L’edizione in dieci volumi di Tutte le opere è stata pubblicata a Milano presso Mondadori: Poesia e fantasia (1958); Filosofia e letteratura (1961); Dante e Michelangiolo (1961); Scrittori e artisti (1959); Cristo e Santi (1962); Testimonianze e polemiche religiose (1960); Prose morali (1959); Politica e civiltà (1963); Autoritratti e ritratti (1962); Scritti postumi (I-II, 1966). Tra le antologie si segnalano quelle firmate da Carlo Bo (Io, P., Firenze 1967) e da Luigi Baldacci in collaborazione con Giuseppe Nicoletti (Opere. Dal “Leonardo” al Futurismo, Milano 1977); una scelta dei racconti ha curato Jorge Luis Borges (Lo specchio che fugge, Parma-Milano 1975; poi Milano 1990).
Della poliedrica attività di Papini offre un censimento la Bibliografia degli scritti di G. P., a cura di A. Aveto - J. Lovreglio, Roma 2006; tra i necessari aggiornamenti si segnala almeno l’uscita dei carteggi con Aldo Palazzeschi (a cura di S.A. Bottini, Roma 2006), R. Ridolfi (a cura di A. Gravina, Roma 2006), P. Bargellini (a cura di M.C. Tarsi, Roma 2006), B. Croce (a cura di M. Panetta, Roma 2012), G. Prezzolini (a cura di S. Gentili - G. Manghetti, I-III, Roma 2003-2013), E. Garin - G. Gentile (Immagini del Rinascimento: Garin, Gentile, P., Roma 2013).
Fonti e Bibl.: L’Archivio G. P. è stato acquistato dalla Regione Toscana e affidato alla Fondazione Primo Conti di Fiesole nel 1980; strumento imprescindibile per la sua consultazione è l’Inventario dell’Archivio P. di G. Manghetti - S. Gentili (Roma 1998). Oltre duecento autografi di oltre cinquanta autori (tra i quali D. Campana, A. Palazzeschi, U. Saba, A. Savinio, R. Serra, G. Ungaretti), originariamente allegati alla corrispondenza inviata a P., sono stati acquistati dalla Regione Emilia Romagna nel 1987 e depositati presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena nel 1990. Per legato testamentario, la biblioteca dello scrittore è pervenuta alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Firenze.
La più attendibile ricognizione biografica rimane quella di R. Ridolfi: Vita di G. P., Milano 1957 (poi Roma 1987 e 1996); notizie sui primi anni di vita si leggono in A. Cecconi, Le case della memoria, Firenze 2009, pp. 153-159; per la formazione giovanile si rimanda a E. Allodoli, Il Domatore di Pulci, Firenze s.a., pp. 155-171, e Il ragazzo P., in Lo spettatore italiano, 15 agosto - 1° settembre 1924, pp. 89-106. Volumi di ricordi e aneddotica hanno dedicato a P. la figlia Viola (La bambina guardava, Milano 1956 e Roma 2006), J. Lovreglio (Incontri con P., Firenze 1961) e tre dei suoi segretari: A. Viviani (Gianfalco, Firenze 1934; P. aneddotico, Roma 1936 e Milano 1939; La maschera dell’orco, Milano 1955), V. Franchini (P. intimo, Rocca San Casciano 1957; Dietro le Porte Sante, Firenze 1985) e C. Ballerini (Quell’indimenticabile giornata, Prato 1998; “Suggestioni di un manoscritto”, Firenze 2002). Di particolare interesse sono i volumi P. settant’anni (Firenze 1951) e P. vivo (Firenze 1957), oltre ai cataloghi delle mostre organizzate a Firenze (G. P. 1881-1981, a cura di M. Marchi - J. Soldateschi, Firenze 1981) e a Pieve Santo Stefano (... casa di pietra celeste... G. P. a Bulciano 1908-1944, a cura di L. Chimenti, Sansepolcro 1996).
G. Prezzolini, Discorso su G. P., Firenze 1915 (poi Torino 1924; Roma 2006); Lazarillo [M. Puccini], G. P., Milano 1920; R. Fondi, Un costruttore. P., Firenze 1922; N. Moscardelli, G. P., Roma 1924; E. Palmieri, G. P., Firenze 1927; M. Apollonio, P., Padova 1944; M. di Franca, Storia dell’anima di G. P., Modena 1957; V. Horia, G. P., Paris 1963 (trad. it.: Roma 1972); V. Gaye, La critica letteraria di G. P., Firenze 1965; V. Vettori, G. P., Torino 1967; M. Isnenghi, G. P., Firenze 1972; J. Lovreglio, Une odyssée intellectuelle entre Dieu et Satan, I-IV, Paris 1973-81; U. Carpi, Papinismo e neovocianesimo, in Lavoro critico, 1977, 11-12, pp. 217-228 (poi, con il titolo Il superomismo mezzadrile di Gian Falco, in Id., Giornali vociani, Roma 1979, pp. 107-120); G. Fantino, Saggio su P., Milano 1981; L. Righi, G. P. imperatore del nulla, Fiesole 1982; G. P. L’uomo impossibile, a cura di P. Bagnoli, Firenze 1982; G. P., a cura di S. Gentili, Milano 1983; G. Invitto, Un “contrasto” novecentesco: G. P. e la filosofia, Lecce 1984; M.C. Papini, “Racconti di gioventù” di G. P., in Studi novecenteschi, XVIII (1991), 41, pp. 51-62 (poi in Ead., La scrittura e il suo doppio, Roma 2005, pp. 223-238); C. Di Biase, G. P. L’anima intera, Napoli 1999; R. Vivarelli, Osservazioni su uno scritto politico di G. P., in Storia, filosofia e letteratura, a cura di M. Herling - M. Reale, Napoli 1999, pp. 743-758; M. González de Sande, La cultura española en P., Prezzolini, Puccini y Boine, Roma 2001; P. Paolini, Il “Giudizio Universale” di G. P., in Otto/Novecento, XXV (2001), 1, pp. 25-57; P. Casini, Alle origini del Novecento. “Leonardo” 1903-1906, Bologna 2002; S. Gentili, L’altra metà. Prezzolini e P., in Prezzolini e il suo tempo, a cura di C. Ceccuti, Firenze 2003, pp. 113-143; A.M. Mangini, Il maldestro demiurgo. Note sul ‘doppio’ nel fantastico papiniano, in Poetiche, 2003, 2, pp. 189-237 (poi in Il visionario, il fantastico, il meraviglioso tra Otto e Novecento, a cura di A.M. Mangini - L. Weber, Ravenna 2004, pp. 151-189, e, rielaborato, in Id., Letteratura come anamorfosi, Bologna 2007, 83-112); C. Sereni, “Due immagini in una vasca”: approdo a un “fantastico” papiniano tra “volontà” e “poesia”, in Il visionario, il fantastico, il meraviglioso..., a cura di A.M. Mangini - L. Weber, Ravenna 2004, pp. 191-221; A. Vannicelli, La tentazione del racconto. Le novelle del primo P. tra simbolismo e futurismo, Firenze 2004; M. Richter, P. e Soffici, Firenze 2005; G. Prezzolini - A. Soffici, Addio a P., a cura di M. Attucci - L. Corsetti, in Quaderni sofficiani, XII (2006); A. Castaldini, G. P. La reazione alla modernità, Firenze 2006; E. Tiozzo, P. a Stoccolma, in Belfagor, LXI (2006), 6/366, pp. 633-648; P. e il suo tempo, a cura di C. Ceccuti, Firenze 2006; G. Tuccini, Spiriti cercanti. 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Manghetti, Attorno ai “Poeti d’oggi (1900-1920)” di P. e Pancrazi, ibid., XXXVI (2009), 78, pp. 533-545; M. Panetta, Artisti versus operai: il “Leonardo” e “La critica” nella corrispondenza tra Croce e P., in Poetiche, 2010, 2-3, pp. 275-317; J. Soldateschi, Il tragico quotidiano. P. Palazzeschi Cassola Bianciardi, Firenze 2010; B. Laghezza, I ‘colloqui inquietanti’ tra “Le due immagini in una vasca” di G. P., in Italianistica, XL (2011), 1, pp. 101-123 (poi in Ead., “Una noia mortale”, Ghezzano 2012, pp. 85-118); F. Fain, G. P., Scandicci 2011; P., Vailati e la “Cultura dell’Anima”, a cura di M. Del Castello - G.A. Lucchetta, Lanciano 2011; B. Stagnini, Luce d’amicizia. Carteggio Ada Negri - G. P., in Rivista di letteratura italiana, XXXI (2013), 2, pp. 129-153; P. e il genio fiorentino. Un inedito ‘antipasto’ al primo “Almanacco dei Visacci”, a cura di M. Sessa, in Nuova antologia, CXLVIII (2013), 2268, ottobre-dicembre, pp. 170-185; A. Aveto, Un “galantuomo” tra i “mascalzoni”. 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