Giovanni Peckham Teologo (Patcham, Sussex, 1240 ca
Mortlake 1292). Educato nel convento di Lewes, si fece francescano e studiò a Oxford, poi a Parigi, dove si addottorò dopo essere stato allievo di s. Bonaventura. Nono provinciale dei francescani d’Inghilterra (1275), fu chiamato a Roma da Niccolò III che lo nominò (1277) lector sacri palatii. Arcivescovo di Canterbury (1279), iniziò una vasta azione intesa ad affermare l’autorità ecclesiastica di fronte al potere civile, lottando energicamente contro la pluralità delle sedi e l’assenteismo del clero. Più volte in conflitto con lo stesso re, che temeva le conseguenze politiche di questo fervore ecclesiastico, G. riuscì tuttavia a mantenere con Edoardo I rapporti per lo più cordiali, e fu Edoardo a chiedergli di mandare i francescani nel Galles conquistato. Le posizioni filosofiche di G. sono in stretta connessione con l’agostinismo e soprattutto con l’insegnamento di Bonaventura: dalla dottrina dell’evidenza immediata dell’esistenza di Dio (con la ripresa dell’argomento ontologico di s. Anselmo) alla concezione della composizione materia-forma estesa a ogni essere creato, fino a tutto il complesso di soluzioni che caratterizzano la psicologia dell’agostinismo del sec. 13°. L’anima umana, composta di materia e forma, è, quanto alla forma, composta di tre forme o substantiae distinte corrispondenti alle sue tre perfezioni: vita vegetativa, sensitiva, intellettiva; anche il corpo ha una sua forma propria (forma corporeitatis) sicché i rapporti tra anima e corpo sono come tra due sostanze diverse e distinte (per la loro unione G. riprende la dottrina agostiniana e medica degli spiritus); quanto all’intellezione, essa non richiede solo il lumen intellectus creatum e l’intellectus possibilis, ma anche e soprattutto la luce divina (lumen increatum supersplendens) che infonde le rationes aeternae, cioè i principi fondamentali del conoscere (da questo punto di vista G. può chiamare Dio intellectus agens); nei rapporti tra intelletto e volontà, quest’ultima prevale, sicché l’autodeterminazione volontaria non è soggetta all’azione causale della conoscenza. Si comprende quindi la polemica presente soprattutto nelle sue lettere contro l’aristotelismo e l’incipiente tomismo. Fedele ai principi della metafisica della luce, G. tratta in questo ambito i fenomeni della prospettiva. Tra le sue opere: commento alle Sentenze; varie Quaestiones; Summa de esse et essentia; De animalibus; Perspectiva communis (e forse anche un Tractatus de perspectiva et iride); Tractatus de numeris.