PESCE, Giovanni
PESCE, Giovanni. – Nacque il 22 febbraio 1918 a Visone d’Acqui Terme (Alessandria) da Riccardo, scalpellino, e da Maria Bianchin. Il padre, antifascista e poverissimo, nel 1924 emigrò nel paese minerario di Grand’Combe nelle Cevennes, Francia. Il resto della famiglia lo raggiunse pochi mesi dopo e a Grand’Combe la madre gestì una vineria per minatori.
Non ancora quattordicenne anche Giovanni entrò in miniera. Si iscrisse al sindacato, ma era già membro della Jeunesse communiste da un anno.
Nel 1936, tramite il Partito comunista italiano (PCI) e il sindacato, la Bourse du travail, riuscì a farsi inserire in un gruppo di militanti in partenza per la Spagna per combattere contro Francisco Franco. Partì di nascosto da sua madre, da poco rimasta vedova. Arruolatosi nel battaglione Garibaldi, formato da antifascisti italiani comunisti, anarchici e repubblicani, combatté nelle battaglie che impedirono ai franchisti di entrare a Madrid con un anno di anticipo: a Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Argenda e Jarama. In quest’ultima battaglia, a fronte della fuga di gran parte dei suoi compagni, Pesce e pochi altri rimasero a fronteggiare con una mitragliatrice le cariche della cavalleria marocchina. Nel marzo, sotto il comando di Ilio ‘Dario’ Barontini e accanto a importanti figure dell’antifascismo italiano, prese parte a Guadalajara alla più celebrata tra le battaglie degli antifascisti italiani che lì si batterono contro connazionali fascisti più numerosi e meglio armati, sconfiggendoli. Appena ripresosi da una ferita, prese parte all’offensiva dell’Ebro (luglio-novembre 1938), durante la quale fu ferito di nuovo e più seriamente.
Dopo la sconfitta tornò prima in Francia e poi in Italia; poco tempo dopo fu arrestato a Torino. Condannato per la sua partecipazione alla guerra di Spagna fu inviato a Ventotene, dove trascorse anni importanti, avendo come compagni di detenzione e maestri alcune tra le più importanti figure del comunismo italiano: tra gli altri Pietro Secchia, Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Di Vittorio, Battista Santhià, Girolamo Li Causi, Eugenio Colorni ed Eugenio Curiel. Fu un periodo fondamentale per la sua formazione politica e ancor più per la sua crescita culturale: in Francia non aveva frequentato molto le scuole e conosceva in modo approssimativo l’italiano.
Liberato un mese dopo la caduta del fascismo, nell’agosto del 1943, raggiunse Torino. Qui Secchia decise di porlo alla testa dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), piccole unità combattenti clandestine alle quali il PCI aveva affidato il compito di effettuare attacchi armati contro i fascisti e i tedeschi nelle città. Un tipo di guerra che non fu approvato da altre componenti della Resistenza.
Pesce, che agiva con il nome di battaglia di ‘Ivaldi’, ripartì da zero per costruire la sua unità e si trovò a essere sollecitato dal PCI all’azione pur mancando di collaboratori. La prima azione consisté nell’uccisione di un fascista, che Pesce eseguì da solo nel novembre del 1943. Poi Barontini lo aiutò ad avere maggiori aiuti da parte del partito e gli insegnò a confezionare bombe artigianali. Nei mesi successivi furono colpiti ritrovi di SS con ordigni, uccise spie e, in pieno giorno, ufficiali tedeschi e giornalisti fascisti. La struttura dei GAP crebbe, ma solo di poche unità (prevalentemente si trattava di operai). Tuttavia i fascisti pensavano di avere a che fare con moltissimi nemici: i fascisti di Torino scrivevano, chiedendo rinforzi, di trovarsi di fronte migliaia di partigiani (Senza tregua: la guerra dei Gap, 1967, pp. 75-76).
La vita dei componenti del gruppo GAP era molto dura: quando non erano impegnati in azione trascorrevano interminabili ore chiusi negli appartamenti che fungevano da basi, nel terrore di essere arrestati. Non mancavano, inoltre, ripensamenti e problemi etici suscitati dalle azioni: lo stesso Pesce non riuscì a portare a termine il suo primo agguato e dovette tornare il giorno successivo per effettuarlo.
Nel marzo del 1944 i GAP riuscirono a saldare la loro attività con una lotta di massa, lo sciopero generale, facendo esplodere una cabina elettrica e paralizzando la rete nord della tranvia.
L’esperienza del gruppo GAP torinese si concluse tragicamente in maggio, quando si cercò di attaccare e distruggere una stazione radiofonica che disturbava la ricezione delle trasmissioni alleate di Radio Londra. Parteciparono all’azione lo stesso Pesce, Dante Di Nanni, Giuseppe Bravin e Francesco Valentino.
L’obiettivo era difficile perché la stazione sorgeva in uno spazio aperto, dal quale era difficile fuggire; per giunta venne dato l’allarme e i gappisti si trovarono sotto un fuoco incrociato. Bravin e Valentino furono colpiti; Pesce e Di Nanni li pensarono morti e, riusciti a fuggire, continuarono a frequentare le basi consuete. Ma i loro compagni non erano rimasti uccisi e uno di loro parlò sotto tortura. Così Di Nanni fu sorpreso in un appartamento in Borgo San Paolo e, nonostante fosse riuscito a nascondersi in un vano per molte ore, alla fine venne scoperto e ucciso.
Dopo questo episodio la struttura dei GAP entrò in crisi e Pesce fu rapidamente trasferito a Milano per ricostruire l’organizzazione dei gruppi, in grande difficoltà dopo l’arresto del comandante Egisto Rubini, suicidatosi in carcere.
Dopo un primo contatto, disastroso, con un gruppo di cospiratori molto imprudenti, Pesce (il suo nuovo nome di battaglia era ‘Visone’) conobbe Giuseppe Ceresa ‘Pellegrini’, uno dei gappisti superstiti del vecchio gruppo Rubini, e pochi altri, tra i quali Onorina ‘Sandra’ Brambilla, che diventerà sua moglie nel luglio del 1945 e da cui, nel 1951, avrà la figlia Tiziana.
Presto iniziò una nuova serie di attentati, riusciti. Il 24 giugno 1944, alla stazione di Greco Pirelli, molti ordigni collocati all’interno e nei pressi dei locomotori causarono danni così gravi che in un primo momento si pensò a un bombardamento. In luglio fu attaccato l’aeroporto di Cinisello e furono compiuti agguati lungo le autostrade (fermi di vetture, uccisioni di spie e sequestro di derrate alimentari) e attentati contro camion tedeschi.
In agosto a Piazzale Loreto quindici antifascisti, fucilati la mattina, furono esposti insepolti fino al tramonto. I GAP organizzarono la reazione colpendo, tra gli altri, un comando tedesco. In settembre fu identificato e ucciso un delatore della Questura di Milano e il gappista Clemente Azzini, travestito da tedesco, portò a segno un clamoroso attentato contro il locale-ristoro della stazione centrale di Milano, gremito di soldati tedeschi.
Ma a quel punto Onorina Brambilla, che doveva incontrarsi insieme a Pesce con un collaboratore, Giovanni Jannetti ‘Arconati’, fu arrestata. In realtà Jannetti era un agente dei tedeschi e già prima dell’arresto della Brambilla, e subito dopo, altri gappisti furono arrestati in circostanze poco chiare. Pesce si era sottratto all’arresto perché, sospettando di ‘Arconati’, non si era presentato all’appuntamento.
Rimane misteriosa la fiducia che personaggi del calibro di Vincenzo ‘Cino’ Moscatelli accordarono ad ‘Arconati’, che fu ucciso cinque mesi più tardi, non dai gappisti, ma da partigiani socialisti.
Pesce, ormai conosciuto dal nemico, fu sostituito alla testa dei GAP da Luigi Campegi e spostato nella Valle Olona, dove in poco tempo trasformò un gruppo partigiano poco attivo in un’unità molto combattiva, che portò a termine attentati sull’autostrada dei Laghi, contro le ferrovie e le linee elettriche.
Richiamato a Milano in dicembre per riorganizzare i GAP (la maggioranza dei patrioti era stata arrestata) cercò senza successo di pianificare un attentato contro Benito Mussolini in procinto di tenere al Teatro Lirico quello che sarebbe stato il suo ultimo discorso pubblico. Presto, tuttavia, i GAP tornarono in azione colpendo ritrovi di tedeschi e di fascisti. Dopo che Campegi e altri nove gappisti furono fucilati all’inizio di febbraio, Pesce e i suoi fecero saltare un ristorante, ritrovo della formazione fascista ‘Ettore Muti’; in quell’azione i GAP persero due militanti per lo scoppio anticipato della bomba. Forse l’azione più spettacolare dell’ultimo periodo della vita dell’organizzazione fu l’uccisione a opera di Pesce del capo dell’ufficio del personale della fabbrica Aeroplani Caproni, accusato di aver fatto deportare in Germania molti operai antifascisti.
Dopo l’insurrezione, ai GAP venne affidato il compito di eliminare gran parte dei criminali di guerra fascisti catturati a Milano.
La capacità di sopravvivenza di Pesce per un tempo così lungo e in una situazione così difficile fu straordinaria. Dovette la sua salvezza a una non comune attenzione per i particolari, che gli permetteva di memorizzare perfettamente il contesto nel quale le azioni sarebbero avvenute e di osservare, nel corso degli attacchi, ogni minimo dettaglio che potesse indicare un pericolo. Molto coraggioso (fu soprannominato ‘fulmine di guerra’) quando era inseguito dopo un’azione, riuscì più volte a interrompere la fuga aspettando freddamente gli inseguitori e uccidendoli. Infine, venne in suo aiuto un aspetto fisico poco appariscente; come lui stesso osservò «ero piccolo di statura, un po’ stempiato, vestito come un impiegato pubblico, un tipo anonimo» (cit. in Giannantoni - Paolucci, 2005, p. 148).
Il suo profilo durante e dopo la guerra di Liberazione fu quello del tipico militante comunista della Terza internazionale, efficiente e assolutamente fedele al Partito. Quella fedeltà costituì un ultimo motivo della sua efficienza cospirativa.
Naturalmente anche Pesce commise errori: alla spia ‘Arconati’ aveva affidato il comando di un distaccamento; anche la vicenda di Dante Di Nanni nacque da un errore: non aver capito che i suoi compagni creduti morti erano vivi e avrebbero parlato; forse anche per coprire quell’errore, e inoltre per motivi propagandistici, quella tragedia fu mitizzata e si raccontò che Di Nanni (in realtà uscito incolume dall’attacco alla stazione radio) in quell’azione sarebbe stato ferito più volte; che sarebbe stato accompagnato nella base di Borgo San Paolo perché gravissimo; che, attaccato da forze soverchianti di fascisti, li avrebbe impegnati in una lunga sparatoria gettandosi poi nel vuoto al grido di ‘Viva l’Italia libera’ (Aducci, 2012). Appare condivisibile l’osservazione secondo cui quegli errori nascevano da una situazione dove i compiti erano sempre superiori alle forze di cui si disponeva, così le norme di vigilanza, delle quali si invocava il rispetto più ferreo, venivano trascurate per l’assoluta necessità di utilizzare tutti gli elementi disponibili (Borgomaneri, 1995).
Negli anni successivi alla guerra, Pesce, quasi analfabeta in principio e cresciuto poi nella ‘scuola’ del Partito, si cimentò con successo nella scrittura, pubblicando libri in gran parte sugli anni e le esperienze della Resistenza. La forza e la compattezza delle sue certezze ideologiche sono più evidenti nei testi che scrisse immediatamente dopo la guerra. Con la ‘destalinizzazione’ anche Pesce si adeguò, e i suoi scritti successivi danno rilievo alle motivazioni patriottiche e democratiche della lotta di Liberazione.
Meno ricca di soddisfazioni la sua carriera politica nel dopoguerra. Pur insignito, nel 1947, della Medaglia d’oro al valor militare per le sue attività durante la Resistenza, conobbe un destino di progressiva emarginazione politica, comune a una considerevole parte dei militanti comunisti della cospirazione antifascista. Non divenne mai parlamentare, anche se presiedette l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) della provincia di Milano per alcuni anni. Dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, nel luglio 1948, Secchia lo chiamò a Roma incaricandolo di organizzare una Commissione di vigilanza che aveva il compito di proteggere i massimi dirigenti comunisti. Lasciò, tuttavia, l’incarico poco tempo dopo in seguito a dissidi con Giulio Seniga, lo stretto collaboratore di Secchia che più tardi sarebbe fuggito con ingenti fondi non dichiarati del partito.
Fedele al partito, condannò le azioni della Volante rossa, il gruppo di ex partigiani che nel dopoguerra effettuò uccisioni di ex fascisti. Né si lasciò persuadere da Gian Giacomo Feltrinelli, suo amico e suo editore, a entrare a far parte dei gruppi armati che stava organizzando. Fu però assai vicino agli studenti negli anni attorno al 1968, in particolare al Movimento studentesco di Milano.
Dopo lo scioglimento del PCI aderì a Rifondazione comunista. Morì a Milano il 27 luglio 2007.
Opere. Soldati senza uniforme, Roma 1950; Un garibaldino in Spagna, Roma 1955; Senza tregua: la guerra dei Gap, Milano 1967; Quando cessarono gli spari. 3 aprile-6 maggio 1945, la Liberazione di Milano, Milano 1977.
Fonti e Bibl.: O. Brambilla Pesce, Il pane bianco. La vita coraggiosa della gappista Sandra. Le azioni militari al fianco di Visone…, da una conversazione con R. Farina, prefazione di F. Giannantoni, Varese 2010.
L. Borgomaneri, Due inverni, un’estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia 1943-1945, Milano 1995; F. Giannantoni - I. Paolucci, G. P. ‘Visone’, un comunista che ha fatto l’Italia, Varese 2005; N. Aducci, Il mito e la storia. Dante di Nanni, in Studi storici, 2012, n. 4, pp. 957-999; S. Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Torino 2014.