PURICELLI, Giovanni Pietro
PURICELLI, Giovanni Pietro. – Nacque a Gallarate (Milano), alla fine del 1589, da Baldassarre e Camilla de Ponti.
Condusse gli studi presso il collegio gesuitico di Brera, orientandosi verso una scelta sacerdotale. In una data che non è precisabile, entrò nel seminario Maggiore di Milano. Entro l’inizio del 1614 ebbe accesso all’ordine del suddiaconato e il 28 marzo del medesimo anno fu promosso al presbiterato. Resta incerta la data del dottorato in teologia, che Filippo Argelati (1745, col. 1136) anticipa al ventesimo anno d’età.
L’innesto nel tessuto della Chiesa cittadina si accompagnò fin dall’inizio alla coltivazione delle scienze sacre. Come è testimoniato dall’ingente mole di carte manoscritte e corrispondenze epistolari conservate presso la Biblioteca Ambrosiana, la pratica degli studi abbracciò le fonti cristiane antiche, il patrimonio biblico, le tradizioni del culto liturgico e i contenuti del sapere teologico, specialmente sui punti oggetto di controversia (per esempio, la natura del sacramento eucaristico). Ma in primo luogo l’apprendistato erudito si indirizzò verso la messa a fuoco della coscienza identitaria della comunità milanese, contribuendo all’esaltazione dei fasti di un passato che accomunava in un solidale destino l’insieme della comunità civile così come la «Milano sacra» che si nutriva di robuste radici religiose.
Puricelli ottenne la prebenda teologale fra i canonici della collegiata cittadina di S. Tommaso in Terra Amara e simultaneamente, entro il 1621 (probabilmente nel 1619), fu nominato prefetto degli alunni del seminario di Milano, carica che dovette ricoprire fino al 1626. Di lì a poco, il 21 maggio 1629, fu promosso al ruolo di arciprete dell’ancora più prestigiosa collegiata di S. Lorenzo Maggiore. L’ascesa nella dignità gerarchica non esaurì il suo campo di impegno sacerdotale. Specialmente nel decennio 1620-30 lo troviamo coinvolto nell’attività di predicatore svolta sia in città, sia in diversi luoghi del territorio diocesano, come Monza e la zona del lago Maggiore.
Ancora dopo la crisi della peste del 1630 si registrano numerosi i compiti attribuitigli dagli organi di governo della Curia arcivescovile: fu «esaminatore sinodale, consultore della Congregazione della penitenza, censore di libri, confessore e protettore delle vergini consacrate» (Argelati, 1745, col. 1136). Con particolare evidenza quest’ultimo ruolo ebbe ripercussioni sensibili sul parallelo profilo di ecclesiastico erudito: almeno negli anni anteriori al 1628 la responsabilità di tutore della disciplina delle monache fu esercitata nel chiostro di S. Marta, che tra metà Quattrocento e inizi Cinquecento era stato il focolaio di un vivace fermento mistico-visionario. Al recupero delle memorie agiografiche connesse alle due figure carismatiche emerse in quel cenacolo di spiritualità – Veronica da Binasco e Arcangela Panigarola – Puricelli dedicò ampie energie nel suo instancabile lavoro di riordinatore del patrimonio storico milanese. Intensi e prolungati furono anche i contatti con le comunità di monache umiliate, sopravvissute alla soppressione del ramo maschile dell’Ordine decretata nel 1571. Il prestito di libri e manoscritti e lo scambio continuo delle informazioni fornirono i materiali che poi si riversarono nel piano ambizioso di una grande opera in più tomi, dedicata alla storia di una famiglia religiosa tipicamente espressiva della tradizione cittadina, che non aveva mancato di registrare pagine luminose di santità prima della decadenza manifestatasi con il passaggio all’età rinascimentale e moderna.
L’ingresso nella piena maturità segnò la fase culminante del cimento intellettuale, rendendo possibile l’approdo editoriale almeno per alcuni dei frutti scaturiti dal lavoro di raccolta e di rielaborazione delle fonti attinte dai depositi della memoria collettiva. Gli interessi più squisitamente storico-municipalisti sfociarono nella stampa degli ultimi due libri della Historia Mediolanensis di Tristano Calco, ritrovati da Puricelli in una biblioteca privata (Tristani Calchi Mediolanensis historiographi Residua, Milano 1644), grazie ai quali fu completata l’edizione dei primi venti libri dell’opera, usciti dai torchi nel 1622. L’iniziativa rientrava nell’intento di mettere a disposizione i propri talenti di scrittore erudito per offrire «a gloria di questa gran città» sia «historie antiche» rimaste dimenticate, sia nuove «compositioni» originali che avrebbero potuto amplificare la conoscenza della tradizione storica cittadina (bozza di lettera, s.d., ai membri del Consiglio generale dei decurioni della città di Milano, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., G.79 inf., c. 22r). Le insistenze in questa direzione riflettevano una componente tutt’altro che secondaria degli orientamenti nutriti da Puricelli, al punto che presero corpo anche le voci di una sua imminente elezione a «historico della città di Milano» (lettera da Roma, 16 luglio 1644, del nipote Alessandro Puricelli, ibid., D.115 inf., c. 27r). Ma il proposito si ridusse a un nulla di fatto, e nella carriera di storiografo del sacerdote milanese finì con il prevalere l’aspetto più decisamente ecclesiastico-devoto.
La riuscita migliore toccò agli studi consacrati alla celebrazione del tesoro di reliquie e corpi santi sedimentato nelle chiese più insigni di Milano, cui si continuava ad attribuire una potente capacità di richiamo sul piano della religiosità collettiva. In questo filone di interessi, Puricelli non poté evitare di partire dal centro, misurandosi con l’ingombrante realtà della basilica che custodiva le spoglie del patrono della città. Giunse così a varare l’impegnativa raccolta degli Ambrosianae Mediolani basilicae, ac monasterii, hodie cistertiensis, monumenta, prevista originariamente in tre volumi, di cui già nel 1643 risultava allestito il primo. Ma il tomo di apertura suscitò l’immediata protesta dei canonici secolari che condividevano con la comunità cistercense l’uso del luogo di culto: non sentendosi sufficientemente tutelati nel riconoscimento della loro dignità autonoma, si appellarono prima al tribunale dell’Inquisizione della città, poi alla sede pontificia. Solo nel maggio del 1645 arrivò il pronunciamento della congregazione dell’Indice, che sciolse il libro di Puricelli dalle accuse, limitandosi a richiedere modeste rettifiche formali. L’impresa «ambrosiana» in ogni caso si arenò e non videro più la luce i volumi successivi, lasciando comunque in eredità all’autore, oltre che un guadagno notevole di visibilità, l’avvio di più estese relazioni con autorevoli esperti delle materie da lui frequentate, attivi come consultori degli organi papali del controllo dottrinale: in particolare con il francescano Luke Wadding, Leone Allacci e il gesuita Melchior Inchofer, illustri esponenti dell’erudizione ecclesiastica del Seicento.
Se si esclude la «historica dissertatio» De SS. martyribus Nazario et Celso, ac Protasio et Gervasio, Mediolani sub Nerone caesis: deque basilicis, in quibus eorum corpora quiescunt, data alle stampe nel 1656, che si riallacciava ai temi sondati con i Monumenta ambrosiani del decennio precedente, gli esiti più avanzati della produzione di Puricelli risultarono concentrati sul terreno agiografico in senso più tradizionale. Al 1653 risale l’uscita della Vita di s. Lorenzo, vescovo di Milano del V secolo, per motivi encomiastici ricondotto alla nobile parentela dei Litta: la stessa dell’arcivescovo in carica, Alfonso, cui il libro era offerto in omaggio. Nel 1657 fece la sua comparsa il volume che «restituiva alla verità» le figure dei santi martiri Arialdo ed Erlembaldo, dell’XI secolo. Solo postumo poté essere pubblicato, nel 1664, lo scritto dedicato a s. Satiro, fratello di Ambrogio, che riaprì la controversia sull’ubicazione effettiva della sepoltura dei corpi santi tenuti in più alto onore nella Chiesa milanese.
La morte raggiunse Puricelli, ormai vecchio e malato, il 17 novembre 1659; numerosi altri progetti imbastiti nel corso degli anni rimasero incompiuti.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio storico diocesano, Protocolli, repertori, registri, 80 (Ordinazioni, 1603-21), n. 27, fasc. 49; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 1, Milano 1745, coll. 1135-1142; C. Marcora, Una gloria di Gallarate. Lo storico G.P. P., in Rassegna gallaratese di storia e d’arte, XVI (1957), pp. 125-140; E.M. Gagliardi, G.P. P. e l’erudizione ecclesiastica nella Milano del Seicento, tesi di dottorato di ricerca, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2008-09; P. Tomea, Agiografia e studi agiografici a Milano nel XVII secolo, in Italia sacra. Le raccolte di vite di santi e l’«inventio» delle regioni (secc. XV-XVIII), a cura di T. Caliò - M. Duranti - R. Michetti, Roma 2014, pp. 517-520.