PINDEMONTE, Giovanni
PINDEMONTE, Giovanni. – Nacque a Verona il 4 dicembre 1751, nel ramo di S. Egidio, secondogenito (ma primogenito maschio) dei tre figli del marchese Luigi (1718-1765), dilettante di pittura, musica ed erudizione, e di Lodovica Maria alias Dorotea Maffei (morta nel 1800), nipote del grande Scipione, allora ancora in vita. Famiglia di consolidate tradizioni culturali stabilitasi a Verona dall’originaria Pistoia dalla seconda metà del Trecento, i Pindemonte avevano ottenuto la dignità marchionale da Carlo II di Gonzaga-Nevers nel 1654, ma furono aggregati al patriziato veneto solo nel settembre 1782, poco prima del matrimonio di Giovanni.
Iniziato all’improvvisazione poetica da Bartolomeo Lorenzi, il 24 settembre 1765 Pindemonte entrò con il fratello minore Ippolito nel Collegio dei Nobili di Modena, retto dai preti di S. Carlo, avendo a maestri Lazzaro Spallanzani, Francesco Barbieri, Giuliano Cassiani, Luigi Cerretti, e per compagni Maurizio Gherardini e i due Lucchesini, Girolamo e Cesare. Nel 1771, acclamato tra i collegiali principe dell’accademia di lettere, accademico d’armi e ducale dissonante, pubblicò un’azione scenica, la Talestri regina delle Amazoni, per il genetliaco di Francesco III d’Este.
Rientrato a Verona con il fratello, ebbe come precettore Giuseppe Torelli. Intanto cominciò a segnalarsi per la condotta irrequieta. Nel 1778-79 un marito tradito, tale Francesco Garavetta, gli intentò un processo, accusandolo «di scorretti lascivi costumi, di poca religione e di un carattere molto violento» (Biadego, 1883, p. VIII). Verso il 1780 prese stabile dimora a Venezia, nel palazzo a S. Marina. Sfumato un progetto di matrimonio con una Dolfin, sposò il 7 ottobre 1782 Vittoria Maria Gasparina Widmann-Rezzonico, sorella del provveditore generale da mar Carlo Aurelio. Il 22 settembre fu aggregato al Maggior Consiglio.
Intanto aveva esordito come librettista: nel 1772, per Maria Antonia Valburga di Sassonia, uscì a Verona il dramma musicale Il genio della Sassonia in riva all’Adige, musicato dal conte Pietro dal Pozzo; di compositori professionisti come Giuseppe Gazzaniga e Domenico Cimarosa fu invece la partitura di due libretti firmati col nome arcadico di Eschilo Acanzio per il Teatro Filarmonico di Verona, rispettivamente l’Isola di Calipso (1775, dal Télémaque di Fénelon, edito nel 1777 a Venezia come Telemaco ed Eurice) e il Giunio Bruto (1781, dal Brutus di Voltaire).
Al melodramma affiancò e sostituì presto la tragedia: dopo il Mastino I dalla Scala (1774 c.a), colse un clamoroso successo con I baccanali, rappresentata al S. Giovanni Grisostomo nel 1787 e stampata l’anno dopo a Firenze. Scandalo destarono I coloni di Candia (gennaio 1785, nel medesimo teatro veneziano), che inscenavano la ribellione dei Candiotti del 1363: la colonia greca di Venezia inoltrò formale protesta, e contro la tragedia uscì anche un’anonima Dissertazione critica (Coira 1785), sicché il Consiglio dei Dieci ne sospese la recita.
Attestato come membro dei Dieci Savi nel 1784 (e affiliato, nel 1785, alla Loggia di Rio Marin, sciolta dal governo), nel giugno 1788 subentrò a Camillo Bernardino Gritti come podestà di Vicenza, carica che tenne fino al 20 ottobre 1789. Intanto gli Inquisitori di Stato lo fecero sorvegliare dal capitanio di Vicenza Girolamo Antonio Pasqualigo a motivo di un sonetto inneggiante alla Rivoluzione francese, Raggio di libertà splende e lampeggia.
Tornato a Venezia, nel maggio 1790 aggredì in piazza S. Marco il marito di una sua amante vicentina, il nobile Giacomo Martinengo: processato, scontò otto mesi di carcere nella fortezza di Palma. Liberato il 31 gennaio 1791, fu però lasciato dalla donna; si ritirò allora nella sua villa del Vo, presso Isola della Scala, dove tradusse i Remedia Amoris di Ovidio, che sotto nome arcadico stampò a Vicenza nel 1791, unitamente a sei canzonette e una canzone, e rieditò a sé a Venezia nel 1801.
Sbollito, con il Terrore, l’entusiasmo giacobino, scrisse i sonetti Contro il moderno filosofismo, contro la falsa Sofia del popolo francese e sulla caduta di Tolone. Nel settembre 1793 recitò all’Accademia degli Eccitati di Este un’orazione in lode di s. Tommaso d’Aquino, poi stampata a Verona nel 1809. Ma presto ritornò a Venezia, riprendendo a criticare apertamente il governo e intrattenendo relazioni segrete con i giacobini. Scoperto, lo mise in salvo il fratello Ippolito, che nell’aprile 1795 lo indusse a fuggire in Francia. A Parigi rimase forse alcuni mesi. Due anni dopo, mentre capitolava la Repubblica veneta, scrisse un «trattatello» politico «sulla decadenza del Veneto Governo» (Biadego, 1883, pp. 325-50). Attivissimo nei circoli patriottici, fu a Milano tra il dicembre 1797 e il febbraio 1798, e a Bologna tra il marzo e il luglio, dove pubblicò un’Ode alla Cisalpina. Tornato a Milano nel settembre, quando Trouvé riformò la costituzione, fu membro del Consiglio degli Iuniori. Invasa Milano dagli austro-russi, nell’aprile del 1799 riparò nuovamente in Francia, a Grenoble e poi a Parigi, dove frequentò i rifugiati italiani e Ginguené, cui dedicò uno dei due grandi poemi dell’esilio, La Repubblica Cisalpina, l’altro essendo Le ombre napoletane. Sospettato di complicità nella congiura antibonapartista di Giuseppe Ceracchi (ottobre 1800), fu trattenuto dalla polizia francese sino alla fine di gennaio 1801, ma liberato grazie a Ferdinando Marescalchi, plenipotenziario della Cisalpina presso il primo console. Rimpatriato, fu tra l’estate e l’autunno nella Verona «italica», di cui nel novembre fu eletto deputato ai Comizi di Lione, ma sostituito nel dicembre per i recenti trascorsi antibonapartisti. Passato a Milano, fu membro (2 giugno 1802) e poi presidente del Corpo legislativo. Tra il 1804 e il 1805 uscì a Milano, per Sonzogno, l’unica edizione approvata dei Componimenti teatrali.
I quattro volumi raccolgono 12 drammi: Mastino I dalla Scala; I baccanali; I coloni di Candia; Agrippina (composto tra 1785 e 1789); l’autobiografico Il salto di Leucade, scritto nel 1792 e dato nel 1800; Ginevra di Scozia, «rappresentazione spettacolosa» recitata a Venezia nel gennaio 1795 e pubblicata col nome del suo domestico, Luigi Millo (Venezia 1796); Elena e Gerardo, composto nel 1795 e rappresentato nel 1796 a Venezia; il giacobineggiante Orso Ipato, già stampato a parte per la prima veneziana (settembre 1797), nella quale lo stesso autore recitò come Obelerio; e quattro drammi fino ad allora inediti: Caritea regina di Spagna (1797-1799); Adelina e Roberto, già messa in scena a Milano nel 1799 come L’atto di fede; l’antinapoleonico L. Quinzio Cincinnato, anch’esso dato a Milano (1803); l’alfierianeggiante Cianippo (1804). Accompagnati da un Discorso sul teatro italiano, essi affermano un’istanza di superamento degli schemi letterari della tragedia in direzione più spiccatamente scenico-spettacolare, attestando una «teatrale malizia» attenta ai gusti del pubblico e talora non priva di accenti declamatori.
Scampato al primo ictus agli inizi del 1806, tornò a Milano verso la fine di quell’anno. Ripresosi da un secondo attacco (maggio 1807), nel dicembre 1807 fu nominato elettore per gli Antichi Dipartimenti, ma non partecipò alla seduta plenaria dei tre Collegi Elettorali convocata a Milano il 21 di quel mese. Nel settembre 1808 rientrò definitivamente a Verona.
Visse gli ultimi anni privatamente, «tra le cure della famiglia e dell’agricoltura, e i pensieri religiosi» (Biadego, 1883, p. LXXXI). Con testamento del 29 novembre 1808 costituì eredi universali i due figli Luigi e Carlo (altri due, Dorotea e un primo Carlo, gli erano premorti in fasce nel 1784 e nel 1787), affidando al primo le proprie composizioni «affinché qualcuna ne mandi alle stampe» e al fratello Ippolito, «insigne letterato», tutti i libri conservati nelle «case di città e di campagna» Archivio di Stato di Verona, Pindemonte-Rezzonico, b. 66).
Morì a Verona di un ultimo colpo apoplettico il 23 gennaio 1812. Venne seppellito in S. Bernardino. Il figlio Luigi mancò a ventotto anni il 14 marzo 1814; solo Carlo (1790-1834), rimasto erede unico, ebbe discendenza.
Opere. Componimenti teatrali, Milano 1804-1805, I-IV (e Milano 1827, I-II). Edizioni postume di singoli drammi: Enrico VIII (adattamento da Chénier), in Anno nuovo teatrale, Torino 1816, I, pp. 9-81; Orso Ipato, in M. Montanile, I giacobini a teatro. Segni e strutture della propaganda rivoluzionaria in Italia, Napoli 1984, pp. 27-93; L’atto di fede, in P. Themelly, Il teatro patriotico tra Rivoluzione e Impero, Roma 1991, pp. 271-351; Elena e Gerardo, in Tragedie del Settecento, a cura di E. Mattioda, Modena 1999, II, pp. 442-524. Vari componimenti poetici nelle prime tre annate, 1789-1791, del veneziano Giornale poetico o sia poesie inedite d’Italiani viventi di Andrea Rubbi, nell’Anno poetico del 1796-1797, nel Monitore veneto del 10 giugno 1797 e nel Parnasso democratico (1801) di Giuseppe Bernasconi; Canto al monte Berico (nozze Sale-Vendramin), Vicenza 1792; Poesie e lettere, a cura di G. Biadego, Bologna 1883.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Verona, Pindemonte-Rezzonico, bb. 66 (testamento), 176 (obbligazione vitalizia per Rosa Contarini Garavetta), 413 (lettere; testamento), 414 (versi; lettere di Giuseppe Antonio Marogna e di Tommaso Moreschi), 424 (sonetti, drammi, lettere al figlio Luigi e alla moglie), 435 (lettere a/di Bonaventura Corti, Giuseppe Fabrizi et al. per la collocazione dei figli Luigi e Carlo al Collegio S. Carlo), 436 (Nomine onorifiche); Marogna, b. 1 (lettere al Marogna). Verona, Biblioteca civica, Carteggi 222 (lettere a una cugina e alla moglie; abbozzo d’inizio della tragedia Agide), 269 (sonetto e ritratto) e 946 s. (poesie, discorsi, tragedie, lettere). Ivi, mss. 79 (componimenti vari), 842 (Mastino I dalla Scala, Radamisto e Zenobia), 1063 (sonetto), 1415 (altro sonetto), 2200 (Poesie giovanili); ivi, Carteggio Del Bene, b. 280 (lettera a Pietro Ponzilacqua). Per il carteggio attivo e passivo a stampa, cfr. C. Viola, Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Verona 2004, ad ind. e relativi supplementi (Verona 2008 e Verona 2015). Biografie: G. Pugliesi, G. P. nella letteratura e nella storia del suo tempo, Milano-Roma 1905; A. Scandola, G. P., Pola 1927; ma il contributo più solido e documentato resta l’Introduzione di G. Biadego a Pindemonte, Poesie e lettere, a cura di G. Biadego, Bologna 1883. Sul teatro: M. Petrucciani, G. P. nella crisi della tragedia, Firenze 1966; F. Fido, La storia a teatro. Dalla tragedia settecentesca e alfieriana ai componimenti teatrali di G. P., in Letteratura italiana e cultura europea tra Illuminismo e Romanticismo, a cura di G. Santato, Genève 2003, pp. 275-289; S. Verdino, G. P. teatrante, in Vittorio Alfieri e Ippolito Pindemonte nella Verona del Settecento, a cura di G.P. Marchi - C. Viola, Verona 2005, pp. 501-524. Sulle poesie: M. Tatti, Le tempeste della vita. Letteratura degli esuli italiani in Francia nel 1799, Paris 1999, pp. 227-245; B. Capaci, Il giudice e l’oratore. Trasformazione e fortuna del genere epidittico in Italia, Bologna 2000, pp. 285-289 (sulle Ombre napoletane); R. Varese, G. P.: un sonetto per la seconda Psiche, in Per l’arte, da Venezia all’Europa. Studi in onore di Giuseppe Maria Pilo, a cura di M. Piantoni - L. De Rossi, II, Monfalcone 2001, pp. 533-537.