Prati, Giovanni
Poeta (Campomaggiore, Trento, 1814 - Roma 1884). Studente di giurisprudenza a Padova, abbandonò gli studi per dedicarsi alla poesia. Si trasferì nel 1841 a Milano dove pubblicò quello stesso anno il poemetto Edmenegarda che consacrò la sua fama di poeta, anche per la materia scabrosa del testo che ruotava intorno alle vicende dell’adulterio compiuto dalla sorella di Daniele Manin. Con la scelta di un argomento borghese per i suoi endecasillabi, Prati rappresentava il primo esempio in Italia di realismo in versi, diventando l’esponente più popolare della seconda generazione dei poeti romantici. Lasciata Milano, nel 1843 si recò a Torino, acceso sostenitore della dinastia sabauda, e negli anni successivi si spostò tra il Lombardo-Veneto, il Trentino e la Svizzera. Per il suo sostegno a Carlo Alberto nel 1848 gli austriaci lo espulsero da Padova; recatosi a Venezia e a Firenze nel corso dello stesso anno venne allontanato dai governi democratici delle due città per i suoi sentimenti monarchici e antidemocratici. Si stabilì infine a Torino dove le sue convinzioni politiche lo legavano alla corte sabauda e di lì a poco gli fu conferita la carica di storiografo della Corona. Nel 1865 al seguito della corte si trasferì a Firenze e nel 1871 a Roma, dove ebbe la direzione dell’Istituto superiore di magistero; nel 1876 fu nominato senatore. Abbondante fu la sua produzione in versi (Canti lirici, Canti per il popolo, Ballate, 1843; Memorie e lacrime, Nuovi canti, 1844; Passeggiate solitarie, 1847; Storia e fantasia, 1851; Canti politici, 1852), cui si affiancò anche la composizione di alcuni poemi (Satana e le grazie, 1855; Rodolfo, 1853; Armando, 1868), influenzati dall’esempio della grande produzione artistica europea di Goethe, Byron, Chateaubriand, Hugo. A Roma, nell’ultimo periodo della sua vita, nascono i migliori tra i suoi volumi di poesie, Psiche (1876) e Iside (1878), dove traspare un sentimento di rassegnazione e profonda disillusione.