PREZIOSI, Giovanni
PREZIOSI, Giovanni. – Nacque a Torella dei Lombardi (Avellino) il 28 ottobre 1881 da Aniello (1853-1936), proprietario di un negozio di tessuti, e da Antonia Bellofatto (1858-1943), analfabeta, ma anche lei di famiglia benestante. Lo stesso Giovanni in seguito acquistò dei beni nella sua città. Oltre a lui, i genitori ebbero cinque figli: Maria, Eugenio, Tommaso, Gerardo, Annibale.
Giovanissimo entrò in seminario a Sant’Angelo dei Lombardi e il vescovo, monsignor Giulio Tommasi, lo ordinò sacerdote il 24 settembre 1904. Dal 1901 aveva iniziato a scrivere nel giornale marchigiano La Patria, in Battaglie d’oggi e nel beneventano Risveglio Operaio, tutti di orientamento cattolico democratico, e poi dal 1903 in Cultura sociale fondata da Romolo Murri. Definì allora il suo antisocialismo, anticollettivismo e antiateismo, ma anche l’avversione per il tradizionalismo religioso di molti sacerdoti, per lui ragione di fondo dell’arretratezza del Mezzogiorno. Scrisse articoli e libri sulla disoccupazione, sulla legislazione del lavoro, sull’emigrazione. Ma si aprì anche alla cultura laica: Benedetto Croce, a cui chiese un’intervista, pare non concessa; Napoleone Colajanni (G. Preziosi, La questione meridionale ed i Democratici cristiani. Intervista con l’on. Colajanni, in La Patria, 23-24 gennaio 1904, XIII, p. 1); Augusto Graziani, prefatore del suo Il problema dell’Italia d’oggi (Milano 1907).
Presto dovette fare i conti con le decisioni di Pio X contro l’impegno politico dei cattolici italiani (l’enciclica Il fermo proposito del giugno 1905) che Preziosi aggirò chiedendo al suo vescovo di essere mandato negli Stati Uniti per studiare l’emigrazione. S’imbarcò il 10 dicembre 1905 e tornò il 4 settembre 1906. Fu il primo di tre viaggi in quel Paese, fino al 1911.
Sua convinzione era che l’emigrazione italiana andasse salvaguardata come fonte di ricchezza, senza tralasciare di preservare ‘l’italianità’ nel mondo. Era fautore, in particolare, di un regime di doppia cittadinanza secondo cui gli emigrati dovevano integrarsi in pieno nel Paese ospitante prendendone anche la nazionalità, in particolare negli Stati Uniti, mantenendo anche quella italiana.
Anche il viaggio che il giovane prete compì in Germania nel dicembre 1908 fu preceduto da una dura iniziativa antimodernista: una lettera pastorale del vescovo (4 settembre) che vietò la lettura dei giornali democraticocristiani. Di nuovo Preziosi non polemizzò. Inviato, su sua richiesta, presso l’Opera di assistenza agli operai italiani all’estero (Opera Bonomelli), fino al marzo 1909 restò a Bochum a dirigere l’ufficio del lavoro per gli italiani. Ben presto, tuttavia, qui si levarono voci malevole contro di lui, a partire da quella del parroco della città, che lo spinsero a dare le dimissioni. In conseguenza, nel maggio del 1909 il cardinale Ferrari, che vigilava sull’Opera, sospese il suo impegno. Tra le insinuazioni di cui fu oggetto, le più durature furono quelle che lo accusavano di aver avuto rapporti sessuali con donne. La smentita e la difesa del giovane avellinese venne prima affidata a un’intervista al Pungolo di Napoli (6-7 giugno 1909), dove mise sotto accusa l’incompetenza, i pregiudizi e l’azione di crumiraggio condotta dall’Opera, e poi tre anni dopo, nel maggio-giugno 1912, alle pagine dell’Unità di Gaetano Salvemini, che suscitarono un’aspra reprimenda da parte di monsignor Bonomelli.
Seguirono, all’inizio degli anni Dieci, alcuni episodi disastrosi o controversi. Il 14 ottobre 1910 fece domanda per sostenere, anche in mancanza della laurea (gli fu riconosciuta l’equipollenza delle pubblicazioni), l’esame per la libera docenza in statistica all’Università di Napoli. Ma all’orale, l’11 gennaio 1912, una commissione favorevole (presenti Colajanni e Graziani) assistette al suo ritiro, perché non in grado di tenere la lezione d’obbligo.
Controversa fu la querela ricevuta dal direttore del Progresso italo-americano di New York, Carlo Barsotti. Nell’agosto del 1911 Preziosi aveva denunciato Barsotti sulla rivista Italia all’estero per delle malversazioni. La rivista fiancheggiava il ministero degli Esteri e si occupava di «emigrazione, politica estera e coloniale». Il direttore era l’ex corrispondente nei Balcani, Rodolfo Foà. Nella cause célébre che seguì Preziosi fu però pienamente assolto (dicembre 1912).
Prete dagli atteggiamenti ben poco tradizionali e litigioso, ebbe il pieno appoggio del ministro degli Esteri Antonino Paternò-Castello marchese di San Giuliano e del commissario all’emigrazione, Giuseppe De Michelis, perché serviva da trait d’union con le organizzazioni cattoliche per l’emigrazione. Ugualmente, gli diedero fiducia il suo vescovo e monsignor Gian Giacomo Coccolo, direttore della Pontificia società dei missionari di emigrazione, vicino a papa Pio X. Proprio monsignor Coccolo, dinanzi alla segreteria di Stato, nel febbraio 1913 lo difese da varie altre maldicenze (perfino di fumare e di tirare tardi).
Dal febbraio 1912, affiancò Foà nella direzione di Italia all’estero. Ma presto arrivarono gli attriti con il condirettore, cosicché nel gennaio del 1913 Preziosi inaugurò una rivista sua, La vita italiana all’estero. All’inizio lo aiutarono (fornendo locali per la rivista e pubblicità) l’Unità di Salvemini, Rassegna contemporanea di Giovanni Antonio Colonna di Cesarò e La Voce di Giuseppe Prezzolini. Nel luglio del 1915, su suggerimento del sanguigno collaboratore che diede l’impronta polemica e liberista alla rivista, Maffeo Pantaleoni, cambiò il titolo in La vita italiana, a concentrare l’interesse sulla politica nazionale. Da agosto, Preziosi ne risultò proprietario unico.
Il mensile visse trentadue anni. Nel settembre del 1928 la redazione si spostò a Napoli e divenne un bimensile, ma nel gennaio del 1930 tornò a Roma e al ritmo mensile. S’interruppe nel luglio del 1943, ma riprese nel luglio del 1944 per quattro numeri, fino al febbraio del 1945; il quinto, programmato, non uscì. Nel febbraio del 1917 tirava 2700 copie, di cui più di 2000 per abbonati. Non molte di più ne tirava nel 1944. All’inizio, la pubblicità fu sottoscritta dal Banco di Napoli, dal Gruppo Ansaldo e da varie compagnie di navigazione: di qui i violenti attacchi che, a partire dall’aprile-maggio del 1914, culminarono nel libro La Germania alla conquista dell’Italia (Firenze 1915), che Preziosi dedicò alla Banca Commerciale, guidata da Giuseppe Toeplitz, avversario dei suoi finanziatori. È nello stesso periodo che iniziò a sviluppare un’ossessione («senza alcun concreto elemento», De Felice, 1985, p. 135) per le ‘forze occulte’.
A guerra scoppiata, chiamato alle armi, fu riformato e subito congedato; nel 1917, come gli altri sacerdoti, fu richiamato ancora e dichiarato inabile (per la vista) il 14 gennaio 1918.
Dal 1915-16 La vita italiana, ostile al riformismo giolittiano, si schierò a fianco di Sidney Sonnino (zio di Colonna) e del capo di stato maggiore Luigi Cadorna, per un’ipotesi di governo autoritario. Il principale nemico era il ministro dell’Interno Vittorio Emanuele Orlando, dopo Caporetto, presidente del Consiglio. Per combatterlo, nel giugno 1916 Preziosi fondò un giornale, Il Fronte interno. Per tutta risposta, la polizia e il servizio segreto civile, dipendenti da Orlando, misero Preziosi e Pantaleoni sotto controllo personale e telefonico stretto e censurarono la rivista. Dopo la disfatta di Caporetto i due reagirono dando vita (9 dicembre) a un nuovo fascio parlamentare di difesa nazionale tra partiti di estrema destra.
Il dinamico prete iniziò così a frequentare politici, aristocratici, esponenti vaticani, membri dei servizi segreti italiani e non, diplomatici e generali. Insomma avviò la futura attività di giornalista rastrellatore di notizie, talvolta incontrollate e false.
Fino al 1920 La vita italiana ebbe vari collaboratori liberali, compreso Benedetto Croce. Ma divenne sempre più conservatrice e aggressiva, soprattutto verso i socialisti e le ‘cooperative rosse’. Le polemiche nel 1922 furono raccolte in due libri, Cooperativismo rosso piovra dello Stato (Bari) e Uno Stato nello Stato (Firenze). Dopo una vicinanza a Gabriele D’Annunzio a Fiume (fu anche una sorta di suo plenipotenziario), Preziosi se ne allontanò perché riteneva il Comandante troppo vicino alle posizioni «collettiviste» del capitano Giuseppe Giulietti.
In quel periodo Preziosi si produsse sulla sua rivista in due altre aspre polemiche, destinate a divenire un suo ‘marchio di fabbrica’: contro gli ebrei e contro la massoneria. La prima bordata contro il «complotto ebraico» partì nell’agosto 1920 e culminò nell’agosto di due anni dopo con la pubblicazione dei supposti dati quantitativi sull’ingerenza ebraica nell’amministrazione statale. La seconda polemica (settembre 1922) consistette nella pubblicazione dell’elenco delle logge italiane.
L’antisemitismo di Preziosi non sembra abbia avuto un’origine religiosa. Lui stesso più tardi (Dove per la prima volta vidi il “pericolo ebraico”, in La vita italiana, gennaio 1943, n. 358, p. 67) affermò di aver afferrato il «pericolo ebraico» durante il primo viaggio negli Stati Uniti, nel 1905. Forse è vero e il suo antisemitismo potrebbe aver tratto origine dal melting pot americano. All’epoca aderì però solo con moderazione all’idea dell’influenza delle razze nell’evoluzione umana (la conferenza Evoluzionismo e domma del febbraio 1905 fu trasformata in due articoli su Evoluzione e dogma, in Studium, II (1907), 1 e 2, rispettivamente pp. 18-32 e 86-94). Accettò invece l’esistenza di razze superiori e inferiori.
Colui che, sulla Vita italiana, sostenne chiaramente per primo e con forza che gli ebrei come razza erano distruttivi fu, dal dicembre 1916, Pantaleoni. Eppure entrambi, con Colonna di Cesarò, nel luglio 1918 appoggiarono la nascita dell’associazione Pro Israele, per l’aiuto agli ebrei nei Paesi dove erano perseguitati e in Palestina; ma Preziosi ne uscì nel febbraio dell’anno dopo, perché contrario all’idea che gli ebrei potessero avere una doppia nazionalità (l’aveva accettata invece per gli italiani all’estero). La radicale svolta antisemita avvenne il 15 agosto 1920, quando La vita italiana pubblicò un articolo (L’Internazionale ebraica, pp. 97-109), anonimo ma di Preziosi, che, sulla scorta di pubblicazioni inglesi e francesi, giudicò «veridici» i Protocolli dei Savi anziani di Sion e l’esistenza di un complotto ebraico mondiale. Seguirono diversi articoli anonimi, ma sempre di Preziosi, sull’assimilazione e la conversione degli ebrei. Nel febbraio del 1921, allegata alla rivista, uscì la sua traduzione, la prima italiana, dei Protocolli. Fino al 1945 ne furono pubblicate altre 8 edizioni (le ultime due edite da Mondadori), oltre a una sulla rivista, nel maggio del 1924, e una spagnola nel 1938. La prima, tirata in 15.000 copie, si esaurì solo nel febbraio del 1937. Le tirature dichiarate (ma chissà se effettive) comparvero fino alla quinta edizione (51°-61° migliaio).
Il primo maggio 1921, poco prima delle elezioni generali, aderì ai fasci di combattimento. Al fascismo portò in dote il giornalismo aggressivo e le teorie cospirative. In una data che non si conosce con precisione, tra il 4 aprile 1918 (quando parlò di sé sul Giornale d’Italia) e il 7 ottobre 1921, ma quasi di certo vicino a quest’ultima, Preziosi, come il suo vescovo spiegò in una relazione alla S. Sede, «infeliciter dimisit habitum talarem»: lasciò il sacerdozio. Aveva avviato una relazione con Valeria Bertarelli (1894-1945), sposata e con un figlio, che divorziò dal marito a Fiume il 7 aprile 1920. Con Bertarelli si sposò, sempre a Fiume, il 14 dicembre 1921 (matrimonio però non riconosciuto in Italia).
L’attivismo fascista di Preziosi divenne frenetico poco prima della marcia su Roma, quando in vari convegni ribadì una secca scelta liberista per il Sud e operò come portavoce della direzione. Personaggio difficile e detestato in quanto ex prete, dopo la marcia fu solo chiamato a far parte di qualche commissione ministeriale e di partito che doveva studiare le riforme per il Paese.
Più agevole gli risultò muoversi nella regione d’origine. L’11 marzo 1923 fu eletto trionfalmente consigliere nell’amministrazione provinciale di Avellino. Fu il suo primo e ultimo successo elettorale. Subito incominciarono le ostilità tra gli stessi fascisti e il 30 aprile il consiglio diede le dimissioni contro la volontà di Preziosi. Gli attacchi subiti ad Avellino si incrociarono allora con quelli al suo patrono politico, il ‘capitano’ Aurelio Padovani, e a quelli mossi verso l’intransigenza di entrambi nei confronti dei personaggi accolti nel Partito nazionale fascista (PNF) da altre formazioni politiche. Padovani fu espulso da Benito Mussolini il 23 maggio 1923. Preziosi, che non rinnegò il suo referente ma non lo appoggiò, divenne comunque sospetto.
Arrivò tuttavia una rivalsa. Il 18 agosto 1923 si costituì la società Il Mezzogiorno, che controllava l’omonimo quotidiano napoletano (presidente, Pantaleoni). Il primo settembre Preziosi ne divenne direttore. Risale ad allora l’avvio del legame con il futuro segretario del PNF, Roberto Farinacci.
Ma continuavano i conflitti. A partire dal marzo del 1923, Preziosi s’era imbarcato in una violenta polemica contro gli sprechi perpetrati dalla Società delle bonifiche pontine, che gli costò un’altra causa per diffamazione (in tutto furono quindici). Il 5 giugno 1923 fu condannato a un anno di carcere e a 3000 lire di ammenda. Prima dell’appello, il giornale a lui più avverso, Il nuovo Paese, gli affibbiò (7 e 23 settembre 1923) una nomea che da allora gli rimase, di ‘iettatore’. In appello, nel febbraio 1924 fu amnistiato. Ma ormai aveva perso l’occasione di entrare nelle liste per le elezioni politiche dello stesso anno.
Eppure, di nuovo, fu rapida la risalita, grazie al fatto che nel giugno 1924 Il Mezzogiorno si schierò a favore di Mussolini nell’affaire Matteotti. Dopo che Farinacci, il 12 febbraio 1925, fu nominato segretario del PNF, fu tutto, per un breve periodo, ancora più semplice, anche se il duce mal digeriva il suo scandalismo.
Il 25 ottobre 1925 Il Mezzogiorno divenne formalmente suo. Il 6 agosto 1928 acquisì invece il Roma, di cui poi divenne direttore, arrivando così a controllare il più forte polo giornalistico del Sud. Ma a quel punto, al vertice del PNF Augusto Turati aveva sostituito Farinacci e Preziosi si era indebolito. Su pressione del PNF di Napoli, che nel frattempo aveva acquistato il concorrente Mattino, nel novembre del 1929 Mussolini ordinò la fusione dei due giornali di Preziosi. Ma lui non ne volle sapere. Con la scusa di un’ennesima polemica giornalistica, e dopo la chiusura del Roma, il 31 dicembre 1929 pure Il Mezzogiorno fu chiuso e il direttore fu liquidato con 100.000 lire. Al giornalista irpino rimase solo La vita italiana, che tornò a dirigere di persona a Roma.
Gli antichi rancori contro di lui si erano tuttavia inspessiti. Dal 17 gennaio 1931 fino al 29 settembre 1933, per un’accusa anonima tornò sotto la sorveglianza della polizia. La reazione del nuovo Preziosi fu ancora diversa dalle precedenti: una caccia a riconoscimenti, soldi e posti. Chiese «con insistenza», ad esempio, che una voce gli venisse dedicata nell’Enciclopedia italiana: e un Giovanni Gentile irritato lo concesse e la scrisse Gioacchino Volpe nel 1935 (XXVIII, 1935, p. 231). Tramite Farinacci e la moglie Bertarelli, prima implorò Mussolini, invano, di poter andare a dirigere Il Mattino, poi chiese la presidenza SIAE, un posto di consigliere di Stato, di senatore e infine di ministro di Stato. Solo l’ultimo desiderio fu esaudito il 17 dicembre 1942, quando Preziosi, in un esasperato clima antiebraico, sostituì il senatore Teodoro Mayer, ebreo, appena defunto.
Dopo il 1930, il bisogno di denaro si trasformò in un’ossessione. In parte risolse il problema nel giugno 1931, con la cessione della gestione della rivista alla società di Farinacci, Cremona nuova, ricevendo uno stipendio di 1500 lire al mese. La vita italiana divenne così la rivista politica del quotidiano Regime fascista. Poi andò a battere cassa dal duce, con il quale nel frattempo aveva rinsaldato i rapporti. A partire dall’ottobre del 1935, ricevette un finanziamento personale di 3000 lire al mese, elevate a 5000 nell’aprile 1940 e nel marzo 1943 a 10.000. Dal giugno 1938 al febbraio 1939, sempre su ordine di Mussolini, ricevette soldi anche per I Protocolli. Poi, durante la Repubblica sociale italiana (RSI), il 10 luglio 1944, Mussolini gli fece erogare 100.000 lire per aver dovuto abbandonare gli appartamenti di Napoli e di Roma. Come ispettore ebbe un’indennità di 15.600 lire al mese e 4000 al mese ne riceveva dalla Mondadori per la direzione della Vita italiana. Prebende piuttosto ricche.
A partire dal gennaio del 1930, le strategie della Vita italiana mutarono. Il motivo di fondo ormai era solo lo svelamento del «progetto disgregatore» ebraico-massonico. Tra l’altro, nell’aprile del 1930, la rivista ristampò un vecchio elenco di cognomi ebraici italiani; a gennaio e ad aprile dello stesso anno pubblicò invece gli elenchi dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti stilato da Benedetto Croce nel 1925, poi usati dalle burocrazie contro alcuni di loro. In parallelo, s’interessò alla crescita del nazismo (l’articolo Hitler è del settembre 1930) e divenne ricettacolo di antisemiti. Julius Evola in particolare iniziò a scrivervi dopo la chiusura della sua rivista, La Torre, nel marzo 1931.
Dopo il grande freddo, Mussolini tornò a riceverlo il 19 giugno 1934, con il crescere di una più concreta politica antiebraica. Allora Preziosi trasformò la sua rivista in una sorta di megafono del duce, seguendolo, per esempio, nella polemica con il «razzismo nordico» (e, disciplinato, attaccò Alfred Rosenberg fino al febbraio 1936). Fu anche un periodo di dolore per i Preziosi, perché a giugno morì il figlio della Bertarelli, Giuliano. In seguito adottarono un bambino, Romano.
Tra il 1937 e il 1938, l’antisemitismo governativo si fece più concreto e Preziosi scelse l’antiebraismo basato sul sangue, aprendo dure polemiche con altri razzisti secondo lui «non rigorosi» (Paolo Orano, Giacomo Acerbo, Giuseppe Bottai). A sancirne il ruolo chiave nelle politiche razziali del regime, Mussolini lo ricevette durante la preparazione della legislazione razziale (11 agosto 1938). Preziosi ricambiò, sottolineando la primogenitura del razzismo fascista rispetto a quello tedesco.
Da allora, la sua azione razzista fu frenetica: denunciò per nome giornalisti e autori ebrei; attaccò il sistema amministrativo creatosi intorno all’applicazione delle leggi; chiese (luglio 1941) di far nascere un Istituto per le ricerche sul problema ebraico (senza successo); appoggiò i nuovi Centri per lo studio del problema ebraico nati in diverse città e che dovevano ricostruire le genealogie di tutti gli ebrei. Eppure, quando, all’inizio del 1942, gli fu chiesto di entrare in un nuovo Ufficio razza dell’Interno, rifiutò, sostenendo che quel ministero conduceva una politica antiebraica inadeguata.
Preziosi, uomo pratico, dopo che lo stesso Mussolini ebbe approvato le teorie di Evola (settembre 1941), mutò posizione e quella del teorico filotedesco si precisò come la sua e della rivista («l’entità della razza si manifesta e nel corpo e nello spirito», Nota, in La vita italiana, 1943, n. 359, p. 153). In questo modo, trovò una nuova sponda in Germania: prima negli uffici di Alfred Rosenberg, criticato nel 1934; poi nell’Ufficio politico della razza del partito nazista.
Quanto ai libri, ripeté «all’infinito» (La menzogna della razza, 1994, p. 254) i temi dell’ebreo corruttore e della cospirazione mondiale. Pubblicò Come il giudaismo ha preparato la guerra (Roma 1939 e 1940); un vecchio testo inedito di Francesco Gaeta (Che cosa è la massoneria, Firenze 1939, poi La massoneria, Milano 1944 e 1945); Gli ebrei hanno voluto la guerra (Roma 1942, conversazioni alla radio del 1941); raccolse i vecchi articoli della Vita italiana (Giudaismo, bolscevismo, plutocrazia, massoneria, Milano 1941); infine, all’inizio del 1944 da Mondadori tornò a riproporre temi e testi sotto pseudonimo, in Il tradimento di Badoglio.
In politica attaccò invece ossessivamente i «traditori», sollecitò una militarizzazione del PNF, denunciò ebrei, assimilati, arianizzati e massoni. Il 25 luglio 1943 lo trovò preparato: il 27 era già al quartier generale di Rastenburg a incontrare Adolf Hitler. Vi ritornò l’8 settembre insieme ad altri gerarchi fascisti fuggiti dall’Italia. Il 10, anche Mussolini approdò a Rastenburg e iniziò a preparare il nuovo governo della RSI. Nacque il 23 settembre 1943, ma senza Preziosi, lasciato in Germania a mandare messaggi in Italia per Radio Monaco.
Gli interlocutori di Preziosi erano ormai solo i tedeschi. Il 18 novembre 1943 fu di nuovo ricevuto da Hitler, mentre con Joseph Goebbels parlò il 14 gennaio successivo. In entrambi i casi, mise sotto accusa il nuovo governo italiano e soprattutto il ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi (ritenuto massone e amico di ebrei) e il nuovo segretario del partito, Alessandro Pavolini (con parenti ebrei). Di Mussolini disse che era stato debole, ma rimaneva l’unica speranza.
Si è scritto che Preziosi partecipò ad alcuni ‘complotti’ durante la RSI. Ma non ci sono documenti probanti. Piuttosto agì alla luce del sole. Il 31 gennaio inviò al duce un memoriale durissimo, che girò anche a Hitler e ciò irritò il capo italiano.
Il 12 febbraio 1944 il Consiglio dei ministri, su proposta di Mussolini, istituì l’Ispettorato generale per la razza alle dipendenze del duce. Preziosi il 13 marzo iniziò a lavorare a Desenzano sul Garda, dove si trasferì con la famiglia. Il 18 aprile fu nominato ispettore e perse il rango di ministro di Stato, ma il 18 gennaio 1945 acquisì quello di ambasciatore. È difficile dire se Mussolini, avviando una nuova politica razzista, volle proteggere oppure delimitare l’azione del suo uomo. Probabilmente entrambe le cose. D’altra parte, nulla attesta che Preziosi sia stato sleale con il duce, il quale gli riconosceva delle capacità («ci sa fare», scrisse in un appunto a Vidussoni del 1942, Carteggio ordinario della segreteria).
In materia razzista, l’Ispettorato assorbì le precedenti competenze dell’Interno e della Cultura popolare. Ma non furono rose e fiori. Buffarini Guidi puntò i piedi, in particolare a proposito degli archivi sugli ebrei, che consegnò a Preziosi in ritardo e forse solo in parte. Sul personale fu invece aspro il contrasto con Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla Presidenza. In ballo non era la scelta razzista della RSI, ma chi doveva gestirla e come.
Sul piano legislativo, i successi furono minimi. Preziosi preparò sei progetti di decreti, ma solo l’ultimo divenne legge: il regolamento dell’Ispettorato (3 marzo 1945).
Negli ultimi giorni della RSI Preziosi con la famiglia raggiunse Milano. Ma non tentò la strada della Svizzera. Si buttò da una finestra, insieme alla moglie, la notte tra il 26 e il 27 aprile 1945. Lasciò un biglietto per il figlio. Vi parlò solo del duce, che aveva seguito, scrisse, perché riteneva che potesse dare «grandezza alla Patria».
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