QUATRARIO, Giovanni
QUATRARIO, Giovanni. – Ultimo degli otto figli di Nicola di Bartolomeo, nacque a Sulmona nel 1337 da una delle più nobili famiglie della città, fautrice della politica angioina della regina Giovanna I.
Con molta probabilità ricevette la prima formazione a Sulmona: nella città natia circolavano libri e intellettuali, ma soprattutto ebbe certamente modo di frequentare Barbato, il dotto concittadino che Francesco Petrarca aveva reso lettore privilegiato del Bucolicum carmen e del lamento di Magone nell’Africa, nonché diretto destinatario delle Epystole. Fu quasi sicuramente Quatrario, tra l’altro, il giovane cresciuto «sub magisterio» di Barbato cui Petrarca indirizzò nel 1364 la Senile III, 4, spiegando le ragioni per cui non avrebbe composto lo scritto di commemorazione per Barbato che gli veniva richiesto. In quegli anni Quatrario si trovava sicuramente a Sulmona: possediamo un documento autografo da lui firmato in qualità di iudex il 21 marzo 1361 e abbiamo notizia di una disposizione emessa dalla regina Giovanna I d’Angiò il 22 maggio 1364 secondo cui non sarebbe stato condotto dinanzi ai tribunali laici «Johannes Quatrarius de Sulmona Clericus in primis ordinibus» (Codice Diplomatico Sulmonese, 1888, p. 257).
Almeno dal 1368 Quatrario fu al seguito dei suoi mecenati, gli Orsini del ramo abruzzese dei conti di Manoppello, visto che li accompagnò a Roma ad accogliere la sovrana angioina in visita presso Urbano V. In quell’occasione ebbe modo di conoscere Coluccio Salutati, con il quale dialogò nello stesso anno, tramite missiva, relativamente ad alcuni passi di Seneca, e con il quale avrebbe poi avuto un ulteriore contatto epistolare nel 1399.
Nel 1381 la regina Giovanna fu detronizzata in seguito alla scomunica di Urbano VI e al suo posto salì al potere Carlo III di Durazzo. Soltanto più tardi Quatrario tentò di conquistare la stima del nuovo regnante con un carme encomiastico, ma nella prima fase scontò la sua fedeltà alla sovrana con l’allontanamento dalla vita pubblica della città e la rottura con i propri mecenati: si rifugiò presso i conti di Aquino, a pochi passi da Sulmona.
Negli ultimi anni della sua vita divenne segretario e abbreviatore apostolico: sebbene non autografa, la sua firma compare infatti in fondo a documenti redatti dalla Cancelleria sia di Urbano VI sia di Benedetto IX. Da un documento del 1390, emanato per volontà di Ladislao Durazzo, risulta inoltre che Quatrario aveva parteggiato, nel 1387-88, per i nemici del medesimo sovrano ed era stato citato in contumacia dal capitano di Sulmona. A Roma Quatrario si trovava sicuramente ancora nel 1399, quando dettò le sue volontà testamentarie, note da un transunto realizzato, anch’esso a Roma, l’11 gennaio 1407: non lasciò eredi e dispose che i suoi libri confluissero nella biblioteca della Casa santa dell’Annunziata di Sulmona.
Morì a Roma nel 1402 o nel 1404.
L’intera produzione poetica di Quatrario ruota attorno all’imitatio del modello petrarchesco, che egli poté facilmente assimilare tramite l’eredità intellettuale trasmessagli da Barbato. Come Petrarca aveva insegnato, egli tentò di riattraversare i principali generi della poesia antica. Probabilmente nel 1370 scrisse per i propri mecenati il Carmen venationis, un componimento epico relativo a una battuta di caccia, e poi le Odule, una raccolta di 19 liriche che strutturò sugli altrettanti schemi metrici dei Carmina oraziani e che, come Orazio a Mecenate, dedicò a Ugo Orsini. Intorno a quella data e negli anni appena successivi compose anche il Carmen maternum, la Prosopopeia mori, il Carmen funereum per Petrarca e il Bucolicum carmen. Il primo è un’elegia scritta per la morte della madre, nella quale Quatrario ricorda tra l’altro i luttuosi eventi conseguenti all’epidemia di peste del 1348 e del 1363. Nella Prosopopea del gelso l’autore ricorre alla personificazione di una pianta di cui Sulmona era particolarmente ricca per ammonire orazianamente i suoi concittadini riguardo alla superbia. Con il Carmen funereum si unisce invece idealmente all’intera intellettualità che piange la morte di Petrarca e assume su di sé l’impegnativa eredità poetica lasciata da quest’ultimo.
Spiccatamente petrarchesco, sin nel titolo, è il Bucolicum carmen, che Quatrario scrisse proprio in quegli anni e che strutturò in sei egloghe, esattamente la metà di quante sono quelle di Petrarca. Durante il periodo che lo vide escluso dalla vita politica, sul modello dei Tristia e delle Epistulae ex Ponto compose tre libri di elegie che dedicò agli Orsini e raccolse sotto il titolo di Bursa exilii, lasciando intendere che nella poesia consisteva il suo unico bagaglio di viaggio nell’esilio. Tra i destinatari dei carmi si leggono i nomi di Francesco da Fiano, Lapo da Castiglionchio, Angelo da Ravello, Carlo III di Durazzo, o amici abruzzesi come il concittadino Meo de Aristotile e Buccio da Cansano. In data anteriore al 1384 Quatrario abbozzò un carme epico, presto interrotto, per celebrare le gesta di Carlo III nella guerra contro Luigi d’Angiò. La raccolta poetica si chiude con una serie di epigrammi ed epitafi sciolti.
Non possediamo le lettere che egli scrisse a Salutati e alcun altro scritto in prosa nonché i versi in onore del re di Cipro per i quali l’umanista toscano lo lodò. Le fonti utilizzate da Quatrario sono prevalentemente Virgilio, Orazio, Ovidio, Seneca e Petrarca. Il latino è spesso oscuro e non scevro di inesattezze prosodiche, ma offre un interessantissimo esempio di realismo trecentesco e della riproposizione dei principali generi poetici dell’antichità.
Composto di oltre 5000 versi, l’intero corpus poetico è tradito dal manoscritto unico Los Angeles, University of Califonia Los Angeles, 170/589, di cc. 105, che il giurista sulmonese Antonio Marianico, padre dell’umanista Probo Mariano, trascrisse nel 1440. Nel titulus di ogni raccolta una mano perfettamente in grado di imitare quella di Marianico ha eraso il nome di Quatrario e attribuito le opere a Barbato, nonostante la data di morte di quest’ultimo, il 1364, sia anteriore a molti degli eventi storici cui si fa riferimento nei versi. Il codice confluì già nel XV secolo nella Biblioteca del convento di S. Nicola degli zoccolanti di Sulmona e, in seguito alle soppressioni degli ordini in età napoleonica, finì in casa del barone sulmonese Gennaro Sardi, dove Giovanni Pansa ebbe modo di studiarlo, per realizzare nel 1912 un’edizione dei testi. Pochi anni dopo il manoscritto risultava già scomparso e riapparve soltanto nel 1984, quando, per conto della University of California, Fredi Chiappelli lo acquistò sul mercato antiquario.
Fonti e Bibl.: N.F. Faraglia, Codice Diplomatico Sulmonese, Lanciano 1888 (ed. anast. a cura di G. Papponetti, Sulmona 1988), pp. 227 s., 238, 257; G. Pansa - P. Piccirili, Elenco cronologico delle pergamene e carte bambagine pertinenti all’Archivio della Pia Casa della SS. Annunziata di Sulmona, Lanciano 1891 (ed. anast. a cura di R. Carrozzo et al., L’Aquila 2011), pp. 10, 53; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, I, Roma 1891, ad ind.; III, Roma 1896, ad ind.; G. Pansa, Gli Orsini signori d’Abruzzo. Studio storico, Lanciano 1892, passim; Id., G. Q. di Sulmona (1336-1402). Contributo alla storia dell’Umanesimo, Sulmona 1912; F. Torraca, G. Q. di Sumona e il suo recente biografo, in Archivio storico per le province napoletane, XXXVII (1912), pp. 509-552 (poi in Id., Aneddoti di storia letteraria napoletana, Città del Castello 1925, pp. 139-154); G. Pansa, A proposito di «G. Q. di Sulmona e il suo recente biografo». Risposta al prof. Francesco Torraca (Con un documento inedito), in La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti, XXVIII (1913), pp. 397-445; R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, II, Firenze 1930, pp. 385-387; È.G. Léonard, Histoire e Jeanne Ire. La jeunesse de la reine Jeanne, I, Monaco-Paris 1932, pp. 239, 318; W.L. Grant, An Eclogue of G. Q., in Studies in the Renaissance, V (1958), pp. 7-14; A. Campana, Barbato da Sulmona, in Dizionario biografico degli Italiani, VI, Roma 1964, pp. 130-134; C. Cenci, Manoscritti francescani della Biblioteca Nazionale di Napoli, I, Firenze 1971, pp. 53-54; F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli 1975, pp. 9, 90, 125, 127, 152, 155 s., 176, 252 s. n. 167, 253 n. 168, 170, 254 n. 178, 263 nn. 266-267, 299 n. 2; M. Feo, Fili petrarcheschi, in Rinascimento, XIX (1979), pp. 3-89; G. Papponetti, Ancora sul “Codice Quatrario”, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, LXXXI (1981), pp. 85-89; Id., Lo scrittoio degli Umanisti, I, Barbato da Sulmona fra Petrarca e Boccaccio, L’Aquila 1984, pp. 135-140; D. Dutschke, Census of Petrarch Manuscripts in the United States, Padova 1986, pp. 159-165; G. Papponetti, «Barbati nostri sonans calamus», in Studi petrarcheschi, n.s., V (1988), pp. 59-99; P.O. Kristeller, Iter italicum, V, London-Leiden 1990, pp. 270a, 272b; M. Ferrari - R. Rouse, Medieval and Renaissance Manuscripts at the University of California, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1991, p. 50; G. Papponetti, Barbato e Q.: problemi di ecdotica, L’Aquila 1993, pp. 29-32; L. Ciccone, Il “Carmen funereum” per Petrarca di G. Q., in Studi petrarcheschi, n. s., XVIII (2005), pp. 75-112; Ead., Un’accezione di sedo in un poeta trecentesco, in Studi medievali e umanistici, VI (2006), pp. 332-336; F. Petrarca, Res seniles. Libri I-IV, a cura di S. Rizzo, con la collaborazione di M. Berté, Firenze 2006, pp. 224 s.; L. Ciccone, G. Q. (Sulmona 1337-Roma 1402-1404), in Gli autografi dei letterati italiani. Il Trecento, II, in corso di stampa.