Quirini, Giovanni
Il discorso intorno all'imitazione di D. e alla presenza della Commedia nelle scritture e nella memoria attiva dei suoi primi lettori, si apre col nome di un poeta veneziano, il Q., primo di una folta e spesso incondita schiera d'imitatori veneti, forse addirittura il primo in Italia. Nella rassegna che verso la fine del '300 l'autore della Leandreide, probabilmente il veneziano Giovanni Girolamo Nadal (v.), fa dei poeti della sua città, per bocca di D. (IV VII 89 ss.), " il primo è Zian Querin che mi fu amico / in vita ". Se un'amicizia personale rimane dubbia, e l'attribuzione a D. di qualcuno dei dieci sonetti del carteggio col Q. assegnatigli da codici di tradizione oltremodo infida appare improbabile (anche dell'unico Nulla mi parve mai più crudel cosa, accolto dal Barbi e dal Contini con beneficio d'inventario fra le Rime dubbie), anzitutto perché quei sonetti pseudodanteschi rivelano un'imitatio Dantis nelle linee consuete al Q. e alla sua cerchia (e se attribuire a D. sonetti brutti è spiacevole, inverosimile è attribuirgli imitazioni di sé stesso), invece ricerche più recenti hanno consolidato il primato del Q. come cultore precocissimo di Dante. Egli è il primo poeta tosco-veneziano, e di notevole statura: Venezia non sembra infatti aver avuto come Padova o Treviso una cultura lirica anteriore a lui, mentre in terraferma erano gl'istituti comunali e soprattutto quello podestarile a favorire scambi letterari interregionali e contatti con la cultura toscana; anche i focolai di poesia provenzale e franco-veneta si manifestano nel triangolo Padova-Treviso-Verona, e l'iniziativa occitanica del veneziano Bartolomè Zorzi dipende con ogni probabilità dall'ambiente genovese.
Il poeta non può essere ancora identificato con sicurezza fra i numerosi personaggi veneziani coevi portatori di un nome e cognome molto diffusi: i corrispondenti si rivolgono a lui con l'ipocoristico Zianin, anch'esso comune e non individuante, e talora coi titoli di ‛ messere ' e ‛ signore '. Tutti i dati utili per la storia della sua personalità vanno perciò ricavati dal suo canzoniere, e sono pochi ma non trascurabili. È certo intanto che non può essere identificato coi candidati già proposti dal Morpurgo, uno Zanino di Marco Q. bandito dopo la congiura di Baiamonte Tiepolo nel 1310, e dal Lazzarini, uno Zanetto Q. canonico di Castello anch'esso in bando perpetuo dal 1310 e rifugiato a Padova. Si tratta invece di un membro influente di uno dei rami principali dei Q. che dopo la congiura rimasero a Venezia o almeno nell'orbita veneziana, pur guardati con sospetto e costretti a mutare stemma, forse il Giovanni Q. della Ca' Mazor, figlio e fratello dei Q. congiurati, che recuperò il feudo familiare di Stampalia nell'Arcipelago ed ebbe cariche e missioni importanti. Alcuni sonetti ci mostrano legami stretti con l'oriente mediterraneo e diretta familiarità col mondo greco e anche ‛ mongolo '. Due vigorosi sonetti di stampo dantesco ci presentano il Q. in viaggio di là dall'" Arca Noè ", cioè dal monte Ararat, nel Curdistan o in Persia: proprio in quelle parti, in una lettera del bailo veneziano in Armenia, è attestato il passaggio nel 1311 di un mercante Zanin Querini (ma i sonetti, che presuppongono familiarità con l'Inferno, sono certo posteriori, anche se non di molto). Una serie di tre sonetti, specie di ‛ corrispondenza di guerra ' dall'Eubea, rappresenta vivacemente la situazione politica in Grecia e nell'Egeo e la lotta di Venezia con la Compagnia dei Catalani fra la primavera e l'estate del 1317, con le vittorie del capitano veneziano Bertuccio Michiel al quale il Q. doveva essere legato: anche qui la presenza di D. e la familiarità con l'Inferno appaiono macroscopiche, e si tratta della prima testimonianza sicuramente databile di una fruizione letteraria della Commedia in senso etico-politico, nello stesso anno in cui i Memoriali bolognesi ci offrono le prime attestazioni frammentarie del III e V canto dell'Inferno.
Se d'altra parte si accoglie con la Corti la reale paternità quiriniana del sonetto di caricatura dialettale veneziana Verço, co tu sis struologo che montis, nella tenzone tridialettale del codice Colombino 7 1 31, della biblioteca Capitolare di Siviglia, c. 39v di Niccolò de' Rossi, attribuito nella didascalia a un Venetus che gl'interlocutori padovano e trevisano chiamano Ser Çuanino e Sier Çanin, e la datazione della tenzone all'inizio del 1308, il Q. sarebbe stato già allora operante; ma l'attribuzione appare dubbia, per il titolo di " sere " e perché in tutto il ricco canzoniere quiriniano l'iniziativa del poeta appare sempre all'ombra di D. e totalmente aliena dal plurilinguismo giocoso e dal ludismo verbale dominanti in terraferma.
I dati sicuri della cronologia poetica si situano fra il 1317 e il 1327, e riguardano appunto la diffusione manoscritta, la fortuna letteraria e la fama di Dante. C'è anzitutto il notevole sonetto rivolto a un " segnor " che ha " di pregio corona / per l'universo e fama di prodeza ", certamente Cangrande della Scala, di cui il Q. si professa " fedel servidore " pregandolo di fargli conoscere il Paradiso di D. (se non che, da un grappolo d'immagini contestuali della sirima a tre volte [pianta(:) - fioretti - al suo fattore (:) -spanta] dipendenti da Pd IX 127-130, per antithesim [pianta(:) - al suo fattore (:) - spande - fiore (:)] si ricava che il Q. ne aveva prelibato almeno una parte): né c'è ragione, dalle parole relative all'intenzione del poeta (" lo quale intese, e so ch'intende ancore, / che di Voi prima per lo mondo spanta / agli altri fosse questa ovra cotanta "), d'inferire, come si è fatto dal Morpurgo in poi, che D. fosse già morto e rimanesse nell'aldilà fedele a questo legato. La fondamentale testimonianza conferma quanto già sappiamo sulla probabile diffusione dell'ultima cantica, ancor vivo il poeta, a gruppi successivi di canti. Un sonetto missivo, specie di cedola di prestito librario, Io mi voglio iscusar di cotal scusa, accompagna l'invio a un amico di una preziosa copia del " mero / libro di Dante ch'è pien d'alta musa "; un altro fra i più noti ma alquanto scialbo, Se per alcun puro orno avenne mai, è ispirato dalla morte di D. " nostro padre e poeta latino / ch'avea in sé quasi splendor divino ", e situato al centro del canzoniere marciano sembra quasi dividere le poesie del Q. fra ante e post mortem Dantis. Dalla richiesta di un prestito librario, quello dell'Acerba di Cecco d'Ascoli, della cui traumatizzante comparsa era giunta notizia a Venezia fra il 1326 e l'inizio del 1327, trae origine la corrispondenza col bolognese Matteo de' Mezzovillani, che, dopo l'invio e la restituzione del libro, con la condanna del Q. e il giudizio che " 'nvidia tolse a Ciecco bel tacere ", si continua poi, giunta la notizia del rogo fiorentino del 16 settembre del '27, con una serie di tre aspri sonetti quiriniani (anche l'ultimo andrà attribuito al Q. piuttosto che al Mezzovillani), nei quali viene lodata Firenze che a sconto delle sue colpe verso D. " ha distesa la scevèra mano / a vendicar la iniura del suo artista " sull'Ascolano, il quale ha pagato nel fuoco la giusta pena per avere " in l'opra sua profana " (cioè ‛ fuori della grazia di Dio ') diffamato " l'alta Comedìa perfetta e sana / del pedagogo e del maestro mio / che fu isprendor e lume, fonte e rio / del bel parlar de la lingua nostrana ". Questa corrispondenza, che non compare nel canzoniere marciano, ci fornisce l'ultimo termine sicuro dell'attività poetica del Q; il Mezzovillani gli dimostra gran deferenza chiamandolo " famoso signor mio venizïano ". Un nobile dunque, mercante e viaggiatore probabilmente con incarichi diplomatici e forse militari " de là da mar " (com'era consuetudine della nobiltà a Venezia), che le rime ci mostrano animato di patriottismo e di saggezza politica veneziana e ricco d'interessi etici e di una profonda pietà religiosa, umile e fedele discepolo di un grande maestro spirituale.
La tradizione delle rime del Q. è singolarmente esile, rappresentata quasi totalmente dall'unica sezione, acefala e anepigrafa, genialmente identificata come quiriniana dal Morpurgo nel 1894, del codice Marciano XIV 223 (4340) [M], trascritto da una mano della fine del sec. XIV o degl'inizi del XV, un apografo probabilmente padovano ricavato da un originale domestico rimasto escluso dalla circolazione e situato nella sezione volgare di quell'insigne antologia protoumanistica patavina fra le rime del Petrarca e quelle del Dondi, alla cui eredità quel codice è legato anche se non è certo opera sua: passato poi dalla biblioteca dei Papafava alla Marciana attraverso Iacopo Morelli. La silloge quiriniana comprende 107 componimenti, 93 sonetti (fra i quali 4 di corrispondenti; 8 sono in latino, literati, e uno con volgare e latino alternati, semiliteratus), 9 ballate (una ripetuta, e tutte monostrofiche tranne una ‛ danzetta '), 2 canzoni e 3 ternari religiosi: nessuno dei pochi dati cronistici sicuri contraddice l'ordinamento, che sembra all'ingrosso cronologico.
Per il resto il nome del Q. è presente soltanto in due rivoli sottili di tradizione, uno di fonte diversa e assai meno limpida e autorevole nell'Ambrosiano 0 63 sup. [A] e più copiosamente nei margini del collaterale Canoniciano 111 di Oxford [O], l'altro nell'Urbinate 697 [U] della biblioteca Vaticana, che solo ci conserva la corrispondenza poetica col Mezzovillani, con un sonetto Io mi confesso peccator sì pieno che è anche in M. Solo 8 sonetti sono comuni a M e Ao, dove M si oppone sempre agli altri due, che presentano talora varianti possibilmente redazionali, e 4 a M e A. Inoltre AO contengono due sonetti di corrispondenza, S'el primo padre e S'el primo uomo (attribuito a D.), e un sonetto Maor letticia [Magior alegreza] m'è veder tuo rima attribuibile al Q., mentre A solo riporta i due notevoli sonetti Lode de Dio e de la madre pura (attribuito a D.) e Lo re che merta i soi servi a ristoro del Q., e O solo la serie degli otto sonetti di corrispondenza petrosa intorno a Madonna Elise o Isabetta col presunto D., nonché il sonetto missivo di un amico e altri due attribuibili al Quirini. Coi 5 sonetti (ma del primo c'è solo la sirma) del Q. su Cecco d'Ascoli conservati dall'Urbinate, l'inventario delle rime quiriniane si accresce, fuori del Marciano, di appena 14 sonetti.
Ci troviamo dunque di fronte a due tradizioni diverse, rappresentate una, la più copiosa e autorevole, da un codice del tutto privo (e solo per questa sezione volgare) d'informazioni attributive, l'altra da due codici carichi d'informazioni sospette o palesemente assurde, come tutte quelle su D. come corrispondente, dovute a un'interferenza nella fonte che sembra un corto circuito. E ciò conferma i dati interni: contrariamente a quanto in passato si è sostenuto, il Q. non sembra aver avuto contatti con le cerchie venete di terraferma rappresentate nei due testimoni fondamentali della tradizione lirica antica fino allo stilnovismo veneto, il Barberiniano e l'Escorialense, nei quali il Q. non appare; l'unico interlocutore sicuro del Q. presente nel Marciano, Botrigo da Reggio, compare soltanto con tre ballate nella sezione ballatistica dell'Escorialense, che non accoglie invece nessuna delle leggiadre ballate del Q., vicino per questa parte alla maniera di Guido Novello e degli altri, ma superiore nei risultati. Rispetto ai rimatori veneti, coevi ma non sincroni, operanti in terraferma, a cominciare da " misser lo plevano da ca' Querini ", Niccolò, che fu certo fra i banditi del 1310 ed è presente nel Barberiniano con una voce tanto arcaica e incondita rispetto alla sua, l'orizzonte di Zanino appare assai più ampio, meno municipale, come si addiceva a un veneziano di alto rango, con amicizie e corrispondenze di là dal Veneto, col ricordato Botrigo e col bolognese Mezzovillani, e con orientamenti vicini, per esempio nelle ballate, a quelli della cerchia tardostilnovistica romagnola.
Al Q. va forse assegnato anche il sonetto Quandumque leggo gli amorosi diri (v.).
Il canzoniere quiriniano è situato per la maggior parte al di là dello stilnovismo e si presenta in sostanza nella sua orditura tematica e linguistica come una ‛ lectura Dantis ' in progresso; partendo dalle rime stilnovistiche di D. e di Cino, e privilegiando l'esperienza della Vita Nuova ma mostrando di aver assimilato anche le petrose, innesta man mano sul sonetto, sulla canzone e sul ternario la lezione successiva delle tre cantiche, con notevole libertà e capacità di variazioni e modulazioni ritmiche su stampi danteschi: se il punto di partenza delle associazioni verbali e tematiche è spesso la rima, l'imitazione non è meccanica e il dantismo quiriniano è paradigmatico prima che sintagmatico, diversamente dalla maggior parte degl'imitatori di D. che riprendon di peso, senza variarli, iuncturae, emistichi o versi interi. Questa specie di itinerarium mentis, e sermonis, lungo la Commedia è altamente suggestivo anche perché costituisce una prima traccia della diffusione e fortuna del poema. Nella varietà di motivi, amorosi, etico-politici, autobiografici e ascetico-religiosi, appare dominante l'ispirazione morale e religiosa e la vena di meditazione biblica sulla vanità mondana, il peccato e l'espiazione. Rilevanti sono in questo senso anche gli otto sonetti latini di tema religioso (un genere coltivato dapprima nelle cerchie venete, la cui iniziativa, per il numero e la qualità dei componimenti, non sembra azzardato attribuire al Q.): essi presentano strutture e procedimenti stilistici simili a quelli dei sonetti volgari. La compostezza e disciplina formale si rivelano anche qui: è un corrente latino di chiesa, con risonanze bibliche e liturgiche e qualche rara eco classica, virgiliana e ovidiana. Del sonetto il Q. domina con sicurezza la linea compositiva, inarca frequentemente i versi uno sull'altro, mirando ad ampie costruzioni ritmico-sintattiche; la tendenza a strutture uniperiodali e si direbbe monostrofiche nell'ambito del sonetto, dove anche il confine tra fronte e sirma viene continuamente varcato e obliterato, costituisce uno dei caratteri stilistici più rilevanti: questo principio struttivo si realizza attraverso lo schema metrico prediletto (presente in ben 73 dei 93 sonetti del Marciano) con sirma asimmetrica CDDDCC, raro in D. (solo tre casi, e in sonetti non certo di marca stilnovistica, quello della ‛ pargoletta ' e due di risposta a Cino, certo dell'epoca dell'esilio), dove il distico finale assume spesso il valore di clausola gnomica. Un sentore preumanistico sembra di cogliere nella tematica mitologica, soprattutto ovidiana, che ha largo sviluppo sulle orme di sonetti di Cino e di D. e di similitudini della Commedia; altri sonetti sviluppano temi esopiani di favola morale, per esempio di quella dantesca della rana e del topo.
Nella lingua del Q. il toscaneggiamento appare assai avanzato, molto più che nei trevisani coevi, anche se i manoscritti hanno certo operato livellamenti in senso toscano, come mostrano le rime, dove rimangono cospicue macchie dialettali: nel vocalismo con fenomeni consueti a testi settentrionali (per es. meglio: veglio: consiglio: ciglio [M, n. 32] ma accanto a figlio: consiglio: giglio [M, n. 59]; benigna: sconvegna: insegna [M, n. 73]; onte: ponte: fonte [M, n. 16]) e molto di più nel consonantismo con frequenti casi di degeminazione e livellamento fra semplice e rafforzata (dame, " dammi ": brame: fame [M, n. 3], tuti: destruti: muti [M, n. 55], gramma: infiamma: ama [M, n. 71], dolcore: stòrre: signore [M, n. 89], ecc.), di lenizione (caligo: nemico: enigo [M, n. 8], priego: cieco: mego [M, n. 41], grado: pecado: ostinado [M, n. 39], vede: séde: mercede [M, n. 93] e dileguo della dentale intersonantica (mare, " madre ": fare [M, n. 14], amara: contrara: quara [M, n. 49]), di assibilazione (possa: angossa [M, n. 107]) e di trattamento ipercorrettivo di j (spoglie: gioglie [M, n. 10], noia: spoglia [M, n. 84]); invece la morfologia presenta rarissime venature settentrionali e nel lessico elementi veneziani compaiono solo eccezionalmente con funzione espressiva (oltre il citato caligo [M, n. 8], che ha un appoggio latino e anche dantesco nel verbo caligare, solo scarcagiarse, e radicare, ven. radegar , *erraticāre; così l'indefinito piusor e poco altro). Ma la compagine grammaticale della lingua del Q., nonostante questi e altri fenomeni, presenta un alto grado di compattezza e l'ibridismo è contenuto in limiti assai ristretti: anche in questo il Q. pare veramente essere stato il primo dei settentrionali ad ascoltare, intendere e tradurre in atto, quant'era possibile a un contemporaneo, l'insegnamento di Dante.
Bibl. - Lo studio e l'edizione del Q. si apre con gli articoli di S. Morpurgo, Rime inedite di G.Q. e Antonio da Tempo, in " Arch. Stor. Trieste Istria Trentino " I 2 (1881) 142-166 (edizione dei nn. 15, su U, 16, 18, 25, 66, 77, 78, su A, e degli altri di U: i numeri si riferiscono all'ordine della silloge Marciana, M) e D.A. e le nuove rime di G.Q., in " Bull. " n.s., I (1894) 134-139 (individua M, con l'edizione dei nn. 9, a Cangrande, 21 parzialmente, 34, 52, in morte di D., annunciando l'edizione mai realizzata di tutto il codice); V. Lazzarini, Rimatori veneziani del sec. XIV, Padova 1887, aveva solo ristampato tutti i sonetti editi dal Morpurgo nel 1881, aggiungendo Lode di Dio, e segnalando O; Otto ballate amorose di G.Q. veneziano, per " Nozze Rasi-Saccardo ", Padova 3 febbr. 1896 (edizione di S. Morpurgo, nn. 82, 83 [= 65], 85, 92, 103, 104, 105, 106); G. Carducci, Antica lirica italiana, Firenze 1907, 322-324 (edizione a c. di G. Mazzoni, su testi forniti dal Morpurgo, dei nn. 5, 62, 63, 64, 74); G.Q., Vecchio motivo tricolore: Sonetto di G.Q. veneziano amico di D., " Per nozze Pellizzari-Mazzoni ", 3 genn. 1911 (ediz., di S. Morpurgo, del n. 91).
Sui rapporti fra D. e il Q. e la " questione di Lisetta ", dopo l'articolo di E. Lamma, D.A. e G.Q., in " L'Ateneo Veneto " s. 12, II (1888) 22-39 (male informato sul Q.), fondamentali se non risolutivi gl'interventi di M. Barbi, La questione di Lisetta, in " Studi d. " I (1921) 5-63 (rist. con appendice in Problemi II 215-251: ediz. delle rime di corrispondenza, di M i nn. 70, 71, 79, 87, 88, 89, 90); M. Barbi-V. Pernicone, Sulla corrispondenza poetica fra D. e G.Q., in " Studi d. " XXV (1940) 81-129 (tavola delle rime quiriniane di M, ediz. dei nn. 2, 6, 7 parziale, 12 parziale, 14 parziale, 21 parziale, 43 parziale, 67, 75, 76, 77, 78, 96, 98, 102). Sei sonetti di corrispondenza dal Canoniciano erano stati editi da L. Suttina, Corrispondenza fra D. e G.Q., Milano 1913, per " Nozze Del Bianco-Nussi ". Sul Marciano cfr. l'ottima scheda di D. De Robertis, Censimento dei manoscritti di Rime di D., in " Studi d. " XXXVII (1960) 257-259. Complessivamente solo 42 componimenti sui 106 di M, un terzo circa dei sonetti e tutte le ballate, risultano editi. A. un'edizione complessiva attende G. Folena, di cui si veda anche per ulteriori indicazioni bibliografiche Il primo imitatore veneto di D., G.Q., in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 395-421 (con l'ediz. dei sonetti 30-32 parziali, e 50-51); M. Corti, Una tenzone poetica del sec. XIV in veneziano, padovano e trevisano, ibid., 129-142; G. Folena, La presenza di D. nel Veneto, in " Memorie Accad. Patavina Lettere e Arti " LXVIII (1965-66) 483-509. Niente di nuovo, per questo riguardo, è in G. Corsi, Rimatori del Trecento, Torino 1969, che non conosce l'articolo del Folena e ripubblica 13 componimenti già editi, con un pregevole commento.